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venerdì 6 maggio 2011

Perchè non siamo nel baraccone antifascista del PCI di Onorato Damen


(da Battaglia comunista n. 10 - maggio 1973)
Stiamo tornando nel clima storico che abbiamo dolorosamente vissuto e nel quale la lotta politica era ridotta all'urto tra fascismo e antifascismo, che polarizzava i partiti e le rispettive masse in due fronti solo apparentemente contrapposti.
Allora, dagli anni Venti in poi, solo la Sinistra italiana mise in evidenza l'imbroglio e i falsi scopi ideologici e politici che si nascondevano dietro questo binomio fascismo-antifascismo, e indicò come sola cosa valida la continuazione di una strategia di classe tanto sul fronte della lotta operaia come su quello della guerra imperialista.
L'esperienza fatta in questi ultimi decenni ha dimostrato chiaramente come fascismo e antifascismo altro non sono che due escrescenze sociali e politiche del capitalismo, venute fuori dalla sua matrice storica, e nel quale e per il quale entrambi hanno operato, anche se l'uno in senso regressivo di destra e l'altro in senso progressivo di sinistra; regressivo e progressivo che si sono dimostrati, nei momenti più difficili del sistema, i due ingredienti utili e indispensabili ad una saggia politica di conservazione del sistema.
Qualche richiamo storico che evidenzi il fenomeno. Nella strategia interimperialista della Seconda guerra mondiale, il capitalismo, nella unità mondiale dei suoi interessi di classe, ha potuto sbarrare la strada ad ogni tentativo di soluzione rivoluzionaria proprio in virtù di questa sua apparente estraneità allo schema tattico imperniato sulla polarizzazione delle masse verso i due poli dello schieramento politico fascismo-antifascismo. Per questo, alla sconfitta del nazismo in Germania e del fascismo in Italia, il capitalismo è stato in grado di ricostruire il tessuto della economia e i tradizionali organi di potere, dal momento che la dittatura, battuta sul piano eemilitare, era costretta a passare la mano alla democrazia parlamentare, cioè un passaggio di potere dal fascismo all'antifascismo, che avveniva nell'ambito del sistema e non contro di esso.
Come si vede, si tratta di due momenti della dialettica formale al servizio del potere, e in nessun caso di contraddizioni fondamentali proprie della dialettica rivoluzionaria.
Ricordiamo che ad onta dei nostri gravi e insanabili dissensi interni, la lotta contro il fascismo condotta dai comunisti di ogni tendenza, relegati nei reclusori e nei campi di concentramento, significava per tutti lotta a fondo contro tutto il capitalismo e tale assunto strategico non era stato ancora contaminato dalla lebbra della "democrazia progressiva" ispirata poi da Mosca.
Sarà questo il compito maggiore e completamente riuscito del "giolittismo" di Togliatti: fin dallo sbarco a Salerno ebbe di mira l'imbrigliamento del P.C.I., quello di Livorno, per farne un puntello del potere repubblicano; operò un radicale ribaltamento ideologico e politico costringendo a piegare la schiena i vecchi quadri disillusi e invigliacchiti, e immettendo nel partito nuovi e giovani quadri provenienti dal dissolvimento fascista e dalle più disparate correnti ideologiche, a tinte più o meno libertarie ma obiettivamente piccolo borghesi.
Al ribaltamento delle ideologie, da rivoluzionaria a conformista, faceva inevitabilmente seguito una forse meno avvertita, ma non per questo meno grave, dislocazione delle forze che modificava la natura del partito, da partito di classe a partito genericamente operaio a direzione qualunquista. A Togliatti riconosciamo il merito di aver portato a compimento l'opera che passerà alla storia come la svolta "rivoluzionaria" contro il sistema per rafforzare ...il sistema stesso.
E sarà questa la linea di sviluppo, il "corso nuovo" del partito di Togliatti, che nella situazione di apertura alle forze democratico-parlamentari, resa possibile dalla vittoria delle armate, soprattutto americane, troverà la base sociale e politica per svolgere il suo ruolo di incanalamento e di guida particolarmente dei ceti medi, ora chiamati a continuare negli istituti della democrazia la politica che gli stessi avevano sperimentato nel seno dello Stato corporativo del Ventennio fascista.
Sono le masse di riserva che la rivoluzione tecnologica e il neo-capitalismo hanno in questi anni generato e dilatato a dismisura, creando le condizioni oggettive e soggettive di una realtà socio-economica di enorme ampiezza e di rilevanza politica tutt'altro che marginale.
La crisi monetaria, la crisi del profitto, l'inflazione e la disoccupazione hanno poi colpito e ridimensionato in modo particolare il settore vasto ed asfittico delle medie e piccole aziende, mettendo in movimento strati considerevoli della media e piccola borghesia. Sono le categorie sociali situate tra il capitalismo e il proletariato, continuamente sballottate tra questi due poli opposti e perciò instabili e insofferenti, prive di una propria base economica, dedite ad attività di natura prevalentemente parassitaria e disposte quindi ad offrirsi ora alle iniziative più avventate sotto il segno del mito della violenza come negli anni del Ventennio, ed ora al mito della potenza dei numeri e dei voti per la conquista di una maggioranza elettorale democratica nel parlamento e nel governo, che costituisce l'aspirazione limite del partito di Amendola e di Berlinguer. L'accaparramento organizzativo di queste forze sociali è oggi l'obiettivo massimo e immediato di tutti i partiti dell'arco cosiddetto costituzionale e delle stesse frange dei gruppi extraparlamentari.
E' indubbio che a beneficiare di questa situazione doveva essere soprattutto il partito picista che più di ogni altro ha fatto proprie le istanze delle classi medie, volubili e politicamente informi. Il partito che più di ogni altro ha manovrato fin qui con una politica di fittizia ed epidermica opposizione parlamentare, sempre di grande presa sulle masse in genere, e soprattutto ha saputo usare a suo favore lo spauracchio fascista per ramazzare forze vecchie e nuove sul fronte dello schieramento antifascista, utile per lo meno a legittimare il suo diritto ad una fetta del potere.
Si tratta di un contesto politico, questo, del tutto estraneo al marxismo e si situa, senza possibilità di equivoci, dalla parte opposta della barricata di classe.
Che sulla linea della lotta rivoluzionaria la Sinistra italiana si trovi ancora sola o quasi, è la prova di una continuità conseguente al marxismo che vuole che la lotta contro il fascismo non sia un espediente tattico di difesa democratica e di conquista di voti (il M.S.I. non è forse un partito dell'arco costituzionale?) ma colpisca nel cuore il capitalismo che lo ha generato.


Fonte:http://www.giovanetalpa.net/DAMEN.htm


   
  

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