di Riccardo Achilli
Nell'odierno convegno sugli Scenari Economici del Centro Studi Confindustria, il Presidente Marcegaglia si è lasciata andare ad un incredibile delirio, che in tempi meno gravi di quelli attuali avrebbe solo fatto sorridere, e sarebbe stato da catalogare come un maldestro tentativo di lobbying, ma che in tempi come questi, con gli immani sacrifici richiesti, dalle manovre finanziarie di Monti, alle classi lavoratrici ed ai ceti più poveri, assume il connotato da un insopportabile cattivo gusto, la classica beffa che si aggiunge al danno inferto al proletariato italiano da una manovra recessiva, oltretutto prociclica, cioè imposta proprio nella fase peggiore, quella cioè in cui il ciclo economico si sta indebolendo (in spregio quindi a tutte le più ovvie leggi dell'economia e dell'elementare buon senso). Lo show della Marcegaglia, o Marcegaglieide, si articola in tre capitoli, o, come in un poema epico che si rispetti, in tre canti, che andiamo brevemente ad illustrare:
1° canto: la sfacciata smentita della realtà. Dice la Nostra: “"Basta con questa idea che le imprese private siano sussidiate, sono stupidaggini. Si tratta di un tema demagogico portato avanti anche da alcuni economisti che spesso non sanno bene di cosa stiano parlando”. Io, che notoriamente non so di cosa parlo, lascio parlare i dati ufficiali: secondo il Ministero dello Sviluppo Economico, fra 2003 e 2008, i 91 interventi di sostegno alle imprese esistenti a livello nazionale ed i 1.216 su scala regionale hanno portato ad una erogazione di incentivi pubblici alle imprese pari a 5,9 miliardi di euro. In pratica, ogni impresa italiana ha ricevuto, in media, 1.716 euro, in quel solo periodo. E stiamo parlando soltanto di incentivi alle imprese, cioè di provvedimenti che dal punto di vista tecnico sono classificati, dalla normativa comunitaria, come aiuti di Stato; quindi, da tale computo sono esclusi i benefici fiscali e contributivi ordinari (ad es. i regimi fiscali forfettari per le imprese più piccole) e l'enorme flusso di denaro pubblico per appalti di opere pubbliche e gare per forniture di beni e servizi alla P.A., oppure per rimborsi per gli acquisti di particolari beni (ad es. i farmaci il cui costo è rimborsato dal SSN) su cui si reggono interi settori produttivi, che altrimenti morirebbero (si pensi all'edilizia pubblica o all'industria farmaceutica). Dopo il 2008, la ben nota caratteristica del berlusconismo, che è un sistema politico basato su una manipolazione estrema dell'informazione, ha fatto sì che i dati del MISE sugli incentivi alle imprese, un tempo pubblici, siano stati secretati. Abbiamo soltanto delle stime: secondo Nannariello e Affuso, nel 2009-2010 sarebbero stati erogati altri 16,58 miliardi di euro per incentivi alle imprese, più ulteriori 5,1 miliardi di agevolazioni fiscali e 2,2 miliardi di agevolazioni previdenziali e contributive, ovvero 23,88 miliardi, circa 7.150 euro per ogni impresa italiana, alla faccia della crisi del debito pubblico! Secondo stime mie, basate sul bilancio previsionale 2012, per il biennio 2011-2012 sono stati o saranno erogati ulteriori 13,91 miliardi fra incentivi ed agevolazioni fiscali e contributive. E non ho voluto toccare altri interessanti capitoli (sapevate che lo Stato paga circa 3 miliardi all'anno di interessi su c/c di tesoreria accesi dagli enti pubblici presso banche, ovviamente private?) Se queste enormi somme non sono sussidi alle imprese private, che cosa sono? A valere sul piano d'azione per il Sud, presentato oggi, le imprese che operano nelle regioni meridionali si apprestano a ricevere un nuovo incentivo, ovvero il credito d'imposta per le nuove assunzioni. Di cosa sta parlando la prode Marcegaglia?
2° canto: il paradosso. Dichiara la Nostra: “la riforma delle pensioni non è un guadagno per le imprese che dovranno sostenere costi significativi per renderla operativa”. A cosa si riferisce? Al mancato risparmio derivante dalla sostituzione di lavoratori anziani, che vanno in pensione con stipendi resi più alti dagli scatti di carriera e di anzianità, con lavoratori neo assunti, che possono essere presi con salari pressoché di sussistenza, in un Paese in cui il tasso di disoccupazione giovanile supera il 29%, ed ovviamente con la benedizione di sindacati compiacenti, lucrando sui benefici contributivi legati alla sostituzione di lavoratori anziani, generalmente con contratti a tempo indeterminato, con lavoratori giovani, che possono essere assunti con contratti precari (sui quali si pagano meno contributi) o tramite contratti di apprendistato (che hanno cospicue agevolazioni contributive per le imprese). Se la riforma previdenziale mantiene al lavoro, a volte anche per ulteriori 6 anni, lavoratori che erano in procinto di andare in pensione, le imprese non possono lucrare sul differenziale di costo fra giovani ed anziani. Dov'è il paradosso? Risiede in questa semplice considerazione: la Marcegaglia dimentica di dire che il mancato risparmio della sostituzione fra lavoratori giovani ed anziani è compensato, in parte, dal risparmio sui costi di formazione (il neo assunto va formato, il lavoratore anziano no), dalla maggiore produttività che lavoratori esperienziati garantiscono rispetto ai giovani, dalla deducibilità dell'Irap sul costo del lavoro ai fini Ires o Irpef, prevista dalla recente manovra, che secondo le stime della CGIA di Mestre, potrebbe valere da solo, per una impresa-tipo, un risparmio compreso fra i 118 ed i 329 euro/anno per ogni dipendente. Nessuna compensazione è invece prevista per l'operaio o l'impiegato, che si vedono allungare gli anni di lavoro, e ridurre la pensione erogata. Le imprese hanno compensazioni ai minori risparmi sul costo del lavoro previsti dalla riforma-Fornero; i lavoratori non hanno nessuna compensazione. Questo dovrebbe bastare per evitare piagnistei sul “costo” della riforma previdenziale per le imprese.
3° canto: l'epilogo. Conclude la Marcegaglia: “la pressione fiscale, dopo le manovre varate quest'anno, è arrivata a un livello non sostenibile per i lavoratori e le imprese e per questo nei prossimi mesi va ridotta con un taglio della spesa pubblica. Per chi paga siamo arrivati al 54%, una situazione non sostenibile e credo che nei prossimi mesi vada tagliata la spesa pubblica in modo che, insieme ai frutti della lotta all'evasione, si possa abbassare la pressione fiscale". La strategia brillante suggerita dalla Nostra è la seguente: “ok, avete alzato la pressione fiscale per fare cassa nell'immediato; ora però, per il medio termine, abbassatela, per stimolare la crescita, ed al contempo tagliate sulla spesa pubblica, per mantenervi sul percorso di rientro dal deficit e dal debito pubblico concordato con la UE”.
Il problema di questa “strategia” marcegaglianesca è però semplice da spiegare. Come è noto, nel breve periodo la spesa pubblica è rigida verso il basso, perché risente della componente corrente (quella che serve per far funzionare la macchina della P.A., dagli stipendi alle spese per l'acquisto di penne e computer) che può essere ridotta in modo molto graduale, perché una contrazione troppo rapida comporterebbe la paralisi dell'erogazione dei servizi pubblici di base. Inoltre, le spese per pensioni e trasferimenti sociali i cui diritti sono già maturati non possono essere ridotte, se non di poco. Le riforme di spesa (fra cui quella previdenziale) possono quindi generare effetti solo nel futuro, non nell'immediato. E' quindi ovvio che se si vuole raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2013, il che significa ridurre di 72 miliardi di euro il disavanzo in un biennio, e se le spese hanno un elevato grado di rigidità, nel breve periodo occorre manovrare soprattutto sul versante delle entrate, cioè aumentare le tasse.
Il problema, però, è che, per un ben noto effetto chiamato “curva di Laffer”, l'aumento delle tasse al tempo t genera un effetto depressivo sulla crescita al tempo t+1, e questo, a sua volta, produce una riduzione del gettito fiscale per t+,1,2,...,n. Per compensare questo effetto, che finisce, ovviamente, per azzerare i benefici strutturali (cioè di lungo periodo) delle manovre finanziarie restrittive varate al tempo t da un Monti qualsiasi, generando al contempo effetti recessivi, l'utilizzo a fini anticiclici della spesa pubblica diviene vitale. E' bene spiegare cosa succede, se si adotta la strategia suggerita dalla Marcegaglia:
Tempo “t”.a) Al tempo t una manovra “Monti fashion” aumenta la pressione fiscale per ottenere, nel più breve tempo possibile, benefici sul disavanzo. Nel frattempo, in termini strutturali, vara delle riforme di spesa che ovviamente, per la rigidità verso il basso della spesa pubblica nel breve periodo, avranno effetti soltanto nei periodi successivi.
Tempo t+1.b) La contrazione dei redditi e delle aspettative degli operatori indotta dall'aumento della pressione fiscale induce effetti recessivi, che si fanno sentire soprattutto al tempo t+1, tramite una riduzione dei programmi di spesa per consumi o investimenti, e quindi una contrazione della crescita potenziale del PIL;
c) i primi effetti recessivi dei programmi di riduzione strutturale della spesa varati nel precedente tempo t iniziano a farsi sentire, aggravando gli effetti recessivi già generati con il precedente punto b). Inoltre, nuovi programmi di riduzione della spesa, varati a t+1 per far felici quelli che chiedono una parallela contrazione della pressione fiscale, indurranno effetti recessivi su t+2, tramite una depressione del clima di fiducia dei consumatori e delle imprese;
d) per stimolare l'economia, a fronte dei nuovi programmi di riduzione della spesa varati, si riduce la pressione fiscale. Tale riduzione tuttavia si innesta sul corpo di una economia che, per gli effetti combinati dei precedenti punti b) e c), è già entrata in recessione. Pertanto, il clima di fiducia degli operatori è talmente depresso,a causa del ciclo recessivo in atto, che la riduzione del carico fiscale non produce effetti stimolanti immediati. La riduzione del carico fiscale, se non genera effetti immediati sul ciclo economico, produce però impatti finanziari immediati sul bilancio dello Stato, già nel tempo t+1.
e) alla fine dell'esercizio finanziario t+1, si registra un nuovo aumento del disavanzo, provocato dal calo del gettito fiscale dovuto agli effetti recessivi generati dai punti b) e c), ed aggravato dalla riduzione del carico fiscale decisa al punto d) mentre il programma di riduzione delle spese pubbliche deciso al tempo t avrà generato, dopo un solo anno, solo una piccola parte dei risparmi inizialmente previsti, poiché questi si diluiscono su più anni (mentre invece gli effetti dal lato delle entrate sono generalmente immediati, verificandosi nell'anno stesso). Di conseguenza, una parte dei benefici sul bilancio pubblico della manovra varata al tempo t, dopo un solo anno, si è evaporata. Per raggiungere il pareggio di bilancio, occorre in parte ricominciare da capo, ovviamente agendo ancora una volta sul versante delle entrate, poiché, come è noto, le spese sono rigide.
Tempo t+2.f) Al tempo t+2, si riproducono gli stessi effetti già visti per t+1, in forma però ancor più grave, perché nel frattempo, nel precedente periodo t+1, l'economia è entrata in recessione, rendendo tutto molto più difficile: il gettito fiscale è ancora più magro, a causa del calo del PIL, e ulteriori tagli di spesa pubblica, in piena recessione, divengono socialmente insostenibili (anche perché a t+2 si generano gli effetti di minore spesa dei provvedimenti di risparmio varati al tempo t, e di una parte di quelli dei programmi supplementari di taglio della spesa varati a t+1).
Morale della favola: la borghesia italiana, di cui la Marcegaglia è una importante esponente, ha voluto sostenere un governo tecnico ed un programma economico insostenibile, che riesce nel mirabile risultato di non risanare il bilancio pubblico e contemporaneamente generare nuova recessione. Chiedere una riduzione del carico fiscale in cambio di nuovi tagli di spesa pubblica, come si è visto con il semplice schemino di cui sopra, non serve a niente. Nel tentativo goffo di salvarsi facendo pagare il conto ai lavoratori ed ai pensionati, la borghesia italiana si è messa in mano al suo becchino. E' noto già dai tempi di Keynes che una soluzione liberista non risolve una crisi, e non può nemmeno risanare un bilancio pubblico. La soluzione che la borghesia italiana ha condiviso, mettendosi nelle mani di Monti, ha senso solo per gli operatori internazionali (intendendo per operatori internazionali non soltanto banche, fondi di investimento ed imprese straniere, ma anche banche, fondi ed imprese industriali italiane che operano però in una logica di multinazionali, con strategie di sviluppo di respiro globale, e che quindi non sono più radicate nel nostro Paese, e pertanto non hanno alcun interesse alle sorti dell'economia italiana). Tali operatori, strangolando definitivamente la nostra economia in cambio di riduzioni del disavanzo tanto rapide quanto, come si è visto, evanescenti, possono sperare di recuperare una parte dei loro crediti con lo Stato, detenuti sotto forma di titoli del debito pubblico (se si tratta di banche o fondi di investimento). Inoltre (e questo interessa soprattutto le imprese industriali multinazionali, Fiat in primis) possono speculare sulla rovina definitiva del popolo italiano, per avere a disposizione un esercito industriale di riserva atto a riprodurre condizioni di sfruttamento del lavoro da prima rivoluzione industriale. Ma la borghesia delle PMI, che rappresentano il 99% del tessuto produttivo italiano e degli associati a Confindustria, nonché il 70% del valore aggiunto, quelle imprese radicate sul territorio, che per ovvi motivi dimensionali non possono ragionare, come Marchionne, in una logica multinazionale e “sradicata”, in larga parte saranno rovinate, seguendo la rovina del Paese. In pratica quasi tutta la borghesia italiana, escludendo le poche dinastie internazionali globalizzate, che si contano sulle dita di una o al massimo due mani, si è suicidata nel momento in cui ha dato fiducia a Monti, trascinandosi dietro tutto il Paese. Chi è causa del suo mal pianga sé stesso. Perlomeno che morisse standosi zitto, ed evitando vergognose sciocchezze, come quelle che abbiamo udito oggi.
Avevo publicato un commento, perchè è stato cancellato?
RispondiEliminaEppure, secondo il mio modesto parere, esso (il commento) era un contributo all'esposizione delle idee espresse dall'Achilli nell'articolo.
In particolare al primo canto.
Luigi
Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo
(Voltaire)
Sembra che sia sparita anche la risposta di riccardo, invito sia lui che Luigi a ripostare i loro commenti. A volte succede, e non so perché.
RispondiEliminaCiao
Lorenzo
Ecco i due commenti incriminati
RispondiEliminaIn merito al primo canto dell'articolo:
Dal libro di M.Cobianchi:
"Mani bucate.A chi finiscono i soldi dei contribuenti: l’orgia degli aiuti pubblici alle imprese private" Milano, ed.Chiarelettere (pag.298).
Agevolazioni pubbliche che ogni anno il nostro Paese eroga alle imprese: “Non si dovrebbe arrivare molto lontani dalla spaventosa cifra di 30 miliardi di euro: più di due terzi del disavanzo pubblico da recuperare entro il 2013, poco meno della metà di quanto lo Stato paga di interessi sul proprio debito in un anno”.
Il numero dei destinatari: “Le imprese che tra il 2003 e il 2008 hanno visto approvate dallo Stato le loro domande di agevolazione sono state 212.075, mentre quelle che hanno chiesto e ottenuto soldi dai fondi europei gestiti dalle Regioni sono state 628.290. Significa che in 6 anni le imprese italiane agevolate con queste risorse sono state più di 840.000, con una media di 140.000 l’anno”.
Nello stesso arco di tempo “sono state approvate 1307 leggi di incentivazione (91 da parte dello Stato e 1216 da parte delle amministrazioni locali)”.
“Ciò che occorre tenere presente prima di entrare in questa galleria degli orrori è che le entrate fiscali italiane sono alimentate al 70 per cento dalle imposte pagate da dipendenti e pensionati e al 30 per cento circa da quelle versate dalle imprese. Ciò significa che il 70 per cento di tutti i soldi andati a un’impresa vengono dalle tasse dei suoi dipendenti o ex dipendenti(pensionati).
[Andrebbero aggiunti anche i dipendenti pubblici]
E questo vale anche per i fondi europei, visto che l’Italia è un ‘contribuente netto’ dell’Europa, cioè versa più di quanto riceve”.
La verità è che: “non esiste in Italia un solo settore economico che non sia sussidiato: dalle banche alle industrie, dall’agricoltura alle telecomunicazioni, dai trasporti al turismo, dallo sport alla finanza, dalla ristorazione allo spettacolo, dall’editoria alla moda, lo Stato elargisce soldi a tutti, persino alla Borsa”.
Dalla Fiat (prima e durante Marchionne)alla Stm, dalla Agusta alla Pirelli: praticamente non ci sono nomi – illustri e meno illustri – del capitalismo italiano che non abbiano ricevuto negli anni cospicue sovvenzioni da parte dello Stato.
Nel mentre, il potere di acquisto dei salari è calato notevolmente.
La conclusione Cobianchi la trae nell’ultima pagina del suo libro, sotto forma di augurio agli imprenditori italiani: “Auguro loro di usare sempre meglio i soldi pubblici, sperando di non sentire più sermoni contro la soffocante presenza dello Stato nell’economia, perché se c’è qualcosa di poco liberale in Italia sono proprio gli aiuti di Stato con i quali le imprese convivono”.
Cordiali saluti
Luigi
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No, a dire il vero nessuno ha cancellato niente. Il tuo primo commento io l'ho letto sulla posta elettronica, e non capisco per quale motivo non compaia anche sul blog. E' una cosa che non mi so spiegare. Nella nostra storia, abbiamo cancellato un solo commento, perché l'autore mi aveva minacciato di morte...Non cancelliamo MAI i commenti, sia quelli critici che quelli, come nel tuo caso, che vanno in direzione dell'articolo. Ti chiedo quindi il favore di volerlo ri-postare, altrimenti lo farò io (visto che, come ti ho detto, lo posso leggere sulla mia posta elettronica). Grazie e scusa per l'inconveniente informatico. Riccardo Achilli
Se c'è una cosa che mi fa andare in bestia, è la censura.
RispondiEliminaMa ora che mi avete spiegato perchè il commento non compariva, (che non è dipeso da voi, ma dall'informatica) il cielo è tornato sereno.
Tra l'altro, non mi riusciva di capire il perchè, a maggior ragione che il mio commento, andava a dar man forte, alle ragioni dell'Achilli.
Una buona notte ad entrambi.
Luigi
P.S.
Sig. Mortara, ho dato una scorsa alle sue 31 tesi; ebbene, le ho trovate veramente notevoli (ad una prima lettura).
Ma le devo ri-leggere con calma.
Al momento questa specie di vita che faccio, non mi permette di avere molta lucidità, nell'applicazione dello studio.
E' un problema se faccio arrivare ad altri le sue tesi? (anche in parte) come anche più in generale su Internet?
Ancora saluti
No non si preoccupi, nessuna censura, insulti a parte. Qualora succeda di nuovo (perché a volte succede, anche su fb, e credo sia per lo stesso motivo, ci scriva direttamente alla mail di redazione e vedremo di risolvere il problema. Non sono le opinioni che ci spaventano. Se legge il post con la corrispondenza sull'euro, vedrà che c'è pure un puntuto (come dice lui) scambio tra me e Riccardo, senza che questo abbia comportato chissà quale problema. Anzi, io dico che il blog ci guadagna.
RispondiEliminaUn saluto
Lorenzo
P.S. - Il Barnard tarderà ancora, ma lei conservi la fede
P.P.S. - dimenticavo il testo sulle 31 tesi non è mio, è un testo che gira in rete e non ho ben capito di chi sia. Io tra l'altro l'ho letto di sfuggita perché ora ho un sacco di impegni. L'ha letto e approvato il compagno Santarelli. Io lo farò più avanti e poi ne riparleremo.
RispondiEliminaNel frattempo speriamo di aver trovato qualche altra penna per il blog, altrimenti saremo costretti qua e là a ricorrere ancora a materiale non originale per riempirlo.
Come al solito, il tuo scritto non fa una piega e mi fa piacere ancora una volta che nella chiosa finale tu abbia inserito più di un accenno al neo-schiavismo occidentale di questo primo scorcio del 21° secolo.
RispondiEliminaUna domanda: ma al tuo amico di lecce gliele fai leggere queste cose?
Un saluto a tutti i lettori del blog.
P.S.: chi ti avrebbe minacciato di morte?