Dopo aver pubblicato ieri l’articolo del Partito Comunista dei Lavoratori “A proposito del Pdac: Fenomenologia di una setta” pubblichiamo oggi la risposta del Partito di Alternativa Comunista.
Nei prossimi giorni pubblicheremo la risposta della nostra Redazione in merito a questa vicenda sicuramente grottesca, ma che non può essere passata sotto silenzio da parte di compagni che come noi fanno parte di quella sinistra anticapitalistica di cui il Pcl e il Pdac costituiscono una componente importante.
La Redazione
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VOLGARE ATTACCO DEL PCL AL PDAC
A seguire la lettera di un giovane dirigente che lascia il Pcl per aderire al Pdac
I massimi vertici del Pcl fanno girare un lunghissimo testo pieno di sgrammaticature e di brani di irresistibile (ancorché involontaria) tragica comicità contro il Pdac.
Scopo contraddittorio del testo è quello, dopo aver ripetuto con insistenza che il Pdac sarebbe isolato, di fare un pubblico appello a tutte le forze politiche e di movimento "a isolare il Pdac" (forse perché godiamo di relazioni e radicamento ben superiore al Pcl?).
Il testo prosegue con una lunga sequenza di calunnie, insulti a singoli compagni, rievocazioni di vecchie vicende legate al 2006, quando la maggioranza dei quadri giovani e il grosso della parte più attiva e militante dell'allora Progetto Comunista ruppe con l'ala ferrandiana per dare vita al Pdac.
La cosa più significativa del testo è che, nonostante la lunghezza spropositata, non contiene una sola critica politica al Pdac. Solo insulti, bugie, vere e proprie calunnie.
I capi del Pcl non sono nuovi a questi metodi contro di noi. E' dal 2006 che si sono inventati una presunta cassa di Progetto Comunista con cui saremmo scappati. Per l'uso di questi metodi calunniosi hanno già subito da tempo la condanna della gran parte delle organizzazioni internazionali che si richiamano al trotskismo. La calunnia è un metodo che nella storia è stato usato più volte contro i comunisti: prima dai menscevichi, poi dagli stalinisti. Certo ognuno si sceglie i suoi maestri. Stavolta però si è passato il segno. Infatti nel farneticante testo la abituale calunnia è accompagnata da richiami alla polizia: un fatto davvero inquietante da parte di un gruppo che si proclama "leninista".
Per parte nostra, non ci abbassiamo a rispondere su questo livello. Non replichiamo alle calunnie: sia perché il nostro metodo è quello della polemica politica, anche aspra, ma sempre priva di insulti e falsità; sia perché servirebbe un libro per rispondere punto per punto alla sistematica falsificazione che viene operata, a cumuli di bugie o anche di semplici sciocchezze. Non facciamo il gioco di chi vorrebbe parlare di fatti inventati per tacere di quelli reali.
Tantomeno replichiamo alle loro minacce legali. Se avessimo voluto rispondere ai capi del Pcl con i loro stessi mezzi, in questi anni avremmo più volte dovuto denunciarli alla magistratura borghese per calunnia e diffamazione. Ma noi, a differenza dei capi del Pcl, non frequentiamo le questure.
Il nostro giudizio politico sul Pcl lo abbiamo espresso in dettaglio in un articolo pubblicato qualche tempo fa, che ripubblichiamo qui. Essendo stato scritto prima delle amministrative, non contiene nessun riferimento al sostegno che il Pcl ha dato al secondo turno a Pisapia, principale candidato dei banchieri e degli industriali a Milano. Vicenda che conferma quanto avevamo scritto e che è il degno coronamento della inevitabile deriva di una politica semi-riformista.
Sul Pcl non abbiamo altro da aggiungere. Peraltro non siamo stati noi a coniare la definizione di "clamoroso bluff" per il gruppo di Ferrando. Una definizione ormai diffusa. Un giudizio aspro ma in gran parte condiviso persino dai pochi militanti attivi rimasti lì dentro.
Prima dell'articolo pubblichiamo però un testo che ci sembra significativo. Due settimane fa, Andrè Siciliani, un giovane dirigente del Pcl di Roma è uscito dal Pcl e ha chiesto l'adesione al Pdac. Ieri, avendo letto le calunnie dei capi del Pcl, ci ha mandato il testo che riportiamo qui sotto. Fornendoci una visione da parte di chi è stato all'interno del Pcl, vale più di tante analisi.
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PERCHE' ESCO DAL PCL
E ADERISCO AI GIOVANI DEL PDAC
lettera di Andrè Siciliani (Roma)
Nel novembre de 2009, aderIì con entusiasmo e impegno al Partito Comunista dei lavoratori. Il motivo della mia adesione è che vedevo nel PCL l unico partito in grado di non fare compromessi né dare sostegni critici a forze borghesi e socialtraditrici. Insomma vedevo nel PCL delle posizioni dure e pure di un partito marxista, di un partito in grado di partecipare alla lotta e al confronto ma che allo stesso tempo manteneva le sue posizioni, vedevo nel PCL un partito dalle posizioni estremiste, "ultrasinistre", radicale e combattivo, il tutto sempre in un'ottica trotskista e non bordighista!! Oggi a quasi due anni dalla mia adesione al PCL, sono molto deluso del PCL per una serie di motivi soprattutto politici e organizzativi che mi hanno portato alla scelta, difficile devo dire, di abbandonare il PCL, all' inizio di questo mese.
I motivi politici sono che io mi dissocio completamente dalla scelta di dare in tornate elettorali sostegni critici ai partiti socialtraditori (FED e SEL) quando si presentano indipendenti dal centrosinistra, in quanto per me si può avere un confronto con i sinceri compagni di queste organizzazioni ma partecipando a dibattiti e discussioni, non dare un sostegno critico elettorale a organizzazioni che hanno votato le missioni militari, finanziarie massacro lacrime e sangue e leggi xenofobe e schifezze varie contro i lavoratori ecc., come è accaduto nel 2010 in Lombardia e nelle Marche, e sostegni critici al centrosinistra radical chic di Pisapia (candidato di Profumo, De Benedetti e Unicredit) e De Magistris (candidato giustizialista anti-camorra di sicuro ma che non rappresenta affatto gli interessi dei lavoratori), il tutto sotto lo slogan frontista, seppur in salsa di sostegno critico, di "battere le destre"!! Il compito dei comunisti è quello di fare chiarezza, cioè devono disilludere i lavoratori dall'illusione che i vari candidati del centrosinistra e socialtraditori creano, invece con queste scelte si tende a confermare l'illusione e si alimenta confusione tra i lavoratori. Un comunista non può dire ai lavoratori: "votare centrosinistra o i socialtraditori così quelli ti massacrano e allora capirete da che parte stare". La conseguenza diretta di questa tattica è che il lavoratore manderà a cagare sia il centrosinistra sia chi gliel'ha fatto votare. E tornerà a votare il Berlusconi di turno!!
Si giustificano queste scelte dicendo che è una tattica "leninista", cioè si cita sempre Lenin e che nel 1905 e in altre occasioni avrebbe dato sostegno critico ai menscevichi e alla borghesia liberale dei cadetti, insomma a ogni scelta che si fa si deve sempre citare Lenin. Ebbene non si può ragionare pensando che l'Italia attuale è la Russia del 1905, perché le motivazioni di quelle scelte era per il fatto che in Russia c'era una Monarchia assoluta, qui in Italia invece siamo in una democrazia borghese e siamo nel 2011 e poi se vogliamo proprio fare paragoni i menscevichi, per quanto socialtraditori, erano molto più a sinistra degli attuali FED e SEL e persino i cadetti erano più a sinistra dell'attuale PD!! Insomma Lenin non ha dovuto, per sua fortuna, conoscere chi sono quelli di rifondazione e SEL, che sono ben peggiori dei menscevichi!!
Non condivido poi che si debbano considerare le elezioni come il principale strumento di radicamento del partito rivoluzionario, le elezioni sono solamente uno strumento secondario di propaganda e niente più, visto che un partito si costruisce partecipando alle lotte di classe per propagandare le proprie idee rivoluzionarie e guidare la classe lavoratrice alla vittoria, se c' è possibilità di presentarsi alle elezioni, ci si presenta autonomamente da tutte le parti, se non c'è possibilità, non ci si presenta e si fa una campagna di astensionismo contro i candidati di centrodestra,centrosinistra e socialtraditori, non insistendo facendo pressione sui compagni affinché si debbano presentare assolutamente alle elezioni.
Inoltre non condivido il metodo federalista adottato dal PCL che in elezioni provinciali, comunali e regionali lascia la scelta alle singole sezioni venendo quindi a mancare un partito centralizzato!! Che sia chiaro, io non dico che in questo tipo di elezioni, si debba discutere solo di politica nazionale, anzi si deve discutere e fare campagna sui problemi locali ma comunque ci deve essere una posizione centralizzata e chiara del partito che indica la direzione alle singole sezioni, ovvero non dare sostegno critico ai socialtraditori da tutte le parti, non lasciare la scelta alle singole sezioni!!
Le motivazioni organizzative sono legate invece al fatto che all'interno del PCL c'è una minoranza dichiaratamente riformista, ultradestra, socialdemocratica e unionista (Edo Rossi e i suoi 8 seguaci di Mantova) e che ci sono tesserati, inclusi alcuni coordinatori cittadini, che hanno posizioni che vanno dall'unionismo con gli altri "partiti comunisti", a chi difende la costituzione borghese e sostiene la magistratura, a chi celebra i 150 anni di unità, a chi è un acceso sostenitore di Castro e Chavez, a nostalgici del socialdemocratico Berlinguer fino alla presenza di anarchici e chi propone l'unità con gli anarchici, il tutto !!!
Per il primo caso, cioè legato alla minoranza di Edo Rossi, come è possibile che un partito che si dichiari marxista permetta la presenza di una minoranza socialdemocratica al suo interno, con buona pace della condizione che l'Internazionale di Lenin e Trotsky poneva come preliminare all'adesione, ovvero separarsi dai riformisti? Il tutto il nome di un democraticismo piccolo-borghese?
Per quanto riguarda la presenza dei tesserati che hanno quelle posizioni, chiarisco, è normale che ci sono compagni che hanno fatto esperienze politiche differenti e che hanno posizioni confuse, è una cosa normale, nessuno nasce comunista e né tantomeno con posizioni rivoluzionarie, l'anomalia è che il partito, invece di acculturare e portare su posizioni rivoluzionarie questi compagni (basta che siano giovani o al massimo quarantenni, visto che chi è sopra i cinquant' anni di età tende a non imparare) li lascia alle loro idee confuse che ho citato e quindi si crea il partito contenitore alla rifondazione, dove i 4 punti sono solo una facciata per dare all'esterno la sensazione di avere a che fare con un partito leninista trotskista ma così nei fatti non è. Insomma nel PCL c'è una sorta di quello che chiamo " rifondarolismo", cioè quel modo di fare, di comportamenti che invogliano chi è dentro ad andarsene.
Inoltre concludo che c'è un' accanimento e una calunnia contro il PDAC, dicendo che sono dei "banditi" "settari", "guidati dal padre-padrone", il tutto grazie a coordinatori regionali, provinciali e comunali che inculcano queste idee a militanti che non hanno idee sulla divisione fra PCL e PDAC, causando quindi l'odio di questi militanti e iscritti nei confronti del PDAC, quale nemico, mentre i veri nemici sono altri!!
Tutto ciò mi ha portato all'abbandono del PCL, visto che io mi sento tradito per questa serie di motivi dal PCL e all'adesione come tesserato ai giovani del Partito di Alternativa Comunista, in quanto io ho trovato nel PDAC ciò che mi aveva portato all' adesione al PCL, cioè delle posizioni dure e pure di un partito marxista, di un partito in grado di partecipare alla lotta e al confronto ma che allo stesso tempo mantenga le sue posizioni, cioè quelle posizioni che vedevo nel PCL, un partito dalle posizioni rivoluzionarie, radicali e combattive!!
Inoltre faccio un appello ai compagni del PCL che hanno coscienza critica e che non hanno un odio, inculcato dai vari Ferrando e coordinatori regionali, provinciali e delle singole sezioni, a seguirmi nel Partito di Alternativa Comunista per cercare di costruire insieme con entusiasmo e impegno il partito rivoluzionario che deve guidare la classe lavoratrice alla vittoria.
Andrè Siciliani
(Roma)
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(riportiamo qui di seguito un articolo pubblicato qualche mese fa sul nostro sito)
Polemica. La deriva a destra del Pcl di Ferrando
LO STRANO CASO
DI UN PARTITO VIRTUALE
A cinque anni dalla rottura di Progetto Comunista:
due concezioni opposte alla prova dei fatti
di Francesco Ricci
Fanno cinque anni da quando la sinistra di Rifondazione (Progetto Comunista) si ruppe in due parti, dando vita al percorso che avrebbe portato alla costituzione di due organizzazioni distinte fuori da Rifondazione: il Pdac e il Pcl di Ferrando.
A cinque anni di distanza, se si trattasse solo del Pcl, non metterebbe conto di dedicare al tema un articolo, perché quel partito in crisi non rappresenta ormai più niente nel disastrato panorama della sinistra. Ma parlare di quel progetto (fallito) è interessante perché significa affrontare una concezione della costruzione del partito che il Pcl ha incarnato. L'ampia visibilità mediatica di cui ha goduto Ferrando ha fatto sì che per un periodo quel modello di costruzione non bolscevica suscitasse un certo interesse a sinistra. Si proponeva come una scorciatoia per fare in quattro e quattr'otto un partito, saltando la costruzione di strutture, radicamento, quadri: tutto sostituito dalla visibilità mediatica del leader.
Parlare della concezione ferrandiana del partito (e di quella, opposta, che ha seguito il Pdac) significa allora riflettere su tutto quanto devono evitare di fare coloro che sono interessati a costruire quel partito comunista, rivoluzionario, con influenza di massa che ancora manca. Dunque il tema interessa non solo alcune centinaia di compagni e compagne che hanno partecipato a questa storia ma anche tutti coloro che oggi vogliono costruire il partito rivoluzionario, essendo consapevoli che è questo il problema dei problemi.
Tremila, anzi duemila, o forse quattrocento? Le bugie hanno le gambe corte
Uno dei punti che ha sempre caratterizzato il Pcl è stato quello di presentarsi come "la principale forza a sinistra del Prc". Per fare questo Ferrando ha fatto girare per anni numeri fantasiosi. Faceva parte di un metodo per accreditare il partito presso la stampa borghese.
All'assemblea fondativa il Pcl vantava 1300 iscritti. Numeri contestati dall'allora minoranza interna, raccolta intorno a posizioni mao-staliniste. Di quei presunti 1300 iscritti solo 500 parteciparono alle assemblee congressuali; gli altri (se esistenti) erano dunque solo simpatizzanti. L'anno dopo, nel 2007, Ferrando informava la stampa, in occasione del congresso fondativo, di aver raggiunto i "2000 militanti". E, incredibilmente, in un'intervista sul manifesto di tre settimane dopo (1) comunicava di aver già superato questo numero (che per un partito "rivoluzionario" è davvero grande: sono due o tre i partiti che si richiamano al trotskismo che arrivano a queste cifre): la nuova cifra annunciata era di 3000 (tremila) militanti.
Erano tempi in cui Ferrando, godendo ancora dell'immagine giornalistica conseguente alla sua mancata candidatura al Senato, poteva permettersi di raccontare balle di ogni tipo a una stampa in cerca di figure "scandalose".
A inizi 2011 il Pcl ha tenuto il suo II Congresso. I documenti del congresso (fatto curioso) non sono stati pubblicati né prima né dopo. Tuttavia, siccome è difficile custodire segreti nell'era di internet, questi testi sono comunque circolati.
Il Regolamento congressuale all'articolo 2.2. recita: "Ogni componente del Comitato Politico, o in alternativa, almeno il 2% dei militanti al 30 giugno 2010 (cioè 8 compagni/e), ha diritto..." L'articolo si riferisce alla soglia necessaria per presentare posizioni alternative e, involontariamente (il Regolamento doveva rimanere segreto), fornisce il numero degli iscritti: infatti se 8 iscritti costituiscono il 2% del partito, gli iscritti complessivi sono 400 (quattrocento). Cioè non 3000 e nemmeno 2000 e nemmeno 1300. Essendo escluso che nelle comunicazioni interne il Pcl giochi al ribasso, significa che i numeri detti in precedenza erano tutti falsi; ancora peggio se fossero stati veri: significherebbe che nel giro di quattro anni il Pcl avrebbe perso circa il 90% degli iscritti.
Ciò spiega il commento autocritico di un membro della Direzione del Pcl, Edo Rossi, presidente del congresso, che nel suo contributo scritto rileva: "Dopo 4 anni dalla nascita del Pcl, questa esperienza (...) non solo non vive e si sviluppa come auspicavamo, ma stenta anche a sopravvivere."
I 400 (quattrocento, ripetiamo i numeri in lettere per evitare fraintendimenti con gli zeri) non sono peraltro "militanti" nel senso bolscevico del termine: infatti nel Pcl per essere considerati tali non è necessaria nessuna delle tre condizioni di un partito di tipo leninista: né prestare attività quotidiana, né finanziare regolarmente il partito, né condividere un programma.
Ciò è confermato dal contributo di un altro dirigente del Pcl, Flavio Stasi ("Brevi riflessioni sul partito e sul congresso"), che lamenta "congressi territoriali con pochi militanti reali ed una folta schiera di militanti formali". Indirettamente segnalando così che persino quei 400 (dichiarati segretamente all'interno) sono frutto di un tesseramento "gonfiato".
Se abbiamo parlato fin qui di numeri non è perché pensiamo che siano in primo luogo i numeri a determinare la qualità di un partito. Questa è una convinzione di Ferrando (ereditata dal menscevismo), non nostra né di Lenin e Trotsky, i quali ultimi hanno spiegato infinite volte (e lo hanno dimostrato nella pratica) che valgono di più qualche centinaio di militanti reali che migliaia di iscritti passivi. Il problema del Pcl è che, a prescindere dai numeri diffusi falsamente per anni, non ha né migliaia di iscritti passivi né centinaia di iscritti reali. Visti i numeri degli "aventi diritto" al voto al recente congresso (numeri, ripetiamolo, che dovevano rimanere rigorosamente segreti e che vengono segnalati comunque come gonfiati) si può presumere che gli effettivi partecipanti siano stati grossomodo circa 200 o 300; dal che si ricava, infine, che gli attivisti che prestano una regolare militanza quotidiana e pagano quote sono tra 100 e 150 (3).
Questi numeri non sorprendono chi negli ultimi anni ha partecipato a manifestazioni e assemblee. La novità sta nel fatto che oggi le supposizioni sono confermate, ripetiamolo, dai dati interni del Pcl stesso che, involontariamente trapelati, fanno giustizia di anni di decine di comunicati di Ferrando in cui, sbeffeggiando le altre forze politiche a sinistra del Prc (definite sprezzantemente "poca cosa"), si vantavano numeri fantasiosi.
Quaranta programmi diversi in un solo partito
Per noi, a differenza che per Ferrando, la questione centrale non sono comunque i numeri ma il programma su cui si costruisce un partito e la sua pratica quotidiana. Ma qui le cose non vanno meglio che con i numeri.
Il fatto è che per il Pcl bisogna parlare di programmi al plurale. Infatti, a parte i brevi comunicati stampa di Ferrando, che costituiscono l'unica produzione teorica pubblica della direzione del partito, ognuna delle sezioni cittadine esprime posizioni programmatiche differenti.
Chiariamo: non parliamo della provenienza diversa dei militanti. Anche nel Pdac ci sono compagni che hanno fatto esperienze politiche differenti. E' una cosa normale. L'anomalia è quando si mettono insieme programmi diversi per comporre un arlecchino di posizioni in sostituzione di un partito fondato su assi programmatici fondamentali condivisi.
Per farsi un'idea di questo guazzabuglio di posizioni basta leggere i documenti congressuali (semi-segreti) del Pcl o farsi un giro sui siti web delle sezioni cittadine.
La prima cosa che balza all'occhio leggendo i documenti congressuali è che in un partito che pure si auto-definisce "leninista" è ammessa la presenza di una minoranza che si definisce esplicitamente riformista. Con buona pace della condizione che l'Internazionale di Lenin e Trotsky poneva come preliminare all'adesione: separarsi dai riformisti. E con buona pace anche delle critiche che il Pcl avanza a forze come l'Npa francese che esplicitamente teorizza l'unione di rivoluzionari e riformisti nel medesimo partito. Cosa che il Pcl non teorizza ma pratica.
Ma il problema non si ferma a chi si autodefinisce riformista. A puro titolo di esempio (ma chiunque può verificare da sé sui siti web) si trovano: sezioni che difendono "la democrazia partecipata", la Costituzione repubblicana e, con accenti dipietristi, manifestano financo sostegno alla magistratura (che i rivoluzionari, abitualmente, definiscono "borghese"). Citiamo: "Noi, Pcl di Parma, diamo il massimo appoggio alla magistratura, affinché possa lavorare nella totale serenità ed obiettività". Un'altra sezione è intitolata a Curiel, teorico della "democrazia progressiva" e maestro degli stalinisti Longo e Secchia. Un'altra sezione, su posizioni più vicine alla Lega, (anche se purtroppo intitolata alla povera Rosa Luxemburg) protesta perché "La forza pubblica di questo territorio può contare" su scarsi organici (tra carabinieri e polizia), il che porta (come ha fatto presente il Pcl in "un incontro col viceprefetto vicario") a una "emergenza sicurezza". Un'altra (Brianza) si caratterizza, invece, per una linea castro-chavista e pubblica testi di Fidel sostenendo (proprio nei giorni del mezzo milione di licenziamenti annunciati) che "Cuba aumenta salari e pensioni". Un'altra (Molise) concepisce la militanza "rivoluzionaria" sotto forma di continui esposti alla magistratura (con tanto di richiami al codice penale) e di appelli personali a Napolitano. Un'altra (Marche) si pronuncia a favore delle nazionalizzazioni delle aziende: purché fatte secondo quanto previsto "dagli articoli 42 e 43 della Costituzione". Un'altra (Massa Carrara) pare più vicina a posizioni neo-proudhoniane e propone "l'autogoverno solidale e cooperativo". Un'altra (Empoli) organizza iniziative su Berlinguer. Un dirigente (nella pagina "teorica" del sito nazionale) spiega perché la rivoluzione spagnola avrebbe insegnato che bisogna "unire anarchici e marxisti".
Abbiamo fatto questo lungo elenco (ma si potrebbe continuare per pagine e pagine) solo per chiarire che non si tratta di eccezioni (che pure un partito rivoluzionario sano dovrebbe in qualche modo affrontare) ma della norma. Se si fa eccezione per tre o quattro sezioni, tutte le altre esprimono un caleidoscopio di posizioni che va dal berlinguerismo al togliattismo, dall'anarchismo (nelle sue varianti) al dipietrismo. Non manca neppure una sezione che, con accenti mazziniani, ricorda il 150 anniversario dell'Unità d'Italia...
Siamo cioè di fronte all'esatto capovolgimento di un'organizzazione leninista, in cui, come è noto, a partire dalla condivisione di un programma fondamentale si ha la più ampia discussione interna e quindi l'unità nell'azione. Viceversa nel Pcl l'assenza di un programma comune a tutta l'organizzazione si combina con l'assenza di un dibattito interno che produce, infine, una federazione di gruppi con posizioni politiche differenti, talvolta opposte.
I frutti di una concezione mediatica del partito
Le bugie sui numeri e la costruzione di un partito che è al contempo piccolo ma arlecchinesco sono figlie di una concezione del partito che ha alcuni debiti col menscevismo (con la differenza che il menscevismo fu una forza reale). Dal menscevismo si riprendono varie cose: l'assenza di distinzioni effettive tra militanti e simpatizzanti, dunque il partito di iscritti; l'assenza di strutture dirigenti centralizzate (sostituite dal leader carismatico). A quel modello si aggiungono delle varianti moderne: la struttura "leggera", le elezioni trasformate da strumento secondario in uno dei fini principali e soprattutto l'ossessione per i mass-media. Chiunque abbia partecipato a una manifestazione negli ultimi anni avrà notato il leader del Pcl, Ferrando, che si aggira, scortato da alcuni sbandieratori, in cerca di giornalisti e telecamere. La visibilità sui mass-media, da possibile strumento accessorio nella costruzione di un partito reale, è diventato il fine di ogni iniziativa. Con dei capovolgimenti grotteschi: non si tenta (come sarebbe corretto) di far riprendere dalla stampa una posizione del partito: si definisce la posizione del partito in funzione della sua appetibilità per la stampa. Per lo stesso motivo (essere citati dalla stampa) si arriva a partecipare a manifestazioni anche di stampo reazionario. E non si parla di manifestazioni di massa ma di manifestazioni come quella del 5 aprile a Roma dove, come ha notato con ironia qualche giornalista, nel paio di centinaia di attivisti delle opposizioni borghesi, Ferrando si aggirava con alcuni attivisti mischiando le sue bandiere a quelle (ben più numerose) dei seguaci di Fini.
Ed è solo con l'ossessione per la presenza sui mass media e per una legittimazione nel mondo dei politici accreditati dalla stampa che si possono spiegare gli sconcertanti comunicati in cui il governo Berlusconi è da Ferrando attaccato non per le sue politiche anti-operaie ma perché "mina gli equilibri costituzionali", con l'acquisizione persino di un linguaggio indistinguibile da quello di qualsiasi partito dell'opposizione borghese.
Il fallimento della costruzione in due tempi
All'inizio del percorso di costruzione del Pcl, Ferrando teorizzava una costruzione rapida, passando per una scorciatoia, in due tempi: in un primo tempo reclutando chiunque fosse disponibile a riconoscere il suo "programma in quattro punti" (in realtà la sua direzione) e in un secondo tempo facendo avanzare verso un programma compiuto gli attivisti così raccolti su posizioni non rivoluzionarie.
Questa concezione della costruzione in due tempi del partito ha presentato infine il conto. Finita la stagione della visibilità mediatica (anche se qualche spazio, grazie a modi spregiudicati e autolesionistici, viene conquistato ancora) è finita anche la fase della "raccolta" (peraltro molto ristretta). Non solo: il secondo tempo, quello della "chiarificazione", non è arrivato. Perché? Perché non è possibile costruire un partito comunista attorno a un leader sospeso nel vuoto, senza struttura organizzativa, senza programma condiviso. Al più, con simili modalità si possono costruire (anche grazie a finanziamenti di settori interessati) partiti borghesi (come l'Idv attorno a Di Pietro o Fli attorno a Fini) o effimere esperienze di partiti mediatici (come il Movimento Cinque Stelle attorno a Grillo). Con un partito comunista (o che vuole essere tale) non funziona: il raggruppamento lasso attorno a un leader forte si sfalda perché solo una relazione reale (non mediatica) con le lotte può costruire il radicamento del partito; perché solo una elaborazione collettiva (non delegata al leader) può costruire i quadri del partito, il loro "comune sentire".
Ferrando ha pensato che il suo carisma (o presunto tale) avrebbe ovviato a tutto questo lavoro che Lenin e Trotsky ritenevano indispensabile. Ha creduto bastassero le sue uscite in Tv, i suoi comunicati stampa in sostituzione di un lavoro quotidiano di elaborazione e iniziativa, in sostituzione di un giornale e di un sito regolare frutto di un lavoro collettivo, in sostituzione persino di una organizzazione internazionale. Quest'ultima compare sulle bandiere del Pcl (che rivendicano la Quarta Internazionale) ma è solo virtuale. Il Pcl continua a far parte di un raggruppamento che si vuole internazionale, il Crqi. Ma il Crqi non ha organismi reali, né riunioni, né strutture, né pubblicazioni, né intervento. E non risulta che negli ultimi anni abbia acquisito nuove "sezioni" in qualche Paese, rimanendo composto soltanto dal Partido Obrero di Altamira in Argentina e da tre o quattro gruppi satellite (tra cui il Pcl).
Ma il completo fallimento della costruzione in due tempi è confermato dal fatto che persino il presunto "nucleo d'acciaio", cioè i due anziani leader che avrebbero dovuto preservare il programma da trasmettere in un secondo momento al resto del partito sono inevitabilmente precipitati nel pantano che hanno costruito. Come dimostra anche solo un unico esempio che vogliamo fare (tra i tanti possibili). Si guardi al programma in dodici punti che Ferrando ha presentato nei giorni scorsi alla stampa per le amministrative nella sua città (Savona). Per un partito rivoluzionario le elezioni dovrebbero essere soltanto (così almeno sono per il Pdac) un'occasione per presentare il proprio programma rivoluzionario a settori più ampi. E per il Pcl? Riportiamo per intero questi dodici punti: "1) Blocco delle concessioni edilizie, con autorizzazioni limitate al riutilizzo dell’estistente; 2) costruzione di una nuova edilizia popolare; 3) acqua pubblica; 4) aumento delle piste ciclabili e incremento della loro sicurezza; 5) politica rifiuti zero, con il metodo di raccolta a porta a porta “spinta”; 6) adattamento del vecchio ospedale San Paolo a sede universitaria umanistica; 7) destinazione della biblioteca pubblica a Palazzo Santa Chiara; 8) riapertura dell’ostello della Gioventù presso la fortezza del Priamar; 9) “vero” registro delle Unioni civili; 10) clausola sociale e conto trasparente per ogni appalto dato dagli enti comunali; 11) aree wi-fi comunali completamente gratuite e a disposizione del cittadino; 12) ripensamento globale della viabilità di Villapiana."
La domanda è: in cosa questo programma è differente da quello che potrebbe presentare una qualsiasi forza della sinistra governista o persino una lista civica? Dove è un riferimento (fosse pure vago!) non diciamo alla rivoluzione (che con questo programma proprio non c'entra) ma perlomeno alla esistenza di una società divisa in classi in lotta tra loro, alla classe operaia?
In realtà questo programma condensa tutta una concezione del partito in cui ogni mezzo (la visibilità sulla stampa, la partecipazione alle elezioni, ecc.) è regolarmente scambiato con il fine. Siamo anche oltre il motto di Bernstein (contro cui ironizzava Rosa Luxemburg) per cui "il fine è nulla, il movimento è tutto". Qui piuttosto il fine e il movimento sono nulla, le telecamere sono tutto.
Cinque anni dopo: la prova dei fatti
Lenin sosteneva che un partito rivoluzionario si può costruire solo raggruppando, attorno a un programma rivoluzionario, militanti inseriti nelle lotte e nei movimenti, edificando su quel programma una organizzazione centralizzata. Invece, nei cinque anni che sono trascorsi dalla rottura della vecchia sinistra del Prc (avvenuta appunto per questa divergenza di fondo), Ferrando ha voluto credere e far credere alla possibilità di percorrere una scorciatoia: costruendo un partito sulla base soltanto della visibilità mediatica del leader e quindi raccogliendo intorno a un guru indiscusso attivisti che sostengono le posizioni più disparate, senza una struttura di militanti centralizzata, senza partecipare alla costruzione di un'internazionale.
Ma i fatti (più ostinati di qualsiasi "narrazione" ad uso stampa) si sono incaricati di dimostrare che ciò non è possibile.
Era proprio necessario fare questa prova? Oppure era sufficiente prendere atto che una simile teoria menscevica (contro cui hanno lottato per tutta la vita Lenin e Trotsky) era già fallita infinite volte nella storia, persino quando disponeva di forze ben più consistenti? E ancora: era necessario logorare attivisti onesti? Quanti si sono avvicinati al Pcl (in virtù della sua visibilità mediatica) per poi uscirne rapidamente, delusi? E soprattutto quante altre energie saranno inutilmente dissipate nella prossima fase da questo partito virtuale? Forse non poche, visto che il Pcl, pur in crisi, pur in deficit di ossigeno mediatico (come Ferrando stesso lamenta), continua a godere di una relativa visibilità che utilizzerà, fino alla fine non lontana di questa esperienza, diffondendo illusioni e usando (seppure abbastanza raramente e in modo abusivo) il riferimento al leninismo e al trotskismo.
In questi stessi anni il Pdac che non ha mai fatto vanto di grandi numeri, che non ha mai goduto di grande visibilità sui mezzi di comunicazione, non essendo incappato in "scandali" mediatici partendo da una concezione diametralmente opposta del partito ha conosciuto una piccola ma costante crescita nel suo inserimento nelle lotte, nei movimenti, nell'attività sindacale. Nel Pdac sono cresciuti e crescono militanti che, a partire da un programma di fondo condiviso, dibattono, si confrontano a livello nazionale e nel quadro di una internazionale realmente esistente (e presente con propri partiti tanto in Europa come negli altri continenti). Militanti che si formano nel partito, fanno attività politica e sindacale (controcorrente, senza sconti a burocrazie e microburocrazie) non in funzione della cosiddetta "visibilità" ma in funzione di una costruzione reale.
Non abbiamo grandi vanti da esibire e siamo ben consci degli errori che commettiamo e dei limiti enormi che abbiamo di fronte al compito gigantesco (che non abbiamo la pretesa di risolvere da soli) di costruire un partito rivoluzionario e un'internazionale rivoluzionaria. Ma certo non cambieremmo questo piccolo patrimonio costruito nella realtà con una centesima parte di quel partito più virtuale che reale che Ferrando ha costruito, o cercato di costruire, ennesima riprova del fallimento della concezione menscevica, ennesima conferma, per dirla con Rosa Luxemburg, che "il futuro appartiene ovunque al bolscevismo".
note
(1) Cfr. il manifesto del 23 dicembre 2007.
(2) Oggi dirigente di spicco del Pcl, per molti anni parlamentare di Rifondazione: votò (oltre a molte altre cose), con voto nominale, il 19 novembre 1997, il Ddl 3240, "Norme sulla condizione dello straniero", che apriva i Cpt, cioè i lager per gli immigrati. Espulso da Rifondazione (ovviamente non per questo sostegno al governo, ma per beghe locali di assessorati) chiese un incontro al nostro partito, che gli rifiutammo; poco dopo entrò nel Pcl senza che gli fosse richiesta alcuna autocritica pubblica per le sue politiche governiste (a differenza di quanto viene fatto con altri, colpevoli di provenire dal trotskismo: vedi nota 3).
(3) Ora andranno sommati a questi numeri altri due o tre attivisti che, con grande enfasi (in effetti strana per un partito che millanta migliaia di presunti iscritti), il sito nazionale del Pcl vanta di aver strappato al Pdac a Pesaro, pubblicando un testo grottesco di questi attivisti che ricorda tristemente quelle abiure che negli anni Trenta la Gpu staliniana faceva firmare a chi lasciava l'opposizione di sinistra: una lunga ammissione di colpe e la riconoscenza per aver trovato infine la luce salvifica (nella fattispecie, Ferrando). Certo, negli anni dei processi di Mosca chi si adattava a firmare le abiure e a rinunciare a combattere lo faceva per cercare di salvare la pelle. Qui si tratta invece solo di qualche militante stanco di fare (come è normale per chi milita nel Pdac) una battaglia quotidiana controcorrente sul luogo di lavoro, nel sindacato, nelle lotte sociali e sa di poter trovare invece nel Pcl un luogo dove nulla di tutto questo è richiesto.
http://www.alternativacomunista.it/content/view/106/47/
RispondiEliminaIl primo comitato centrale del gruppo di ricci contava quindici membri. Solo 6 sono ancora oggi nel Pdac. Parlano i fatti.
Il primo consiglio nazionale del gruppo di ricci contava 35 membri. Solo 11, max 13, sono ancora oggi nel Pdac. Parlano i fatti.
RispondiEliminahttp://www.alternativacomunista.it/content/view/106/
Andrea Siciliani è tornato nel Pcl. Il PdAC deve solo sciogliersi.
RispondiEliminaIl mondo sta crollando e i trotskisti in Italia, litigano tra di loro.
RispondiEliminaUna cosa che nessuno dice: il CRQI non cresce perche c'è un rifiuto da parte del PCL di fare un serio ed responsabile lavoro internazionale.
Dovete IMPARARE dalla ARGENTINA:
VAMOS FRENTE DE IZQUIERDA!!!!!
VAMOS PO!!!!!!!
Ma da quando un ragazzetto come Siciliani viene investito dalla carica di DIRIGENTE????
RispondiEliminaFate pena tutti i due PCL y PDAC.
Aguante la Sardegna!!! LI CI SONO VERI TROTSKISTI!!!!
IL PCL AL SUO ULTIMO CONGRESSO CONTAVA 200 DELEGATI DA TUTTA ITALIA.
RispondiEliminaSICILIANI E' TORNATO NEL PCL MA NON E' MAI STATO DIRIGINTE!
IL PDAC E' E RESTERA' SEMPRE UNA SETTA. UN ALTRO COMPAGNO DEL CC DEL PDAC E' PASSATO NEL PCL.
IL PCL STA IMPARANDO DAI SUOI ERRORI ANCHE GRAZIE ALL'ESEMPIO DEL PO ARGENTINO!
IL PCL APRE UNA SEZIONE NUOVA CON OPERAI E STUDENTI OGNI TRE MESI!
COSTRUIAMO IL PCL ! COSTRUIAMO LA CRQI !
COSTRUIAMO IL PARTITO MARXISTA-RIVOLUZIONARIO IN ITALIA E NEL MONDO!