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domenica 6 novembre 2011

E' caduto il Comandante Alfonso Cano


di Carlo Felici


E' caduto a seguito di un bombardamento e di uno scontro a fuoco il Comandante Cano delle FARC colombiane, teniamo a precisare: movimento «guerrigliero», così come viene definito dalla stragrande maggioranza degli stati del Sudamerica, tranne che Perù e ovviamente la Colombia. Ma definito «terrorista» da USA e Unione Europea che, però, si guardano bene dall'accusare di crimini di Stato il regime colombiano che sta strangolando quel paese.

In Colombia infatti sono stati registrati centinaia di assassinii che si aggiungono all'alto numero di sparizioni forzate ed esecuzioni extragiudiziali, considerati entrambi crimini di lesa umanità, commessi dallo Stato, specialmente ad opera dei membri delle forze armate colombiane - e/o gruppi paramilitari colombiani - in maniera sistematica e generalizzata.

Tra il 24 febbraio e l'11 marzo del 2009, la Commissione Etica Contro i Crimini di Stato ha realizzato la sua sesta visita di monitoraggio nel paese.

Essa ha riscontrato una serie innumerevole di violazioni ad una vasta gamma di diritti civili e un'ampia militarizzazione, visibile ed evidente nei dipartimenti, che si esprime in innumerevoli picchetti, ingiunzioni di identificazione, impedimenti alla libera circolazione, installazioni militari in numerose località, reclutamento forzato, prostituzione di bambine e giovani, ricorsi costanti alle truppe nelle strade e nei villaggi, presenza militare nella quotidianità della popolazione civile (negozi, case, eccetera), paramilitarismo, tutte attività che vanificano e mettono a serio rischio la sicurezza delle persone e che costituiscono una palese violazione al diritto internazionale umanitario.

Le FARC esistono da quasi 50 anni, anche se spesso sono state fatte oggetto di accuse che non sappiamo quanto possano corrispondere a verità o essere frutto di propaganda, i loro membri definiti dal governo colombiano «nazisti della Colombia» sono accusati di reclutamenti forzati di minori, di crimini ai danni delle popolazioni contadine, degli insegnanti, e di autofinanziarsi tramite il narcotraffico. Queste notizie, tutte regolarmente smentite e contestate dai membri delle FARC colombiane, sono diramate dai media locali quotidianamente, ma quanto possano essere attendibili è molto difficile verificarlo.

Fatto sta che tutti i più duri colpi subiti dalle Farc sono stati messi ultimamente in opera dall’aviazione e dalla tecnologia nel campo delle comunicazioni. La Colombia non è un paese come l'Irak o l'Afghanistan, ma più o meno come il nostro, perché le televisioni stanno come da noi, in ogni casa e baracca. E' dunque evidente che la guerra si conduca anche con strumenti mediatici e propagandistici.
Ricordiamo inoltre il tristissimo fenomeno dei ‘falsos positivos’, cioè le esecuzioni extragiudiziali, con i cadaveri esposti dall’esercito e fatti figurare come “guerriglieri uccisi in combattimento”, ma che in realtà erano soltanto dei poveri contadini oppure giovani emarginati. Tutto questo è servito a ufficiali e membri dell'esercito, in particolare, per poter ottenere premi e prebende, permessi di riposo o addirittura promozioni.

L'associazione Libera, a proposito della Colombia, in ogni caso, denuncia quanto segue:

«Otto ambasciate straniere, di cui tre europee, in Colombia hanno presentato una formale denuncia dopo aver ricevuto minacce da un gruppo paramilitare denominato 'Aquile nere' che di recente ha iniziato ad agire a Bogotà. La denuncia di Iván Cepeda, dirigente nazionale del Movimento delle Vittime dei crimini di Stato è precisa: - è una rappresaglia per aver portato in piazza i crimini che hanno commesso nella totale impunità i paramilitari negli ultimi 20 anni.-

In Colombia sono state sfollate circa quattro milioni di persone, in maggioranza ad opera dei gruppi paramilitari. Questi gruppi da soli o congiuntamente alle forze militari, hanno fatto sparire almeno 15.000 compatrioti e li hanno sepolti in più di 3.000 fosse comuni o hanno disperso i loro cadaveri nei fiumi; hanno assassinato più di 1.700 indigeni, 2.550 sindacalisti e circa 5.000 membri dell'Union Patriottica. Torturano regolarmente le loro vittime prima di ucciderle. Tra il 1982 e il 2005 i paramilitari hanno perpetrato più di 3.500 massacri e rubato più di sei milioni di ettari di terra.

Dal 2002, dopo lo sfollamento, hanno assassinato 600 persone all'anno. Sono arrivati a controllare il 35% del Parlamento. Dal 2002 fino ad oggi, membri dell'Esercito Nazionale hanno commesso più di 950 esecuzioni. Solo durante il mese di gennaio del 2008 i paramilitari si sono resi responsabili di 2 massacri, 9 sparizioni forzate, 8 omicidi mentre l'Esercito ha commesso 16 esecuzioni extra-giudiziali. In Colombia agenti dello Stato e paramilitari violano i diritti umani e il diritto umanitario. Molti gruppi paramilitari non si sono smobilitati. Adesso si fanno chiamare Aquile Nere (Aguilas Negras). Molti parapolitici ricoprono incarichi pubblici e diplomatici.»

In una tale contingenza è dunque difficile contestare la legittimità di una reazione armata a quello che appare sempre di più un regime corrotto, dispotico, liberticida e brutale.

In questa complessa situazione il Comandante Cano stava cercando, rendendosi conto delle difficoltà crescenti del suo apparato militare e del logoramento del consenso, di trovare una via verso una pacificazione, a partire dal riconoscimento delle sue unità come movimento guerrigliero combattente.

Il governo colombiano però non può concedere nulla, altrimenti uscirebbero allo scoperto i vari gruppi paramilitari di estrema destra, che oggi, con il pretesto di "assicurare una protezione" alle popolazioni locali dalle FARC, sviluppano una sistematica repressione politica sull'opposizione extraparlamentare. Ovviamente se fossero smantellati non si potrebbe più tacere sui numerosi crimini da loro commessi. Gli USA, d'altronde, esercitano uno stretto controllo nei confronti della Colombia, con interessamento particolare alle basi militari, proprio traendo pretesto da un continuo aiuto per contrastare il pericolo delle FARC, e mascherandolo come lotta a quel narcotraffico, su cui, invece, la malavita americana lucra enormemente. L'uccisione di Cano rientra dunque nel piano di impedire che il livello dello scontro si abbassi e che conseguentemente si allenti il controllo americano, mentre la precedente uccisione di El Mono jojoy, capo militare stretegico delle FARC, fa parte del piano di indebolirne l'operato sul campo. Le FARC, quindi, secondo tali presupposti, devono continuare ad agire ma «sotto controllo», creare pretesti di repressione, ma senza conseguire risultati strategici significativi e soprattutto senza estendere i loro consensi nell'ambito della popolazione locale. Devono apparire come un gruppo «terroristico endemico» e non come un «movimento di liberazione» che possa seriamente incamminarsi verso una pacificazione, una legittimazione o tanto meno verso un successo.

Lo stesso Chavez ha provveduto recentemente a delegittimare questo movimento, dichiarando esplicitamente che "a questo punto è fuori luogo un movimento guerrigliero armato", e che "questo bisogna dirlo alle FARC, ed era quello che volevo dire a Marulanda". Rincarando per altro la dose con l'osservazione che la guerriglia in Colombia fornisce il pretesto all'imperialismo di "minacciare tutti noi". E che "Il giorno in cui si faccia la pace in Colombia la scusa dell'impero avrà fine, la principale che hanno che è il terrorismo".

Come un movimento guerrigliero sia "fuori luogo" in un paese in cui ogni forma di opposizione aperta e legale al regime narco-paramilitare colombiano viene perseguitata, censurata, minacciata, repressa ed annichilita, lo sa solo Chavez.

A lui dunque e a chi condanna la lotta guerrigliera bisognerà ricordare che il rovesciamento dei regimi democratici e socialisti regolarmente eletti, come quello di Allende ad esempio, o la stessa repressione golpista consequenziale (e il caso Honduras lo sta confermando), hanno fatto più vittime in Sudamerica di tutti i movimenti di guerriglia sorti da 50 anni a questa parte. Questa è una delle spiegazioni plausibili al fatto che, in presenza di regimi corrotti e timocratici, la lotta armata sorge spontanea anche per non subire repressioni ancora più brutali.

Ed è pertanto sbagliato, anche alla luce della fase attuale nel continente, in cui le conquiste ottenute previ successi elettorali progressisti sono minacciate o scardinate da tentativi golpisti (Venezuela 2002, Bolivia 2008, Honduras 2009, Ecuador 2010), da piani e manovre militari interventisti così come da prospettive di aperto conflitto (il ripristino della IV Flotta della Marina militare statunitense ne è un esempio evidente), affermare perentoriamente che una forma di lotta come quella guerrigliera si deve consegnare al passato, o non è più attuale. Ciò è tanto semplicistico e banale quanto il fatto di asserire che tale forma di lotta è applicabile in qualsiasi contesto o latitudine, indipendentemente dalle condizioni oggettive e soggettive che li caratterizzano.

In definitiva, quindi, se un Comandate è tale non perché appartiene ad una gerarchia militare oppure obbedisce agli ordini di un apparato repressivo, ma perché così viene riconosciuto da un popolo insorto, allora egli può cadere, però, se è lo stesso popolo ad animare e ravvivare la lotta, presto, con essa un medesimo Comandante è destinato a risorgere con altri che raccolgono le sue armi e le portano avanti.

Non mancheremo di verificare tutto ciò molto presto dopo la morte di Cano.

C.F.

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