Evento paradigmatico della storia del Pci nell’immediato dopoguerra è la cosiddetta svolta di Salerno. Siamo nel marzo del 1944: Togliatti torna in Italia e propone la costituzione di un governo presieduto da Badoglio con la collaborazione di tutti i partiti antifascisti, compreso il Partito comunista. È una scelta che vuole allontanare il Pci –e i suoi militanti e partigiani- da qualsiasi ipotesi di insurrezione o presa del potere da parte dei lavoratori nel corso della resistenza antifascista. La prospettiva che si delinea è quella dell’inserimento a pieno titolo del Pci nella dialettica delle forze politiche del capitalismo italiano postfascista: significherà la partecipazione dei comunisti a governi di unità nazionale, in blocco con la borghesia italiana. Togliatti è esplicito: “La classe operaia abbandona la posizione unicamente di opposizione e di critica che tenne in passato, intende oggi assumere essa stessa, accanto alle altre forze conseguentemente democratiche, una funzione dirigente nella lotta per la liberazione del paese e per la costruzione di un regime democratico”. Si rompe con la linea strategica del Congresso di Lione e, più in generale, si abbandona il fine del potere operaio: Togliatti dirà espressamente che il Pci non si pone l’obiettivo di fare come in Russia.
In realtà, l’immagine della “svolta” è una finzione storiografica. Le scelte del 1944 affondano le radici nella strategia dei fronti popolari, ufficializzata al VII Congresso dell’Internazionale Comunista, che si tiene a Mosca dal 25 giugno al 20 agosto 1935. Tra il 1933 e il 1934 si assiste a un mutamento, nelle analisi politiche dell’IC, rispetto alle precedenti posizioni assunte nei confronti del fascismo: abbandonata la teoria del “socialfascismo”, si afferma la necessità della costituzione di larghe alleanze (di governo) antifasciste. Trotsky coglie la gravità della nuova strada intrapresa fin dagli inizi: “dopo il terzo periodo di avventure e di vanterie, è giunto il quarto periodo, quello del panico e delle capitolazioni (…). Secondo le leggi della psicologia politica, lo spirito di avventura e la storditezza si sono trasformati in prostrazione e in capitolazione (…): battere in ritirata a tempo opportuno, allontanare le truppe rivoluzionarie dalla linea di fuoco e tendere al fascismo una trappola che consisterebbe… nel potere governativo. Se questa teoria venisse definitivamente adottata nel Partito comunista tedesco (…) bisognerebbe vedervi da parte dell’Internazionale comunista un tradimento di una gravità storica non inferiore a quello commesso dalla socialdemocrazia tedesca il 4 agosto 1914”[ii]. Quello che Trotsky teme prendendo in esame la situazione tedesca troverà compiuta realizzazione nella politica dei fronti popolari, ovvero nella teorizzazione dell’unità tra le classi contro il nemico fascista.
Il ruolo di Togliatti in questo processo non è per nulla di secondo piano: da ligio esecutore –e organizzatore- delle direttive dell’Internazionale staliniana, fin dagli inizi si adegua pienamente alla nuova politica. Nel 1934 il progetto della partecipazione del Pci (allora ancora Pcd’I) ad un governo di fronte popolare in Italia, nella fase successiva alla caduta del regime, è già chiaro e ben delineato nella testa del compagno Ercoli. Non a caso, sin dagli inizi degli anni trenta, comincia da parte di Togliatti –in perfetta armonia con tutto il quadro dirigente dell’IC- una revisione dell’interpretazione del fascismo, non più letto come espressione del grande capitale nel suo complesso, ma piuttosto “degli elementi più reazionari e sciovinisti della borghesia”. Inoltre, si comincia a parlare di “profonde trasformazioni delle classi medie” -che tenderebbero a dislocarsi su posizioni anticapitaliste- e si invitano gli operai più coscienti a sviluppare un’azione legale all’interno dei sindacati fascisti (Togliatti arriverà addirittura a individuare elementi “progressivi” nella stessa organizzazione fascista delle masse: basti ricordare l’analisi togliattiana del dopolavoro fascista quale “incremento oggettivo della socializzazione delle masse”).
Già qui prende corpo la successiva rivendicazione della strategia della “democrazia progressiva”: nel ’44 non c’è nessuna svolta, piuttosto la prosecuzione di un percorso avviato agli inizi degli anni trenta in accordo totale con l’Internazionale staliniana. Nel dicembre del 1945, in un rapporto al V Congresso del Pci, Togliatti chiederà ai militanti del suo partito di dichiararsi repubblicani “per raccogliere e continuare l’eredità della più nobile corrente del Risorgimento”; chiederà loro di accantonare la pregiudiziale antimonarchica per trattare con i Savoia la formazione di un governo di unità nazionale; chiederà alla classe operaia di diventare “classe nazionale” e partecipare alla ricostruzione “accanto alle masse cattoliche e contadine” (leggi in alleanza di governo con la Dc). La parola d’ordine della “democrazia progressiva” ricorda un po’ la bertinottiana “sinistra di alternativa”: un eufemismo per parlare della collaborazione di classe, che nell’immediato dopoguerra si configura come blocco di governo tra Pci, Psi e Dc.
Il tradimento era stato già perpetrato,l'anno precedente,con la partecipazione nel CNL. lo strumento di lotta partigiana contro il nazifascismo ,in Italia, che già rendeva implicita la finalità di creare un accordo politico con la borghesia monopolistica e finanziaria italiana che avrebbe dato vita ad uno Stato,sostanzialmente guidato dalla stessa borghesia . Si seguiva la linea dei Fronti popolari inaugurata al VII Congresso dell'Internazionale,susseguitasi a quella disastrosa del "social-fascismo" che aveva permesso l'ascesa di Hitler al Potere in Germania,nel 1933. A Salerno ,però,si aggiungeva un aspetto nuovo che avrebbe creato dei contrasti molto duri con le forze repubblicane e socialiste di Nenni: l'appoggio alla forma monarchica di Stato, anzichè a quella repubblicana come da accordi presi in precedenza con le forze politiche di quest'area. In sostanza veniva offerto appoggio e collaborazione al governo Badoglio,del luglio 1943,e alla monarchia dei Savoia che portava la responsabilità di non essersi opposta al "golpe" fascista,nel 1922! Perciò,neanche un'alleanza con l'ala democratica e radical repubblicana,ma con la forma più retriva di Stato borghese: quella della monarchia costituzionale che aveva preso piede durante e dopo il Risorgimento italiano! La stessa decisione sarebbe stata presa anche in Iugoslavia,in Grecia etc. dalle compagini staliniste.Altro che democrazia progressiva! Era evidente che lo stalinismo (Togliatti era un maggiordomo) doveva cedere alle garanzie richieste dall'imperialismo anglo-americano e alle loro pressioni per sventare eventuali travasi rivoluzionari dal basso,dopo la caduta del regime fascista e la guerra civile che era in atto,non solo tra fascisti ed antifascisti,ma anche dentro le stesse formazioni partigiane e del movimento comunista che tenevano testa all'egemonia staliniana.
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