Nella nuova configurazione che assume il meccanismo di funzionamento del capitalismo multinazionale- flessibile, a partire dal 1973, ossia il passaggio da un regime fordista di produzione in serie, rigida ed autoritaria, a uno basato sulla decentralizzazione globale e della organizzazione a rete, lo scopo principale rimane sempre quello di ricavare maggiori profitti, sia pure in tempi brevi, assieme a un maggiore potere di controllo sulla forza- lavoro mondiale.
Il capitalismo, cioè, si riorganizza attraverso il decentramento globale, la mobilità geografica e la risposta flessibile sui mercati del lavoro (precarizzazione), nei processi produttivi e nei mercati al consumo "accompagnando il tutto con dosi robuste di innovazioni nelle istituzioni, nei prodotti e nelle tecnologie".
Ciò non significa la sparizione del "Centralismo", che si è camuffato nelle forze impersonali del mercato e dietro la maschera metafisica della finanza internazionale, ma, al contrario, la sua piena realizzazione a livello universale, mediante il trasferimento della funzione centralizzatrice verso entità produttive multinazionali e potenti organizzazioni finanziarie (banche multinazionali, istituzioni finanziarie sovranazionali,etc.) che condizionano il mondo affaristico e quello del lavoro sussumendolo sotto le loro strategie globali. Esse governano la liquidità monetaria internazionale e comandano i flussi di capitale finanziario-speculativo e di marketing (Vedi la multinazionale Benetton).
Si è affacciato un nuovo modo di gestire il rapporto tra centralismo e decentramento del potere economico che ha sempre accompagnato il capitalismo.
Alcuni studiosi, recentemente, hanno preso degli abbagli, confondendo il processo di decentramento globale con la nascita di una nuova soggettività creativa (la moltitudine), che avrebbe acquisito una capacità di "classe per sè" tale da potere colpire alcuore il capitalismo globalizzato odierno, togliendo di colpo alla classe operaia internazionale questa prerogativa (miseria della filosofia attuale!). Al principio cardine del nuovo modo di funzionamento capitalistico, ossia: la deregulation, si è affiancato, in coalescenza, il potere monopolistico di soggetti o enti,aventi strategie produttive, finanziarie e di marketing alivello mondiale che rilevava la crescita esponenziale, negli anni '70, della rete di piccole imprese che producevano su piccola scala e con l'attenzione rivolta ai mercati specifici. In seguito, con la diffusione dei contratti di subappalto e il sorgere di piccole imprese coinvolte in operazioni su larga scala, spesso coordinate da compagnie multinazionali, l'attuale riorganizzazione capitalistica prende piede e si consolida.
Oltre che sulle piccole imprese, il capitalismo odierno si avvale anche dell'apporto delle imprese artigianali e di quelle domestiche, patriarcali, anche nei Paesi avanzati (vedi l'importanza di tali forme di lavoro presso l' immigrazione in California di popolazioni provenienti dal Sud-Est asiatico).
A tutto ciò v'è da aggiungere la miriade di imprese di tipo familiare, gestite,in gran parte,da un capitalismo illegale, di stampo criminale, che esercita un potere assoluto sulla forza lavoro impiegata al suo interno (lavoro nero, cancellazione dei diritti,condizioni schiavistiche di lavoro, etc) che, lungi dal rappresentare un'eccezione, si affianca all'economia legale, nel panorama di sfruttamento capitalistico del lavoro, come risposta alle dure leggi della competitività internazionale, ricorrendo ai codici della violenza criminale!
Si può affermare, allora, che il capitalismo,nella forma decentrata odierna, rappresenti una più estesa e flessibile articolazione del comando sulla forza-lavoro internazionale, mentre si muove in un contesto dominato da dispersione, mobilità geografica e precarizzazione sui mercati del lavoro, nei processi produttivi e nei mercati al consumo.
Il coordinamento centralistico provvede a ricucire la frammentarietà e le differenze essenziali presenti nel sistema flessibile, grazie al controllo dei flussi di informazioni e di un sapere universitario di tipo commerciale, onde le conoscenze vengono subordinate ai vasti interessi del capitale delle grandi aziende. Si assiste così alla presenza dominante di un capitalismo cognitivo che si dimostra capace di analizzare istantaneamente una montagna di dati in modo da forgiare "adeguate risposte alle variazioni dei tassi di cambio, di quelli d'interesse, delle mode, dei gusti, e alle masse di concorrenti".
L'altro versante su cui si erge,oggi,il nuovo potere centralistico, ad arte obliato dai cantori del fenomeno della decentralizzazione globale, è la riorganizzazione del sistema finanziario mondiale grazie alla deregulation e all' innovazione finanziaria.
Si assiste così alla formazione un unico mercato mondiale per l' offerta di moneta e di credito.
Senza la riorganizzazione del sistema finanziario internazionale, sia sul versante della "governance" globale delle economie, in quanto centralizza i flussi di moneta e di credito attraverso le istituzioni finanziarie sovranazionale (FMI, Banca mondiale, WTO, OCSE, BCE, etc, dentro cui si esercita il dominio reciproco e antagonistico delle oligarchie dei Paesi avanzati), che da quello della fioritura di nuovi strumenti finanziari estremamente sofisticati,non sarebbe stato possibile introdurre il sistema flessibile nei mercati del lavoro, nella produzione e nel consumo. In tale nuovo contesto, gli stati nazionali risultano indeboliti in quanto potenze autonome, rispetto al capitale finanziario internazionale del periodo fordista-keynesiano.
Essi si avviano a trasformarsi in stati "proconsoli" dell'Impero finanziario (articolato in tre-quattro centri che competono per il dominio assoluto del mondo), in quanto esercitano importanti poteri nel campo della disciplina del lavoro; non hanno strumenti adeguati per intervenire nei flussi e nei mercati finanziari, sono diventati più" vulnerabili nei confronti della crisi fiscale e della disciplina del settore monetario internazionale". Le conseguenze le abbiamo sotto gli occhi: un sistema finanziario che gode di piena autonomia, portando il capitalismo in un' era caratterizzata da pericoli finanziari senza precedenti.
Ciò che Marx descriveva come "sussunzione reale" del lavoro al denaro e al capitale, si configura oggi, in modo più specifico, come sussunzione del lavoro alla finanza e al debito. Difatti, è attraverso gli indebitamenti privati e pubblici (deficit statali, debito interno ed estero degli Stati,etc.), non che per la mobilità geografica dei fondi che raccolgono capitali per l'investimento e la trasformazione di questi in prestiti industriali, commerciali e immobiliari, offerti più per ragioni speculative che per promuovere lo sviluppo di ricchezza reale, che si è creato un monte Everest di economia cartacea che mira alla conquista di profitti a breve termine senza riferimento più all'economia reale.
Vedi la recente crisi dei mutui subprime e la crescente moltiplicazione di titoli derivati, futures, equity private, swap, etc., che attestano l'esistenza di ricchezza proveniente dal “Nulla”.
Tutto questo arabesco finanziario e industriale serve per comprimere i tempi di formazione del plusvalore e spostare nel futuro, espandendoli, i limiti del ciclo capitalistico, produzione/consumo, per consentire,nel presente,la realizzazione monetaria del plusvalore. "Il sistema finanziario mondiale", ha scritto il prof.D.Harvey, "è fuori del controllo dei governi nazionali, il mercato del denaro senza stato" è cresciuto da 50 miliardi di dollari del 1973 a quasi due trilioni di dollari nel 1987... ". E oggi? A quante decine di trilioni di dollari siamo arrivati? Lo squilibrio è foriero di gravi crisi finanziarie dietro l’angolo. Certo, il sistema finanziario “è in grado di distribuire i rischi su un fronte più ampio” e può "spostare rapidamente fondi dalle aree di crisi a imprese, regioni e settori creditizi”. Però, non può sfuggire all'attributo congenito al capitalismo: quello della sovraccumulazione: e per quanto il sistema finanziario multinazionale attuale si sforzi a dilatare, nello spazio e nel tempo, la realizzazione del plusvalore prodotto, esso non potrà farlo all'infinito, in quanto le continue distruzioni del fondo di risparmio mondiale non possono essere compensate da uno sfruttamento sempre più selvaggio, contando su una manodopera sempre docile e mansueta, al punto da riuscire ad invertire la legge della caduta del saggio di profitto. Man mano che quest'ultimo proseguirà nella caduta, diventeranno sempre più insopportabili le condizioni di sfruttamento del proletariato mondiale, toccando il punto critico da cui partirà la sollevazione del mondo del lavoro sfruttato, come un solo uomo,incentrata attorno all'operaio produttivo che crea il plusvalore. Dalla ribellione delle forze produttive mondiali, socializzate dal capitalismo finanziario, si sprigionerà l'energia del movimento proletario che dovrà fondersi con l’avanguardia rivoluzionaria (il fattore V/2= velocità al quadrato), donde si produrrà un'energia maggiore di quella che scaturisce dalla spontaneità delle sole forze produttive, capace di spezzare le catene degli attuali rapporti di produzione capitalistici e di decretare la fine del lavoro produttivo e improduttivo per dare inizio al vero lavoro creativo della libertà reale: il lavoro vivo quale fuoco comune della società umana senza classi.
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