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venerdì 9 settembre 2011

Non è sostenibile alcuna tappa democratica sulla via della Rivoluzione. Di K. Adraph

di Karim Adraph


Alla luce della grande esplosione sociale che ha coinvolto la periferia capitalista ed in particolare il mondo arabo, ma anche altre parti del mondo, occorre fare un bilancio delle esperienze e aprire un confronto con le avanguardie operaie di questi paesi. Noi intanto proviamo ad esprimere quella che è la nostra analisi nella speranza che potrà essere arricchita da un sano contraddittorio.

Intanto proviamo ad inquadrare il contesto, del resto non sarebbe giusto dare un peso marginale al fattore oggettivo scatenante di tutti i movimenti dell’ultimo periodo, ovvero la crisi del sistema capitalista espressasi da un lato con la finanziarizzazione selvaggia a causa dei decrescenti saggi di profitto industriali, dall’altra con un’altrettanto efferato sfruttamento della classe proletaria di tutto il mondo ed in particolare delle periferie. In molti paesi la miscela esplosiva era composta da un lato da una forte compressione salariale accompagnata ad un maggiore controllo poliziesco politico-sindacale, dall’altro dalle conseguenze catastrofiche delle speculazioni finanziarie sui cereali e alimenti di prima necessità, sintomi più distintivi di un capitalismo in decadenza che trova sbocco solo nella rendita anziché nell’avanzamento della produttività, nell’imbarbarimento della politica anziché nelle libertà anche solo individuali.

In questo contesto le classi sociali cosiddette medie si sono trovate strette ovunque nella morsa della proletarizzazione forzata, anche grazie ad un forte indebitamento agevolato da una rendita bancaria sempre più insensibile rispetto agli equilibri sociali e irresponsabile. Questo ha portato inevitabilmente questi lavoratori e piccoli proprietari nel centro di lotte che hanno coinvolto tutti i paesi del mondo, e non solo le periferie capitaliste. Il denominatore comune che accomuna questi movimenti è indubbiamente la totalitaria presenza dell’ideologia democraticista e legalitarista. Abbiamo così visto ultimamente, per esempio, un movimento non-violento contro la corruzione in India che ha raccolto decine di migliaia di cittadini nelle piazze; come decine di migliaia di persone occupare i rioni principali di Tel Aviv all’insegna di una maggiore distribuzione delle ricchezze; un movimento per la democrazia reale che ha raccolto decine di migliaia di indignatos in Spagna; il movimento contro il governo del puttaniere Berlusconi in Italia; il movimento per la democrazia che ha rovesciato il regime di Mubaraq in Egitto; il movimento che ha rovesciato il dittatore Ben Ali in Tunisia; il movimento che conta al momento migliaia di morti per rovesciare il regime del partito Ba’ath in Siria; la guerra civile in Libia per rovesciare Gheddafi; il movimento per la democrazia che conta migliaia di morti in Yemen; il movimento che conta centinaia di morti sconfitto in Bahrein; il movimento che in Grecia lotta contro i provvedimenti di austerità suggeriti dal FMI e dalla Banca Mondiale; il movimento per l’accesso allo studio in Cile; il movimento contro la rendita finanziaria che ha portato alla nazionalizzazione delle banche in Islanda etc. per citare alcuni esempi.

Ne conviene che tutti questi movimenti rimangono in superficie rispetto alla critica alla società che ha generato tutti i mali contro cui lottano. Quindi i comunisti non riescono ancora a intervenire da nessuna parte a sufficienza per fornire quella visione di insieme dell’oppressione del capitale nelle sue varie sfaccettature e quindi seminare l’anticapitalismo oltreche nei ranghi del proletariato nelle altri classi. Anche questo è quindi un preoccupante denominatore comune mondiale.

La priorità per i comunisti quindi è sfruttare questa situazione di forte contraddizione sociale e politica in seno al potere capitalista per radicare coscienza anticapitalista e organizzare la lotta senza frontiere contro il capitalismo.

Le difficoltà della lotta anticapitalista però si possono e si devono affrontare solo su scala internazionale. Indi urge per noi compagni internazionalisti discutere anche la linea che molti comunisti soprattutto nella periferia del capitalismo hanno scelto dinanzi al recente evolversi degli eventi.

Ci riferiamo in modo particolare alla scelta di sostenere le lotte per la democrazia, ordinando questa come prima tappa necessaria nel proprio paese per la lotta per il comunismo. Infatti secondo noi, innanzitutto, non è detto che questa tappa sia irrimediabilmente necessaria, del resto l’esperienza dei soviet russi nel 1905, per esempio, ci dimostra che anche nel quadro repressivo della Russia zarista è stato possibile mettere in discussione il potere. Inoltre va ricordato il fallimento della rivoluzione tedesca nel cosiddetto regime democratico che ha portato con il sostegno della stessa socialdemocrazia all’uccisione di migliaia di proletari e alcuni dei più importanti dirigenti rivoluzionari della storia quali erano i compagni Luxemburg e Liebknecht.

Occorre invece comprendere il significato della cronica presenza di regimi politici dittatoriali in tutta la periferia capitalista. La periferia capitalista infatti sotto il giogo imperialistico del centro capitalista, si trova evidentemente condizionata dai flussi centrifughi di plusvalore, e quindi da una iniqua distribuzione di questo: condizione necessaria per l’esistenza stessa del capitalismo nella sua fase imperialistica. Questo comporta minori margini economici per le borghesie nazionali nella contrattazione sociale e quindi anche e necessariamente nel dibattito politico. Motivo per cui in tutta la periferia capitalista esiste un potere statale centralizzato e autoritario, l’unica garanzia per la pace sociale per le borghesie nazionali oltreche per lo stesso centro capitalista. E’ anche per questo che spesso e volentieri questi dittatori vengono sostenuti dagli stesse forze imperialistiche democratiche, finché riescono ad assicurare i loro profitti e quindi il controllo. Dal momento in cui non riescono più ad promettere questi, cadono e inizia l’asta imperialistica per comprare le borghesie nazionali e quindi il nuovo regime.

Solo la piccola e media borghesia nazionali sentono la necessità e quindi perseguono lo scopo della democrazia. Infatti in teoria questa permetterebbe a loro di avere più potere di vigilare lo sfruttamento delle risorse naturali ed umane nazionali, se non fosse che in pratica questa loro spinta è incompatibile con i margini necessari di extra-profitto del capitalismo stesso, e quindi resta una spinta utopistica.

Il proletariato e la maggioranza delle organizzazioni operaie della periferia capitalista spiegano le migliori condizioni e quindi la corruzione del proletariato nel centro capitalista come il risultato di una serie di battaglie economiche rese possibili in democrazia. In realtà è la risultante di una serie di battaglie economiche rese possibili dalla sovrabbondanza di profitto del centro capitalista, che per garantire la pace sociale in casa propria è stato disposto a soddisfare alcune richieste ovviamente nei limiti imposti dal mercato. Del resto lo stesso regime democratico serve a emarginare le formazioni politiche rivoluzionarie che potevano minare il centro capitalista. Infatti l’illusione del confronto democratico fra le classi oltreche del confronto in seno alla classe borghese del centro capitalista stesso in parlamento non è altro che una forma di controllo sociale più efficiente e sicuro.

Ne conviene che la lotta per la democrazia nella periferia capitalista è una mera illusione, e che l’internazionalismo proletario si esprime anche attraverso una lotta contro la democrazia “occidentale”: involucro politico garantito dallo sfruttamento stesso dei proletari di periferia. Il proletariato del centro capitalista deve solidarizzare con la periferia se vuole ridurre la pressione salariale che subisce grazie alla presenza stessa della stessa nella forma di un esercito industriale di riserva mondiale che conta ora miliardi di proletari, tuttavia è troppo corrotto per comprenderne l’importanza ora.

L’unità internazionale del proletariato si esprime quindi solo puntando il dito contro il sistema stesso in tutte le espressioni politiche in cui si declina storicamente.

Fatta questa breve panoramica, quindi ci sentiamo in dovere di osservare che la lotta per la democrazia è una mera illusione, e che quindi sostenerla di fatto significa deviare con un improbabile espediente tattico dalla strategia comunista favorendo il codismo verso le correnti democraticiste delle classi medie. Siamo consapevoli delle problematiche relative all’agibilità politica dei militanti e degli operai in un clima di terrore quale può essere quello di un regime della periferia capitalista. Tuttavia occorre prendere consapevolezza che l’agibilità la si conquista non puntando a riformare il regime politico bensì con il confronto nella lotta delle classi. Occorre sfruttare le molteplici espressioni dell’autocrazia e della violenza degli apparati polizieschi e militari dei regimi politici dittatoriali per indicare al proletariato e alle altre classi la violenza necessaria al capitale per garantire i propri profitti, e non la violenza di questo regime piuttosto di un altro ipotetico accogliendo le istanze inconcludenti delle classi medie. Occorre mostrare sempre i limiti del capitalismo e senza edulcorarli con le argomentazioni patriottiche che interessano le classi medie.

Occorre preparare in questa fase di chiusura del terzo grande ciclo di accumulazione il proletariato alla presa di coscienza della propria potenza rivoluzionaria. Occorre impiegare questa potenza per l’unica vera alternativa a questa società, il mondiale potere esclusivo dei proletari per il comunismo!

Karim Adraph


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