ARCHIVIO TEMATICO (in allestimento. Pronto l'indice dei redattori)

domenica 31 agosto 2014

IL BALOCCA-ITALIA, OVVERO COME TI GABBO L'OPINIONE PUBBLICA IN TEMPO DI CRISI di Riccardo Achilli



IL BALOCCA-ITALIA, OVVERO COME TI GABBO L'OPINIONE PUBBLICA IN TEMPO DI CRISI
di Riccardo Achilli



Può essere comprensibile che, fra gavettoni di acqua fredda e coni gelato, si possa creare, per il nostro premier, il rischio di congestioni e blocchi gastrici, per cui il nome del provvedimento licenziato dal Cdm di venerdì scorso (Sblocca Italia), che sembra quello di un lassativo, possa discendere da bisogni imperiosi di liberazione del tratto gastro-intestinale. D’altra parte, anche l’espressione renziana “ripartire con il botto” può ricordare aspetti post-digestivi di intasamento intestinale.
In verità, a fronte di una situazione inedita per il nostro Paese, ovvero la combinazione letale fra recessione e deflazione, che rischia seriamente di farci passare anni a fronte dei quali la crisi vissuta finora ci apparirà come uno scherzetto, il provvedimento-lassativo licenziato dal Governo è una divertente via di mezzo fra fuffa depistante, pubblicità ingannevole e autoritarismo amministrativo. Il tutto, evidentemente, privo di una sia pur vaga strategia d’insieme, di quella visione di “ciò che vogliamo essere” che Squinzi, probabilmente pentitosi di aver sostenuto l’ascesa di Renzi, ha implorato. Un provvedimento inorganico e inflazionato, che sembra uno dei classici decreti “omnibus” dei Governi della Prima Repubblica, dove si stiocca dentro di tutto: norme che spaziano dall’edilizia ai porti, dal made in Italy al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali, dalla Cassa Depositi e Prestiti al potenziamento delle estrazioni petrolifere, passando dalla rete Ict e dai sistemi fognari urbani. 

Il piatto forte, ovvero gli interventi infrastrutturali, si riduce in una serie di riprogrammazioni di soldi già stanziati, che vengono destinati a dare una boccata d’ossigeno ad alcune grandi opere oggi bloccate, per consentire qualche stato di avanzamento, senza peraltro portarle a compimento. Stiamo parlando di 200 milioni per il terzo valico di alta capacità ferroviaria dei Giovi, che avrebbe bisogno di 1,5 miliardi per essere portata a termine, 90 milioni alla alta velocità ferroviaria Brescia-Padova (che si aggiungono al miliardo già stanziato nel 2013, su un fabbisogno di 7,8 miliardi), 270 milioni per il nuovo tunnel del Brennero, che però aveva bisogno di 1 miliardo per bandire la nuova tratta (e quindi rimarrà fermo), 120 milioni al quadrilatero autostradale Marche/Umbria, che però ha bisogno di 650 milioni per chiudersi, 400 milioni per i lotti ancora aperti della Salerno-Reggio Calabria e 50 milioni per la terza corsia dell’autostrada Venezia-Trieste. Poi l’elenco snocciola finanziamenti ad un panoplia di opere non cantierabili entro 12 mesi (ad esempio, i 270 milioni appostati sulla statale 131, tratta per la quale occorre ancora fare la gara d’appalto) o addirittura incagliate, o di dubbia realizzabilità (210 milioni sono appostati sull’adeguamento della Statale Telesina, per il quale si prevede un bando in project financing, ma i finanziatori privati latitano).

sabato 30 agosto 2014

INCITATUS, MELIUS QUAM NOMINATUS (tr. meglio senatore un cavallo che un nominato) di Carlo Felici




INCITATUS, MELIUS QUAM NOMINATUS
 (tr. meglio senatore un cavallo che un nominato) 
 di Carlo Felici 


Il 31 Agosto del 12, esattamente 2002 anni fa, nasceva Gaio Cesare Germanico, figlio di Agrippina Maggiore, a sua volta figlia di Giulia, che era figlia di Augusto. Egli discendeva dunque direttamente dal primo grande imperatore di Roma, che regnò per due anni durante la sua primissima infanzia. Fu un personaggio tra i più diffamati nel corso della storia, ma, a ben vedere, la ragione c'è: ed è quella che egli, anche se in poco tempo, seppe inaugurare una forma di nuovo assolutismo democratico, che probabilmente corrispondeva a maggiormente a quello che avrebbero voluto fare e che avrebbero messo in atto Cesare e Marco Antonio se entrambi non fossero stati stati tolti di mezzo rispettivamente dagli scherani senatori e dal rivale Augusto, il quale regnò più come un garante che come un sovrano dotato di pieni poteri, e per altro, sempre con un certo altezzoso distacco dal popolo di Roma. L'assolutismo democratico non deve essere confuso con la tirannide né con il dispotismo illuminato, retaggio di altre epoche e che, in ogni caso, restano profondamente differenti per la loro vocazione autarchica ed autoreferenziale. L'assolutismo democratico, infatti, non poteva attuarsi senza il consenso di quella che era la stragrande maggioranza del popolo di Roma: la plebe e l'esercito, prova ne è il fatto che ogni qual volta il consenso di una di queste componenti fondamentali veniva meno, con esso rotolava nella polvere anche la vita dell'imperatore che lo aveva incarnato, fino almeno a che esso non fu talmente consolidato, che si tramandò per “adozione”, scegliendo cioè, in fase preventiva, il migliore dei successori, nel periodo che caratterizzò l'età d'oro degli imperatori Antonini. 

BISOGNEREBBE CREDERCI di Giandiego Marigo




BISOGNEREBBE CREDERCI

di Giandiego Marigo




La verità? Quella che non ci raccontiamo è che non ci crede nessuno davvero ed invece bisognerebbe, perché il farlo ci farebbe superare gli ostacoli e le empasse.
I mille egoismi e personalismi, la passione invereconda ed ossessiva per la cura dell'orto, che ci impedisce di fare la cosa più giusta, più logica, più importante e più doverosa: Una Costituente della “Sinistra Unita”, un vero tavolo sempre aperto, realmente rappresentativo e controllato dal basso (sino a conclusione positiva) per farla davvero questa unità di intenti , per stabilire obbiettivi comuni ed un cammino condiviso e condivisibile.
La Volontà, la Passione, la Fede … non sono merce d'uso di questi tempi.
Certo, si potrebbero fare un paio di analisi di prospettiva, parlare delle volontà espresse da Alba, Ross@, da Azione Civile, dalla miriade di gruppuscoli in continua nascita che hanno in premessa l'Unità della Sinistra o la sua modificazione in meglio … in un soggetto ampio e plurale.
Oppure sbilanciarsi su quel che c'è, poco e malmesso, Rifo, SeL, alcune tracce di Verde … qualche movimento qua e là.
Si potrebbero citare i gruppi nuovi Convergenza Socialista, Neft Left, Sinistra Unita-AreA di Progresso e Civiltà. Oppure potremmo lanciarci in dotte analisi da “intellettuali conseguenti” che vanno sempre di moda e che un cadreghino in Europa bene o male lo rimediano sempre.
Potrei, volendo, far scivolare l'occhio sugli Anti Euro di sinistra, sempre molto combattivi e sin troppo urlanti. Potrei farlo e finirei con il ripetere le analisi e le perorazioni di cui la rete è, sinceramente, sin troppo ed inutilmente piena.
Punti di vista da comunista integralista, da neo berlingueriano, da socialista più o meno libertario o da libertario più o meno socialista, sino alle nuove visioni di soggetti non necessariamente connotati ed M5S similari.
Certo potrei e forse direi persino delle cose intelligenti.
Però io sono convinto che sia una questione di volontà e non di chiacchiere.
Sono convinto che l'analisi sia d'una semplicità disarmante: Questo paese, l'Europa intera hanno bisogno spasmodicamente d'una sinistra vera, che sappia interpretare e decifrare i bisogni e le speranze di un'area popolare ed in via d'impoverimento sempre più ampia.
Che sappia rilanciare una visione globale che si contrapponga a quella di un mercato sregolato ed imperante, che impone le sue leggi disumane ad ogni nazione ed in ogni parte del mondo.
È ovvio che ci siano poi mille rivoli, mille implicazioni mille metodologie d'applicazione ed è altrattanto ovvio che dovremo discutere, persino litigare, ma la volontà unitaria, la capacità di interpretare questo bisogno è una premessa, la premessa ed in fondo mi dispiace di dovere fare sempre lo stesso discorso … perché questo significa che non ci sono passi avanti significativi. Ma diciamocelo, finalmente ed una volta per tutte, è esattamente questa volontà quella che manca. Il resto sono chiacchiere , parole, canzoni e stornelli.
I metodi di attuazione sono svariati: Una costituente con tavolo aperto, un federazione che sappia rispettare realmente le particolarità di ogni convenuto, l'assemblea permanente … ma questi sono metodi, ma nulla hanno a che vedere con la volontà.

Ho scritto spesso di questo argomento, nel tempo. Ho fondato gruppi di lavoro, pagine sui social network, ho persino inventato una manifestazione antirazzista a Milano, qualche anno fa … e da sempre credo in questa necessità, ci ho creduto persino nella mia brevissima stagione con M5S … sempre ho pensato che l'unica speranza per questo paese e per l'Europa intera fosse la nascita d'un soggetto che sapesse dare a Progresso e Civiltà il loro vero significato, che sapesse cambiare regole, filosofie, impostazioni e premesse … perché, è ormai chiaro (e a parole lo sappiamo tutti) che solo cambiando filosofie, modi e mode, stili di vita ed organizzazioni sociali abbiamo qualche speranza di salvarci e salvare questo pianeta.
Loro, quelli al potere questa cosa la sanno benissimo … ed a modo loro stanno facendo quel che ritengono opportuno, per loro: Depopolazione, Guerre, Controllo delle Risorse, Appropriazione indebita dei Beni Comuni, Abbattimento del welfare in chiave depopolativa, tutto e di più, mentre giocano con le nostre menti. Comprando e vendendo le nostre stesse anime come fossero figurine … E noi, e l'alternativa?

Noi taciamo ed il nostro silenzio è sempre più pesante, oppure … ed è persino peggio, parliamo ed urliamo da soli o in piccoli gruppi di pazzi e nessuno ci ascolta, ci prendono e ci chiudono in una confezione per poi rivenderci come valvole di sfogo a basso prezzo.
Ed ancora una volta e sempre è una questione di volontà perché essa supererebbe ogni ostacolo, ogni differenza, ogni titubanza, ogni chiacchiericcio molesto, scompiglierebbe i salotti dove si consuma ogni speranza in chiacchiere inutili e lunghissime attese.

Farebbe giustizia dei mille leader che fanno di sé stessi e delle proprie convenienze e rendite di posizione la chiave di volta di ogni possibile avvicinamento...getterebbe alle ortiche ogni titubanza, ogni dotta citazione ed eccezione. Per far questo però occorrerebbe una massa critica di gente che condividesse la medesima volontà, realmente e non a chiacchiere … ci sono in questo marasma? E se sì dove sono, visto che il tempo della pazienza e dell'attesa è ampiamente trascorso ed il ritardo accumulato potrebbe essere fatale.



IMPERIALISMO E SINISTRE "PACIFISTE" DI FRONTE ALLO STATO ISLAMICO di Marco Ferrando




IMPERIALISMO E SINISTRE "PACIFISTE" DI FRONTE ALLO STATO ISLAMICO.
LA CONCORRENZA DELLE IPOCRISIE. l'ALTERNATIVA DEI RIVOLUZIONARI.
di Marco Ferrando

L'avanzata del fondamentalismo reazionario dell'Isis in Irak e Siria alimenta in Occidente la fiera dell'ipocrisia. Non solo nelle fila dell'Imperialismo “democratico”, ma anche a sinistra.

L'IPOCRISIA DEGLI IMPERIALISMI “DEMOCRATICI” 

Di fronte alla minaccia del Califfato, USA, Gran Bretagna e Francia, professano un improvviso fervore "democratico" commovente.
Sono gli stessi protagonisti ed eredi dell'interventismo coloniale in Medio Oriente. Quelli che un secolo fa disegnarono i suoi confini con penna e compasso in una pura logica di spartizione senza alcuno scrupolo per i diritti nazionali dei popoli . Quelli che hanno protetto e sostenuto il colonialismo sionista e il suo terrore anti palestinese. Quelli che hanno negato e calpestato ogni diritto di autodeterminazione del popolo kurdo. Quelli che hanno sorretto e sorreggono le peggiori dinastie reazionarie della regione, a partire dalla monarchia saudita. Quelli che prima hanno difeso e protetto il regime reazionario di Saddam quando gasava i “propri” kurdi, per il solo fatto che si contrapponeva alla “destabilizzazione” khomeinista; poi l'hanno attaccato quando sfuggì al proprio controllo ( invasione del Kuwait), promuovendo un embargo totale criminale contro il popolo irakeno -targato ONU -che ha fatto in dieci anni 500.000 morti, in prevalenza bambini, donne e anziani; infine l'hanno rovesciato con una seconda guerra criminale di occupazione, corredata da innumerevoli brutalità ( Falluia, Abu Graib...) puntando ad installare un proprio regime fantoccio: con un'operazione talmente maldestra, persino dal punto di vista imperialista ( scioglimento della vecchia struttura statale, umiliazione dei sunniti..) da innescare uno stato di crisi politica permanente e incontrollata dell'Irak, segnata da una spaventosa guerra settaria interreligiosa. La stessa che oggi ha spianato la strada allo sfondamento dell'Isis, alimentato non a caso dall'innesto di forze e tribù sunnite e di forze politico militari “saddamiste”.

mercoledì 27 agosto 2014

RENZI: NEMICO PUBBLICO NUMERO UNO di Sergio Bellavita




RENZI: NEMICO PUBBLICO NUMERO UNO
di Sergio Bellavita 



Il quotidiano "la Repubblica" di oggi pone grande enfasi alle anticipazioni della ministra Stefania Giannini sul merito della tanta sbandierata "rivoluzione" Renziana della scuola. Non è ovviamente un caso che la ministra abbia scelto la platea di CL a Rimini per rivelare la logica di fondo del provvedimento di legge. Abbattere ogni steccato ideologico nel rapporto tra privato e pubblico e nel trattamento degli insegnanti. Non sono ancora noti i dettagli ma queste anticipazioni danno pienamente il senso dell'operazione.
Siamo di fronte al tentativo, in totale continuità con le politiche dei governi precedenti, di smantellare la scuola pubblica a favore di quella privata, arrivando anche qui alla riscrittura della Costituzione per detassare le rette versate alle scuole private e all'ingresso deglisponsor privati.
A ciò si aggiunge il tentativo di sottrarre il corpo docente alla contrattazione collettiva stabilendo una differenziazione economica legata al presunto merito e capacità del singolo o della singola, sarebbe a questo proposito molto interessante capire chi dovrà valutare, i presidi? Ne più ne meno di quello che le imprese private esercitano attraverso la pratica dei superminimi ad personam, e tutti sanno quanto la fedeltà al padrone e all'impresa sia il requisito principale per ottenerli.
Se si considera che i minimi salariali sono bloccati da anni, diviene subito chiaro che si vuole stabilire il principio, tanto caro al padronato nostrano più retrivo e totalmente in linea con il documento di Confindustria di giugno, che è finita la stagione del salario a tutti, elargito collettivamente. Anche quando, come nel caso della scuola, si parla di recupero del potere d'acquisto. Così il buon Renzi, userà le risorse risparmiate sulla pelle dei lavoratori per una politica salariale discriminatoria e antisindacale.
Il dato più inquietante, e su cui si misura davvero la furia questa si ideologica del governo, è la cancellazione delle supplenze. Che fine faranno gli oltre 400 mila precari della scuola? Una parte, dice la ministra (bontà sua!!), verrà stabilizzata forse, e gli altri?

sabato 23 agosto 2014

UN NUOVO MODELLO DI SOCIETA' di Patrizio Paolinelli



UN NUOVO MODELLO DI SOCIETA'
di  Patrizio Paolinelli (*)


Un tascabile di due economisti: Riccardo Achilli e Renato Costanzo Gatti
Quali sono le cause della crisi che stiamo attraversando? E soprattutto come se ne esce? A queste domande rispondono due economisti, Riccardo Achilli e Renato Costanzo Gatti, con un tascabile intitolato “Avanti, a sinistra. L’economia, il lavoro e le prospettive del socialismo europeo” (Factory, 83 pagg., 12,00 euro). 
Come si evince dal titolo, Achilli e Costanzo Gatti affrontano il problema dell’attuale recessione da una precisa prospettiva politica. D’altra parte, per quanto utilizzi gli strumenti del metodo scientifico, l’economia non è affatto una disciplina socialmente neutrale e le sue analisi riflettono sempre sia uno specifico punto di vista che un interesse di classe. Dunque è meritoria la dichiarata presa posizione dei due autori sin dal titolo del loro libro. Evitano così di mettere la scienza al di sopra delle disuguaglianze e dei conflitti sociali e non collocano l’economia in una sorta di iperuranio che nulla ha a che fare col potere (politico e non).
“Avanti, a sinistra” è scritto con un linguaggio accessibile anche ai profani e con taglio agile affronta numerosi temi. Tali temi vanno dal dilemma crisi strutturale o crisi ciclica del capitalismo alla politica economica degli Stati nazionali; dall’impatto della tecnologia sul mondo della produzione al problema dell’occupazione; dalla ricomposizione delle classi sociali alle dinamiche elettorali in Italia e in Europa fino all’attualità dei valori del riformismo. I fili conduttori che percorrono il libro ci sembrano principalmente due: 1) le trasformazioni del rapporto capitale-lavoro; 2) il ritardo culturale della sinistra nella lettura post-fordismo.
Per quanto riguarda il primo punto il fatto che l’Italia sia una repubblica fondata sul lavoro significa che non si basa sulla speculazione né sulla rendita. Dalla caduta del muro di Berlino ad oggi si è invece assistito a un completo ribaltamento di tale concezione. L’economia finanziaria ha infatti spodestato l’economia reale basandosi proprio sul “reddito improdotto”, ossia sul reddito prodotto da altri e di cui le classi improduttive si appropriano determinando eventi catastrofici come il tristemente famoso crollo innescato dai mutui sub-prime. In questo caso, come in altri simili (le bolle immobiliari in Spagna e Irlanda ad esempio), sappiamo come è andata a finire: gli Stati si sono dovuti accollare i debiti prelevando dal mondo produttivo le risorse che sono servite per salvare le banche. Le quali per tutta risposta hanno operato una stretta creditizia di cui hanno risentito in primis i lavoratori dipendenti. Risultato: una recessione di cui non si vede la fine.
A parere di Costanzo Gatti il capitalismo finanziario vive di rapine e “Questo cinico moral hazard è una enorme, stratosferica, immensa redistribuzione di reddito dalle classi produttive alle classi improduttive”. Alla fin fine cosa determina il predominio dei giochi di borsa sul lavoro produttivo? Che il vecchio sfruttamento dell’uomo sull’uomo continua la sua corsa. Anzi la accelera in virtù delle rivoluzioni tecnologiche che fanno del lavoratore della conoscenza e dell’informazione un ipersfruttato. Anche e forse soprattutto in Italia la ricetta di abbassare il costo del lavoro nella convinzione neoliberista di rendere più competitive le imprese si è dimostrata perdente. Per di più le stesse imprese non si sono assunte la responsabilità della loro scarsa produttività – causata da bassi investimenti in ricerca e sviluppo – addossando ad altri (le tasse, la burocrazia statale) la propria incapacità di innovare.

Sul ritardo culturale della sinistra nel formulare un pensiero alternativo a quello della destra liberista si sofferma in particolare Riccardo Achilli. Il quale prende le mosse da un dato di fatto: il ciclo infinito della crescita basato sulla democrazia liberale è naufragato alla prova dei fatti. Ma è su questo mito che si è sviluppata “la rincorsa al centro” della sinistra riformista. Inseguire il ceto medio ha significato perdere il consenso delle classi che tradizionalmente facevano riferimento ai partiti progressisti. Non basta. Strumentalmente la destra si è appropriata di temi cari alla sinistra sottraendole consensi (la Merkel ad esempio ha rinunciato alle centrali nucleari). L’effetto ottenuto è che agli occhi di molti elettori la distinzione fra destra e sinistra risulta sempre più evanescente. 
Come si esce da questa spirale? Con la proposta di un nuovo modello di società. Le indicazioni sono tante e chiare. Ne accenniamo alcune: rilanciare l’occupazione e rafforzare il sistema educativo (formazione compresa); favorire programmi di investimento pubblico nell’innovazione tecnologica; promuovere la qualità della vita e dei servizi sociali; incentivare politiche del lavoro che puntino sia a massimizzare la produttività che a garantire tempi di vita relazionale (anche dentro il luogo di lavoro); rilanciare le cooperative di credito locale e le Mag (mutue per l’autogestione); favorire il privato sociale; sviluppare una seria riflessione sul reddito minimo garantito. Non sappiamo quante di queste indicazioni vedranno la luce. Però i tempi sono forse maturi per uscire da una crisi di cui è responsabile l’élite al potere.

(*) Patrizio Paolinelli, VIAPO, inserto culturale del quotidiano Conquiste del Lavoro, 21 giugno 2014.


SPOGLIARE IL CORPO, VESTIRE LO SGUARDO: UNA ANALISI DELLA MERCIFICAZIONE DEL CORPO NEL CAPITALISMO di Riccardo Achilli





SPOGLIARE IL CORPO, VESTIRE LO SGUARDO: UNA ANALISI DELLA MERCIFICAZIONE DEL CORPO NEL CAPITALISMO
di Riccardo Achilli




Da tempo il mondo possiede il sogno di una cosa, di cui non ha che da possedere la coscienza, per possederla realmente” scrive nel 1843 Karl Marx. E l'analisi in profondità sull'industria del nudo domestico e della “felicità” cui ci invita l'ultimo lavoro del professor Patrizio Paolinelli, edito da Bonanno, ci guida con grande acume analitico, e con tutte le connessioni dovute fra sovrastruttura culturale e struttura economica, dentro i meccanismi attraverso i quali il capitalismo produce “sogni”, di bellezza, di perfezione fisica, di successo e prestigio, attraverso i quali arriva a conquistare le coscienze, e quindi, per dirla gramscianamente, l'egemonia culturale e comportamentale nelle nostre società.
Con l'approccio metodologico del sociologo e dell'esperto di comunicazione, ma anche con una solida preparazione politica ed economica maturata a sinistra, il professor Paolinelli ci offre una chiave di lettura dell'industria del glamour e del nudo capitalista che, già dal titolo del libro (Spogliare il corpo, vestire lo sguardo. Il lavoro del nudo domestico) e dalla ricca documentazione che viene offerta al lettore, con approccio di concettualizzazione che parte sempre dal dato empirico e dall'esempio reale, ci invita a ragionare lungo tre macro componenti concettuali:

mercoledì 20 agosto 2014

QUALI ALLEANZE PER LA LIBERAZIONE? Appunti di Norberto Fragiacomo




QUALI ALLEANZE PER LA LIBERAZIONE?
Appunti di Norberto Fragiacomo


  1. Cosa si intende per “alleanza”, in politica? Sostanzialmente, un accordo compromissorio tra forze organizzate che, pur perseguendo finalità e tutelando interessi diversi, fondano il dialogo e le reciproche concessioni sull’appartenenza ad un sistema valoriale comune. Nella c.d. Prima Repubblica questo trait d’union (che giustificava patti, ad esempio, tra formazioni ideologicamente agli antipodi come PLI e PSI ante Craxi) era costituito dall’iniziale partecipazione alla stesura della Costituzione, dall’avversione al fascismo e dalla convinta accettazione della forma repubblicana – chi si richiamava ad esperienze storiche superate e incompatibili con i valori democratici (il MSI) era “fuori dall’arco costituzionale”, hostis publicus escluso a priori da qualsiasi accordo (v. la fine ingloriosa dell’eretico Governo Tambroni). Oggi i tempi sono mutati: non sono più Costituzione e repubblicanesimo a fare da arbitri. A separare i due campi è piuttosto l’atteggiamento nei confronti del sistema (neo)liberalcapitalista e dei suoi agenti politici (UE, FMI ecc.): da una parte sta chi si assoggetta alle loro logiche, dall’altra chi ne chiede il rovesciamento. La sinistra anticapitalista (sovranista o meno che sia) è oggi fuori dall’«arco costituzionale» maggioritario: suo naturale obiettivo è quello di costituirne uno alternativo.
  2. Fatta questa premessa, osservo che la domanda di partenza è troppo generica. Va specificata con altri due quesiti, che la completano: I) in quale ambito, a che livello? Ce ne sono almeno tre (nazionale, locale e sovranazionale/europeo); II) in vista di quale finalità (partecipazione alla competizione elettorale o superamento del sistema attuale con mezzi extra ordinem)?
  3. “In quale ambito?” – parto, per forza di cose, dal livello nazionale. Oggigiorno la sinistra antisistema può relazionarsi solamente con quelle forze che – a parole e soprattutto nei fatti – avversano l’annichilimento delle Costituzioni postbelliche, la premeditata distruzione dei diritti e del welfare, lo sfruttamento della crisi come “miniera d’oro” (per l’elite), la retorica di pace e democrazia di cui si ammanta il becero imperialismo euro atlantico. “Quelle forze” si riducono, in Italia, ai Cinque Stelle, movimento interclassista che sulle principali questioni all’ordine del giorno ha ormai assunto posizioni assimilabili a quelle “di sinistra”. La Lega Nord, che pur cavalca la crociata “anti euro”, resta una classica formazione di destra, schierata a difesa del piccolo-medio capitale (soprattutto) settentrionale, che senza mettere in discussione i dogmi neoliberisti (es.: proposta avanzata da Matteo Salvini di flat tax al 20%) esige per i suoi rappresentati una confortevole riserva indiana all’interno della quale i padroni avranno piena licenza di sfruttare le maestranze. Questo ci ricorda che la contrarietà all’euro non conferisce in via automatica al soggetto X una patente di affidabilità: la moneta unica è solo uno dei tanti strumenti di cui si serve oggi il Capitale a guida anglosassone.
  4. A livello nazionale “in vista di quale finalità?” – l’ottenimento di una maggioranza parlamentare antisistema si annuncia “problematico” (eufemismo). Occorrerebbero anzitutto nuove elezioni, che attualmente non convengono all’ammucchiata PD-PdL (più orpelli). Lo sfacelo rappresentato dai dati economici fa da premessa a manovre dure e impopolari; se poi si materializzasse il fantasma della Trojka (il cui avvento qualcuno sconsideratamente auspica, come se l’unico rimedio contro la malasanità fosse il suicidio assistito), l’ipotesi di nuove elezioni degraderebbe a miraggio. Anche ammettendo che la prospettiva non sia irrealistica, bisogna tuttavia considerare il punto di vista del M5S, che (il condizionale è d’obbligo) potrebbe essere eventualmente disponibile a stringere patti federativi solo se in concreto giovevoli. Quando parliamo di “sinistra” dobbiamo fare i conti con una realtà odierna che non induce all’ottimismo. L’Altra Europa con Tsipras ha ottenuto, a maggio, un risultato “appetibile” e, per bocca della Spinelli, ha manifestato interesse a dialogare con Grillo – il problema è che, incapace di fissare un obiettivo chiaro e perseguibile, si sta dissolvendo. Il nodo da sciogliere - con un colpo di spada! - è rappresentato dai rapporti col PD (“l’altra parte”): i sellini rimasti vorrebbero una forma (innaturale) di collaborazione, la dirigenza del PRC la esclude a livello nazionale ma non a quello locale (l’alleanza-farsa alle regionali sarde è tutt’altro che una rondine solitaria), pochi volonterosi sostengono che il PD sta sulla sponda opposta. Finora si è scelto di non scegliere, dando il via libera ad accordicchi locali di centro-sinistra, che denotano soltanto incoerenza e mancanza di coraggio – da parte della Lista e del PRC stesso. Su questi fondamenti non si costruisce alcunché: certo non la fantomatica “alternativa possibile”. Lo ripeterò fino alla nausea: il piano locale va considerato inscindibile da quello nazionale ed internazionale. In verità, il peccato originale l’ha commesso Tsipras in persona, che ha utilizzato la candidatura europea come trampolino di lancio per la conquista del governo ellenico. Annacquando il programma e aprendo un canale con il PSE il leader greco pensa di evitare l’ostracismo di due anni orsono, ma nella migliore delle ipotesi – ove la sua scommessa si rivelasse, a breve termine, vincente – si candiderebbe a ripetere l’esperienza di Papandreou, prima ostaggio e poi vittima della triade BCE-FMI-UE (malgrado il suo programma elettorale di sinistra). E Ross@? L’accorato appello di Cremaschi a creare un’organizzazione stabile non è caduto nel vuoto, perché ha determinato la fuoriuscita – per ragioni tattiche – di Sinistra Anticapitalista: da allora il movimento non dà più segni di vita. E gli altri soggetti politici, i numerosi partitelli della galassia comunista? Si scontrano fra loro, si accapigliano come comari. La questione, in breve, è che solo il raggiungimento di una massa critica a sinistra invoglierebbe il M5S alla trattativa, gettando le basi di un futuro CLN. La Storia ci fornisce esempi innumerevoli di alleanze squilibrate, in cui una forza appare preponderante (es.: Cesare e le tribù galliche alleate), ma mai si è visto un condottiero venire a patti con un pugno di uomini, per quanto valorosi: a loro (a noi, finché numericamente irrilevanti) Grillo e i suoi potrebbero consentire di arruolarsi nell’esercito, ben difficilmente di accedere alla tenda del comandante. Prima di pensare a grandi alleanze dobbiamo stipularne una piccola fra noi, fondata sul minimo comune denominatore social comunista.
  5. Se la finalità è invece un superamento dell’attuale assetto con strumenti extra ordinem il dato quantitativo potrebbe perdere parte della sua importanza, oscurato da altri fattori come determinazione, capacità di analisi, esperienza ecc. Nell’eventualità in cui Grillo dia seguito alle sue dichiarazioni, focalizzando la propria attenzione sulle piazze anziché sul parlamento, la partecipazione di gruppi preparati e motivati potrebbe risultare preziosa. Le parole d’ordine? Presidiare, informare, convincere… ed anche, ovviamente, agire, contrastando l’attività del governo nazionale e delle lobby capitalistiche. Bloccare il Paese a giorni alterni (scioperi a scacchiera nei trasporti ecc.) è una necessità, più che un’opzione. L’approdo? La disgregazione dell’irredimibile Unione Europea, maschera di cartapesta di NATO e voraci gruppi economici – uno scopo che va conseguito tramite la collaborazione tra forze politiche e sociali (perlomeno) dell’area mediterranea. Un’altra Europa è possibile, ma va edificata su basi e con criteri totalmente nuovi.
  6. Soffermiamoci allora sul terzo livello, quello sovranazionale. La GUE ha colto, alle elezioni, un successo tanto modesto quanto effimero, passando da 35 a 52 deputati – 1/15 dei membri del Parlamento Europeo. Aggiungendo i Verdi (considerazione aritmetica, non politica!) si arriva a un centinaio: siamo lontanissimi dai numeri della maggioranza “costituzionale” formata dagli intercambiabili PPE, PSE e ALDE. Come ha constatato Curzio Maltese, il Parlamento riveste una funzione ornamentale e – inutilizzabile “censura” a parte – non ha alcun potere di incidere. Le prossime elezioni si terranno, se del caso, tra un quinquennio: capitolo chiuso. Gli unici a poter teoricamente cambiare le cose sono i governi. C’è modo di battere i pugni sul tavolo, secondo l’espressione cara all’amato premier? Altroché se c’è: si potrebbe minacciare l’uscita dall’Unione, attivando la barocca procedura prevista dal Trattato di Lisbona (non è indispensabile passare sotto le forche caudine del Consiglio, minacciare sarebbe sufficiente), oppure sospendere i trasferimenti alla UE (l’Italia è il terzo contribuente, con 16,6 miliardi versati su un bilancio complessivo per il 2014 di 142: negli ultimi anni, al netto dei “rientri”, la perdita media si aggirava sui 5/6 miliardi, senza contare che le risorse “restituite” dall’Europa hanno una precisa destinazione, stabilita altrove); in subordine, scalare dal contributo annuo i soldi spesi per Mare Nostrum e quelli che dovranno essere destinati alla sostituzione del naviglio militare usurato. Un’unica certezza: nessun esecutivo italiano “ragionevole” (cioè prono agli interessi neoliberisti) azzarderà mai questi passi.
  7. Conclusioni: la via d’uscita dall’euro passa inevitabilmente per il ripudio della UE, della NATO e di tutti i trattati connessi all’appartenenza a queste due organizzazioni poste a presidio delle esigenze del Capitale. Il traguardo è irraggiungibile, a meno che non si riesca a coinvolgere le masse popolari, persuadendole che non esistono alternative (escluse ovviamente schiavitù, miseria e assenza generalizzata di tutele). Anche nell’evenienza di una partecipazione attiva – precondizione sine qua non – la strada verso la liberazione somiglierebbe più al percorso seguito da Annibale per oltrepassare le Alpi che alla via Appia: gli ostacoli sarebbero infiniti. Militarizzazione della polizia (v. Ferguson, caso da manuale), svuotamento degli istituti democratici, asservimento ai ceti dominanti di media specializzati in guerra psicologica e creazione di “mostri” (da bombardare) sono soltanto alcune delle difficoltà con cui confrontarsi: prima di esercitare l’opzione militare l’elite capitalista farebbe ricorso alle sanzioni e scatenerebbe i c.d. mercati, la cui estrema pericolosità è un elemento assodato. Per attenuare l’impatto delle inevitabili contromisure bisognerebbe – come anticipato – allargare il fronte, mettendo assieme le forze politiche e sociali ostili al regime neoliberista in un arco geografico che va dalla penisola ellenica a quella iberica (un supporto del popolo francese migliorerebbe le prospettive). L’alleanza internazionale dovrebbe essere strettissima e, coinvolgendo formazioni eterogenee (non tutte esplicitamente social comuniste) sarebbe tenuta a porsi obiettivi apparentemente “neutri”: rafforzamento delle protezioni sociali, diminuzione delle disuguaglianze, sostegno alle produzioni locali, difesa dei diritti individuali e collettivi, socializzazione dei beni essenziali, impegno per la solidarietà internazionale, pace (garantita da adeguate capacità di autodifesa) ed equidistanza tra le potenze in competizione.

Alla lontana meta del Socialismo si può giungere senza strappi e corse in salita, camminando di buon passo – lungo la via, meglio non attardarsi in proclami: fanno perdere tempo, energia e ritmo.  




martedì 19 agosto 2014

In risposta all'articolo "Se anche a sinistra si invoca la Trojka", ovvero la tempesta ferragostana del sovranista furioso

Si pubblica di seguito la risposta di Riccardo Achilli all'articolo "Se anche a sinistra si invoca la Trojka", di Moreno Pasquinelli.



Pasquinelli, trasecolando e schiumando, invia una appassionata critica al mio articolo di qualche giorno fa, “L'inevitabile arrivo della Trojka”. Arrivando a paragonarmi a Scalfari ed a Monti, cioè a coloro che hanno lavorato, culturalmente e politicamente, per portare il Paese allo stato in cui è attualmente, cioè alla mercé della Trojka. Mentre io constato l'ineluttabilità di questo processo, oramai arrivato nella sostanza al punto di non ritorno, mancando solo una formalizzazione ufficiale, il Pasquinelli mi accosta esplicitamente a coloro che hanno creato il processo. Come dire: lo spettatore accostato all'attore.

Il mio articolo è sin troppo chiaro, non è equivoco. Parlare, come fa Pasquinelli, di una “sinistra che invoca la Trojka” è quindi una voluta strumentalizzazione dello stesso. E' del tutto evidente che nessuno stia invocando la Trojka, anche per una ragione di solare evidenza, a tutti tranne che a Pasquinelli, che (e questo è il suo errore fondamentale di lettura della realtà) nel suo articolo continua a farneticare di presunti “ultimi brandelli di sovranità”, per usare le sue parole. In realtà, è dal 2011, dalla famosa letterina di messa in mora di Berlusconi e Tremonti, che ciò che rimaneva della nostra sovranità è scomparso, e la Trojka è viva e lotta con noi. Sono anni che non c'è più sovranità nelle politiche economiche. Quindi sarebbe quantomeno inutile, da parte mia, invocare qualcosa che c'è già, ammesso e non concesso che fosse questo il mio intento.

E' invece molto utile auspicare che il teatrino di una fasulla autonomia nazionale nel fare le riforme “che ci chiedono i nostri figli”, come con abilità istrionica dice il nostro premier, crolli e che le dinamiche reali di eterodirezione delle nostre politiche economiche e sociali si palesino in modo evidente e visibile a qualsiasi cittadino, anche al meno informato politicamente. Perché questa evidenza è la condizione per una possibile, eventuale e sperabile, reazione di riscossa di un Paese che sta subendo in modo totalmente passivo il massacro sociale in atto. Senza che le dinamiche retrostanti siano chiare ed evidenti, è sempre facile manipolare l'opinione pubblica e incanalare lo sdegno verso falsi obiettivi. Diciamo che quello che sto affermando, ovvero che i pupari emergano in prima fila, anziché manovrare da dietro, dovrebbe essere un obiettivo fondamentale proprio di Pasquinelli e dei suoi soci alla ricerca di una reazione di orgoglio nazionale e patriottico, che non ci sarà mai fintanto che l'uomo della strada pensa di essere governato da qualcuno che “ha scelto lui”.

L'illusione ottica che vi sia ancora una sovranità nazionale da difendere, dopo 12 anni di moneta unica, dopo il fiscal compact, dopo il Six Pack, dopo l'entrata a regime del MIP, con i suoi meccanismi preventivi e sanzionatori per chi non rispetta le “raccomandazioni” formulate dal Consiglio Europeo al Governo nazionale, dopo che persino i disegni di legge di stabilità devono essere portati alla Commissione Europea per un vaglio preventivo, porta il Pasquinelli ad affermazioni che sarebbero grottesche, se non fossero tragiche. Accusa il sottoscritto di bramare oscure trame autoritarie, quando le riforme renziane stanno di fatto demolendo ogni residuo di democrazia parlamentare e pluralismo partitico, addirittura senza nemmeno che l'Europa abbia chiesto particolare attenzione alle riforme istituzionali (come dice Draghi quasi quotidianamente, come ripetono quotidianamente editorialisti del Sole 24 Ore, al servizio dell'euro-borghesia italiana, le riforme istituzionali non sono una priorità). Possibile che il nostro non veda il disegno bonapartista tutto domestico e casereccio nell'operato del premier rignanese? Possibile che tutti i mali debbano essere sempre esterni? Che una classe dirigente domestica in declino culturale e politico non sia in grado di elaborare, autonomamente, un progetto autoritario, nella speranza di sopravvivere ad una crisi che non riesce a risolvere? Accusare sempre un nemico immutabile di ogni male è, psicologicamente, un brutto sintomo.

Ad ogni modo, la politica è fatta di senso della realtà. Io propongo un commissariamento immediato che acceleri tutti i processi, sia lo smantellamento definitivo di una classe dirigente domestica oramai del tutto inadatta per qualsiasi cosa (a meno che Pasquinelli non la pensi diversamente su Renzi, nel qual caso me lo dica), sia una possibile reazione popolare, sia, e questo lo affermo co ngrande serenità, un sia pur piccolo cambiamento nell'asse delle politiche europee. Deflazione e recessione stanno iniziando a toccare anche la Germania. Possibile che la Merkel non se ne sia accorta? E come mai la Bundesbank non fa più opposizione ostracistica, come un anno fa, alle politiche monetarie espansive della Bce?

Ora, può anche darsi che io mi sbagli, e che invece non ci sarà né un cambiamento di classe dirigente nazionale, perché essa si metterà sotto protettorato europeo, né una reazione popolare, e nemmeno un cambiamento sia pur minimo di direzione delle politiche europee. Il problema è che altre strade a mio avviso non ci sono. A Pasquinelli che mi accusa di essere un incompetente in economia solo perché non aderisco alle sue proposte (bell'esempio di democrazia, che si chiama”stalinismo”, detto en passant) vorrei spiegare che il ripudio del debito, lo riscadenzamento del debito, la moratoria del debito, tutti rimedi peraltro suggeriti anche da economisti borghesi (qualcosa di simile lo suggerisce, per il nostro Paese, il non certo marxista Daily Telegraph, quotidiano della borghesia finanziaria britannica non certo animato da generose intenzioni rispetto all'Italia, che è pur sempre un concorrente) non sono contemplati nei Trattati europei. Poiché non ci sono le condizioni politiche per cambiare i Trattati, perché nessuno oggi in Europa è in grado di piegare la Germania, per fare le cose di cui sopra occorrerebbe rompere, cioè uscire dall'euro. Con conseguenze, in termini di fughe di capitali (solo in piccola parte contrastabili da controlli amministrativi, che peraltro, se prolungati, asfissiano l'economia, come avviene in condizioni prolungate di autarchia) e di boicottaggio da parte dei mercati finanziari inimmaginabili. Proprio la storia dell'Argentina che il Pasquinelli cita dovrebbe insegnarci che ci sarà sempre un giudice Griesa, da qualche parte, pronto a farci pagare con gli interessi un eventuale ripudio, anche parziale, del debito estero. Al netto del giudice Griesa, e di ciò che succederà realmente nei prossimi mesi in Argentina, sarebbe interessante capire da Pasquinelli chi investirebbe in un Paese a moneta svalutata e con una credibilità pari allo zero sui mercati finanziari. Dove questo Paese otterrebbe la valuta estera necessaria per pagare le importazioni necessarie a far funzionare la sua economia (atteso che l'Italia, per esempio, non è autosufficiente dal punto di vista energetico). E non voglio nemmeno citare le conseguenze più generali del ripudio di un debito pubblico immenso, detenuto per il 35% da soggetti esteri. Che rischierebbe di creare una nuova bolla di crisi finanziaria globale, inevitabilmente rivolta anche al nostro Paese, vista l'interdipendenza globale delle singole economie nazionali e dei mercati finanziari e creditizi.

C'è, a dire il vero, un rimedio suggerito dalla borghesissima Lucrezia Reichlin: una forma evoluta di haircut del valore nominale della quota capitale del debito pubblico ,da far pagare quasi essenzialmente al piccolo risparmiatore italiano. Una soluzione di questo genere potrebbe passare a livello europeo, perché gli haircut sono stati già utilizzati nel caso greco. Ma a pagare sarebbe la vecchietta che ha investito in Bot la sua pensione. Non certo le banche d'affari. Gli altri rimedi suggeriti dal Nostro, come spiego sopra, non sono praticabili, si ritorcerebbero contro di noi, e non varrebbe nemmeno la pena di parlarne, in un dibattito fatto con i piedi per terra, non sulla luna.


Probabilmente la calura estiva e l'ozio agostano, o forse la necessità di trovare un'audience cui mostrare muscoli da "duro e puro", spingono il Nostro a perdere tempo a ricercare inesistenti complotti Achilli/Scalfari (facendo troppo onore anche alle modeste capacità di influenza e relazione del sottoscritto, un semi-disoccupato vittima della crisi), cui appiccicare patentini di amici o nemici del popolo. O forse sollecitano il malumore. Non è un problema mio come gli altri impiegano il loro tempo libero ferragostano, d'altro canto.   

SE ANCHE A SINISTRA SI INVOCA LA TROIKA

Pubblichiamo l'articolo di Moreno Pasquinelli , apparso oggi su SOLLEVAZIONE giornale Telematico  del Movimento Popolare di Liberazione , in risposta all'intervento di Riccardo Achilli apparso qualche giorno fa sul nostro Blog ..


di Moreno Pasquinelli

19 agosto. La storia, com'è noto, è luogo di incessanti cambiamenti. Mutamenti che a volte sono sostanziali, a volte solo formali. Prendiamo la storia dei movimenti di emancipazione delle classi subalterne, quelli che in generale sono stati rappresentati dalla sinistra. Quest'ultima è stata sempre attraversata dalla divisione tra l'ala rivoluzionaria e quella riformista. Sulla carta queste due tendenze erano concordi sul fine, il socialismo, per divergere sui mezzi e le alleanze per raggiungerlo. Questa irriducibile opposizione tra l'ala rivoluzionaria e quella riformista esiste anche oggigiorno ma, date le circostanze, si manifesta in forme del tutto inedite.

In Europa lo spartiacque tra rivoluzionari e riformisti consiste anche nella questione dell'Unione europea. La sinistra riformista odierna—non parliamo certo del Pd che è un partito passato con armi e bagagli dalla parte delle classi dominanti—condivide il disegno unionista e considera "progressista" seppellire per sempre gli stati-nazione. La sinistra rivoluzionaria, all'opposto, è sovranista: condanna senza appello questa Unione europea in quanto funzionale agli interessi antipopolari e imperialistici delle classi dominanti, e ritiene che la difesa della sovranità nazionale, a cui è incardinato il principio democratico della sovranità popolare, sia oggi un decisivo terreno di resistenza e di scontro coi dominanti. Se si perde questa battaglia, se le diverse aristocrazie ultra-capitalistiche riusciranno a sbarazzarsi degli stati-nazione (che essi considerano degli ostacoli sulla via del loro dominio dispiegato) le classi proletarie saranno ridotte ad un stato di semi-schiavitù, la democrazia sarebbe anche formalmente rimpiazzata da un regime di dispotismo neoliberista.

La "sinistra unionista" è rappresentata in Italia da quelle frazioni politiche che in un modo o nell'altro han fatto parte o si sono riconosciute nella "Lista Tsipras". Il loro cavallo di battaglia è difendere l'Unione europea, ed anche il regime dell'euro, ma spogliandola dei suoi tratti liberistici e antipopolari. Che questa strategica sia non solo aleatoria ma votata al fallimento l'abbiamo spiegato in più occasioni.


Un segno di questo fallimento senz'appello si manifesta in un fenomeno inquietante: con la comparsa, reggetevi forte, di una sinistra che invoca apertamente l'arrivo della Troika. No, no, non stiamo parlando di Eugenio Scalfari, e nemmeno di qualche esponente del Pd; stiamo parlando proprio di "compagni" che solo due mesi fa inneggiavano a Tsipras. Vi segnaliamo l'intervento di Riccardo Achilli, pubblicato su un sito insospettabile:Bandiera rossa in movimento. Il titolo dell'intervento è programmatico e non lascia adito a dubbi:L'inevitabile arrivo della troika: perché è inutile e controproducente resistergli.

Ne consigliamo la integrale lettura. Cosa dice in sostanza Achilli? Egli parte da un elemento di analisi giusto: che l'attuale recessione più deflazione, colpendo l'Unione mentre la crisi dell'euro è ancora viva, rischia di far saltare tutta la baracca. In particolare l'Italia, che ha una classi dirigente del tutto inetta, Renzi pifferaio Renzi compreso, potrebbe andare in default e fra crollare tutto l'edificio dell'Unione. Dico ce ne scampi! grida Achilli. Quindi, ecco la agghiacciante conclusione, meglio che arrivi la Troika, e prima arriva meglio è.

Non pensino i lettori che Achilli si nasconda dietro un dito o infarcisca il suo augurio con discorsi demagogici. Sentiamo:
«L'ultima corsa è finita, e le luci dell'ippodromo si stanno spegnendo. Togliamoci dalla testa l'idea che l'uscita unilaterale dall'euro, come farneticano Grillo ed i sovranisti, sia praticabile. (...) il tracollo economico italiano non se lo può permettere nessuno dei nostri partner, per cui, di fronte alla conclamata incapacità della classe politica italiana nel fornire le risposte riformiste attese dal resto dell'area-euro (e certificata dall'autentica valanga di giudizi negativi su Renzi piovuti dai giornali di tutta la comunità finanziaria internazionale), l'arrivo della Trojka non è una eventualità, è una certezza. Detto arrivo assumerà la forma di contratti per le riforme strutturali, che dovranno essere fatte nei modi e nei tempi decisi da Bruxelles, in cambio di flessibilità sul percorso di riduzione del deficit. (...) A quel punto, che al Governo ci sia Renzi, Passera, Monti oppure Satana non cambierà niente. Perché il programma economico e sociale del Paese, e la sua tempistica, saranno eterodiretti. (...) Oppure, come si fa con una azienda quando la sua proprietà si rivela incapace di farla uscire dalla crisi, consegnare le chiavi a qualcun altro il più presto possibile. Se, come detto prima, è inevitabile, allora sarà meglio che questo passaggio di sovranità verso la Trojka avvenga subito, quando è ancora possibile far decadere le riforme istituzionali antidemocratiche varate da Renzi... Non è detto, peraltro, che il commissariamento europeo sia peggiore del disastro che sta combinando lo scout fiorentino di campagna. (...) E' probabile dunque che la Trojka ci tratti meglio della Grecia, in termini di politiche per la crescita. (...) La speranza è che gli italiani, con il commissariamento della Trojka, si rendano conto della pessima qualità della loro dirigenza endogena, e, in una logica europea, se ne liberino. Anche la sinistra, imparando a ragionare in un quadro europeo, dove esistono ancora partiti progressisti, potrebbe trarne giovamento e rilanciarsi, superando un dibattito domestico oramai piuttosto angusto, e ricostruendo, in una logica più vasta di quella italiana, un radicamento sociale, che è ancora presente negli altri grandi Paesi europei. Allora forza. Che cada Romolo Augustolo e la sua corte di badanti e veline. Meglio subito e non fra un anno, quando il Paese sarà ulteriormente fiaccato da questi incompetenti.
Compito di ciò che resta della sinistra italiana sarà allora quello di tentare, sia pur in un contesto difficilissimo e quasi disperato, di "strappare", per quanto minimamente praticabile, le migliori condizioni possibili per tale cessione di sovranità, contrastando gli aspetti meno accettabili socialmente delle riforme strutturali che ci saranno imposte».
 E così conclude: 
« Non ci dobbiamo illudere, comunque. Il futuro sarà duro e oscuro. Non ci sono, nel breve periodo, scappatoie. Si tratta solo di cercare di ridurre al minimo la sofferenza. E di liberarsi di una classe dirigente da Paese del Terzo Mondo. Di conferire un qualche aspetto catartico alla catastrofe».
 A ben vedere si tratta della stessa posizione che espresse Monti nell' agosto 2011 sul "Podestà forestiero" e recentemente di Eugenio Scalfari, ribadita su Repubblica del 3 agosto:
«Dirò un'amara verità che però corrisponde a mio parere ad una realtà che è sotto gli occhi di tutti: forse l'Italia dovrebbe sottoporsi al controllo della troika internazionale formata dalla Commissione di Bruxelles, dalla Bce e dal Fondo monetario internazionale».
Noi siamo francamente basiti. Scalfari, col suo "forse" lascia aperta la porta al dubbio, Achilli invece non ha dubbi: invoca un regime di protettorato dichiarato, una cessione decisiva degli ultimi brandelli di sovranità alla Troika, ovvero non solo all'euro-germania, ma agli organismi della finanza speculativa globale. Il tutto per evitare un default che per Achilli, dimostrando una davvero scarsa competenza in materia economica, sarebbe la peggiore delle tragedie. 

Se Achilli si fosse peritato di studiare seriamente la storia dei default, compreso quello argentino, scoprirebbe che solo negli ultimi trent'anni han fatto default (che significa insolvenza non bancarotta!) una trentina di paesi, e che questi, proprio grazie a default programmati, proprio perché hanno punito gli avvoltoi della finanza speculativa, hanno tutti visto una rinascita economica. Perché Achilli non voglia prendere in considerazione una moratoria sul debito, un ripudio del debito verso la finanza speculativa, resta un mistero. Un tale ripudio è invece una delle misure che, accanto alla riconquista della sovranità politica e monetaria, potrebbe consentire al Paese come minimo di non affondare e poi di trovare le risorse per un piano che punti alla rinascita degli investimenti in vista della piena occupazione, ciò che implica che lo Stato ritorni al centro anche in campo economico e quindi un aumento e non una diminuzione della spesa pubblica. Tutte cose proibite dai Trattati dell'Unione, tutte cose che implicano la riconquista della piena sovranità politica da parte del nostro Paese.

Va da se che l'arrivo della Troika significherebbe tutto il contrario: una durissima austerità ai danni del lavoro salariato, privatizzazioni, taglio dei diritti sociale, predominio assoluto del capitale. Se poi arriverà la "crescita" questa avverrà solo dopo che il popolo lavoratore sarà ridotto alla fame e in stato di semi-schiavitù.

Che un simile carnaio susciti aspri conflitti sociali, anche Achilli dovrebbe metterlo nel conto. Coloro che a destra invocano la Troka lo sanno bene, dimostrandosi molto più "marxisti" del Nostro. Ed essi sanno bene che il regime di protettorato non sarebbe solo economico, ma pure politico, con inevitabile sospensione della democrazia e dello Stato di diritto, con la repressione dispiegata della rivolta sociale. Non avremmo più una Repubblica ma un regime di dittatura esterna amministrato da dei Quisling.

Solo in un sanatorio uno che invoca un simile funereo destino sarebbe considerato "di sinistra".

domenica 17 agosto 2014

LA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA E' IN PERICOLO E SI FA POCO O NIENTE di Felice Besostri






Il senso delle riforme istituzionali ed elettorali di Renzi è chiaro, non la strategia di chi si oppone, come le vicende al Senato hanno dimostrato. Sono costretto a fare un discorso personale, ma è necessario. Insieme con altri colleghi abbiamo intrapreso azioni giudiziarie per portare il “Porcellum” al controllo di costituzionalità. Ci siamo riusciti dopo 7 anni in assoluto silenzio fino all’ordinanza di rinvio della Cassazione il 17 maggio 2013. Non solo il “Porcellum” è stato annullato in due disposizioni fondamentali, Premio di Maggioranza e liste bloccate, ma cosa più importante la Corte di Cassazione con sentenza numero 8878/2014 ha accertato che erano stati violati i diritti costituzionali dei ricorrenti dalla data di entrata in vigore del “Porcellum” fino alla data di deposito della sentenza n.1/2014 della Corte Costituzionale. Questa sentenza è importante perché sancisce l’esistenza di un rimedio giuridico contro le leggi elettorali incostituzionali, altrimenti blindate dall’art. 66 Cost., il vero ostacolo a far applicare la sentenza di annullamento del “Porcellum”. 
Non per nulla della sentenza della Cassazione non si è quasi parlato. Lo strumento è stato ancora una volta utilizzato da alcuni avvocati da me coordinati per la legge elettorale europea provocando ben 3 rimessioni alla Consulta (Tribunali di Venezia, Cagliari e il 12 agosto Trieste), ma tre Tribunali devono ancora pronunciarsi (Milano, Napoli e Roma). 
Altro insegnamento non bisogna puntare come vorrebbe l’Avvocatura dello Stato su un Tribunale solo quello di Roma, perché quello che è incostituzionale per Venezia la soglia di accesso è perfettamente costituzionale per Cagliari e Trieste, che invece sono stati durissimi sulla discriminazione delle lingue minoritarie, che per Venezia non erano importanti pur essendo il Nord Est la circoscrizione europea che con Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia era la più interessata dalla questione. 
Le elezioni europee quelle con il miglior risultato percentuale (NON IN VOTI ASSOLUTI) della storia di PD, DS, PDS e PCI sono state alterate da norme incostituzionali e contrarie al Trattato di Lisbona anche per la mancanza di coraggio, tranne che i Verdi, di presentare liste in conformità della normativa europea e non della sola legge italiana. Ci sarebbero state tutte le condizioni per un annullamento parziale di quelle elezioni. Della incostituzionalità della legge elettorale europea avevo informato i Presidenti della Camera e del Senato e con l’audizione in Commissione Affari Costituzionali della Camera il 14 Gennaio 2014 tutti i gruppi parlamentari. Ebbene si sta procedendo con un procedimento elettorale incostituzionale di secondo grado per le Città Metropolitane e per le ex Province. E’ un passo in avanti: con i premi di maggioranza si vuol sapere chi ha vinto la sera stessa delle elezioni, con le elezioni indirette si vuol sapere chi vince LA SERA PRIMA DELLE ELEZIONI!
QUALCUNO HA NOTIZIA DI UNA MOBILITAZIONE POLITICA SU QUESTO PUNTO CAPITALE? Nelle regioni la maggioranza delle quali voterà la prossima primavera non votano (Lazio, Lombardia, Sardegna, Abruzzo, Molise, Basilicata, Piemonte e Friuli Venezia Giulia) sono in vigore leggi elettorali di sospetta costituzionalità alla luce dell’ordinanza del Tar Lombardia sempre su un ricorso promosso dagli stessi avvocati e già pubblicato sulla G.U. Serie Speciale del 11 giugno 2014. Tra le leggi regionali che possono essere impugnate vi è anche quella della Puglia perché l’opposizione ha fatto saltare il tentativo di riforma. Un tentativo che sarebbe stato rafforzato dall’esistenza di un ricorso per incostituzionalità. 
Altro punto di incostituzionalità comune alle leggi elettorali regionali è la violazione dell’art. 51 Cost. sul requilibrio della rappresentanza di genere, anche in regioni rette dal centro-sinistra e con la presenza di formazioni di sinistra nella maggioranza. Non solo alcune Regioni (Toscana e Liguria) stanno per approvare nuove leggi elettorali, che se ne fottono della sentenza sul “Porcellum” e che sono una versione regionale dell’Italikum. Avete notizia che di questo si parli, o si annuncino mobilitazione, pur aggravando gli effetti della riforma del senato poiché spetterà ai futuri consiglieri regionali eleggere i senatori. Ho preso una decisione perché non sono un generico avvocato democratico, ma un avvocato socialista, che crede nel nesso indissolubile tra socialismo, libertà e democrazia, che non sono disponibile ad azioni individuali e solo giudiziarie senza valenza politica. Dall’opposizione all’Italikum, alla riforma costituzionale, alle leggi elettorali regionali maggioritarie alle elezioni di Città Metropolitane e ex Province in violazione dell’art. 3 della carta Europea delle Autonomie locali, ratificata dall’Italia senza riserve tutto si deve collegare. Se chi è stato colpito dalla crisi, chi è precario, chi è disoccupato o non riesce ad arrivare alla fine del mese, chi non appartiene al 10% che possiede il 50% della ricchezza nazionale non può scegliere chi lo rappresenti nelle istituzioni, come si può pensare che si faranno provvedimenti a loro favore? 
L’argomento che le riforme elettorali non interessano la gente, va rovesciato: si vuole che non interessino per poter manipolare il voto e non dar loro rappresentanza politica. Tanto l’1% dei più ricchi si fa rappresentare in misura più che proporzionale dalla classe politica. Il voto non deve essere uguale ovvero lo si deve poter comprare con 80 euro al mese. A spese nostre!