Care
compagne e cari compagni,
il
nostro partito è giunto sulla soglia di un anniversario che lo vede
ancora tenere alta la sua bandiera dopo ben 120 anni di storia, una
storia illustre piena di luci ma anche densa di molte ombre, fattesi
purtroppo molto lunghe negli ultimi venti anni.
E
quando le ombre sono lunghe, vuol dire che il sole è basso e non
splende più in alto nel nostro orizzonte, e il clima non è caldo,
ma tende ad essere gelido.
Le
vicissitudini degli ultimi tempi ci hanno portato a dover combattere
più per sopravvivere che per affermare i nostri ideali di sempre.
Ma
la nostra passione resta intatta e lo si vede quando qualcuno di noi
vola più alto delle misere logiche localistiche o dei disperati
giochi di bottega, per ricordarci quale è la nostra bussola, come
essa sia importante e quale direzione tuttora essa segni nel mondo ed
in Europa.
Un
partito che ambisce ad essere socialista e a restare tale, unico per
altro ad essere ancora iscritto al PSE e all'Internazionale
Socialista in Italia, ha il dovere innanzitutto, prima ancora di ogni
eventuale strategia politica di carattere nazionale, di coordinarsi
con quelle che sono le politiche europee e globali messe in atto da
analoghi partiti socialisti.
Il
documento di recente elaborato dal partito socialdemocratico tedesco
e da quello socialista francese parla chiaro:
Bisogna
dunque riformare in profondità la politica economica, finanziaria e
sociale europea nel quadro di un governo economico europeo
democraticamente legittimato e dotato di ampi poteri di intervento. I
capi di stato e di governo europei, in maggioranza conservatori e
liberali, e soprattutto la cancelliera tedesca e il presidente
Sarkozy, si sono rifiutati per troppo tempo di discutere di una
governance economica europea. Hanno sottovalutato l’ampiezza della
crisi monetaria e finanziaria. Non l’hanno saputa anticipare e
hanno dimostrato di non avere quella visione politica di cui l’Europa
avrebbe avuto bisogno durante la crisi. L’Europa governata dai
conservatori ha esitato troppo.(…) Le decisioni assunte all’ultimo
Consiglio di Marzo 2011- riforma del patto di stabilità e di
crescita, accordo sui principi di un meccanismo di stabilità europeo
permanente e su un patto per l’euro – sono ben al di sotto del
grande slancio politico necessario ad attuare un vero governo
economico europeo. Sono iniziative incentrate sul rigore di bilancio,
sull’austerità, considerata come la via maestra per far uscire
l’Unione europea dalla crisi.
Si
tratta di un approccio alquanto sbagliato e pericoloso. Riduce la
crisi monetaria europea ad una crisi di indebitamento dei paesi
membri e dimentica così totalmente la causa principale della crisi
attuale dell’euro: la crisi dei mercati finanziari internazionali
scatenata da un’enorme speculazione che ha costretto a più riprese
gli Stati membri dell’Unione europea ad indebitarsi per impedire il
crollo totale dei mercati finanziari.
Sono
i contribuenti che alla fine pagheranno il conto della crisi. Per
colpa dei conservatori europei, le banche e gli speculatori, le cui
operazioni finanziarie rischiose hanno provocato la crisi stessa, se
ne usciranno senza alcuna conseguenza. Questo non può essere nè
economicamente nè socialmente accettabile.
Le
iniziative e le riforme attuali sono insufficienti perché
prescrivono una via, quella dell’austerità economica, come unico
rimedio universale per tutti i paesi membri. Esse dimenticano le
disparità economiche e gli squilibri esistenti tra gli stati membri
dell’UE e, cosi facendo, rischiano di accentuare le fratture
economiche invece di sanarle.
Anche
i rimedi proposti sono particolarmente condivisibili ed evidenti:
1)
Una tassa sulle transazioni finanziarie in Europa (…)
2)
Un programma di crescita europea (…)
3)
Istituzione degli eurobond (…)
4)Un
sistema bancario con un’autentica funzione di servizio(…)
5)Una
base comune per l’imponibile fiscale sulle società (…)
6)Un
patto di stabilità sociale (…)
La
governance economica deve essere completamente democratica
Non
ci sembra per altro che la precedente opposizione parlamentare (in
particolare il PD) abbia recepito in alcun modo tali indicazioni ed
in particolare, favorendo la nascita di un governo tecnico non eletto
dai cittadini, essa ha disatteso la necessità di una governance
democratica, e con le misure messe in atto e votate dalla medesima ex
opposizione, oggi diventata a tutti gli effetti componente organica
per la fiducia ad un governo che attua le politiche della peggior
destra europea, essa ha piuttosto contribuito a far pagare ai
contribuenti più deboli un ulteriore insopportabile costo della
crisi, rendendosi di fatto complice attiva della recessione in atto.
E con l'aggravante di spacciare tale complicità per senso di
responsabilità, non certo esercitato nei confronti della maggioranza
degli elettori.
Un
partito Socialista degno di tale nome deve dunque evitare due rischi
che sono al contempo due pericoli micidiali che possono portarlo al
suo annientamento definitivo:
Il
primo è la "complicità" con chi mette in atto politiche
profondamente divergenti da quelle che si considera di attuare
nell'ambito del Socialismo Europeo
Il
secondo è lo “strabismo” che lo porta a guardare da una parte
alla sua presenza in un ristretto ambito localistico, e dall'altra a
fregiarsi di una visione europea di facciata, in particolare per
autoleggittimarsi (ma solo formalmente) nell'eventualità che altri
reclamino il diritto di attuare politiche concretamente e più
credibilmente socialiste. Uno “strabismo” per altro accentuato
anche dalla tendenza non tanto ad accogliere senza pretese chi crede
di avere sbagliato ad intraprendere strade diverse in passato, ma
addirittura a proporre liste comuni con coloro che fuoriescono da
anni di berlusconismo da noi sempre aspramente criticati e
considerati tuttora rovinosi per l'assetto sociale ed economico del
paese.
Chi
ha sbagliato e chiede di tornare a non sbagliare può essere accolto
(perché non si sbatte mai la porta in faccia a nessuno e ai miracoli
non si voltano mai le spalle), ma solo a patto che, pentito
seriamente ed amaramente del suo recente passato, dia poi umilmente
il suo contributo come tutti. Non si può certo accettare che diventi
invece il perno di una nuova politica per cercare consensi che non
troveremo di sicuro tra quelle persone che sanno ancora quali sono
sempre stati i valori e gli orientamenti del socialismo italiano,
tanto meno tra i giovani che sono stati le vittime preferite di tali
disastrose politiche, messe in atto con il pieno assenso di coloro
che oggi abbandonano il carro di Berlusconi.
Un
valore che dobbiamo mettere al centro della nostra politica è la
“condivisione” perché il valori socialisti non sono un
“monopolio” esclusivo di un partito, in particolare, considerando
i compagni socialisti di SEL profondamente delusi dopo la svolta del
“precedente” segretario svoltasi a Bagnoli, che aspiravano ed
aspirano tuttora a creare una “sinistra larga” di orientamento
socialista e democratico, noi dobbiamo rivolgere loro un caloroso
appello affinché si crei con il nostro partito una piena convergenza
di intenti, per rafforzare anche in SEL l'energia necessaria a
percorrere con orientamenti e valori chiari, la via del Socialismo
Europeo, la quale, evidentemente, non può essere tracciata solo da
un leader, o che, comunque, non aspetta a tempo indeterminato che un
leader la percorra, ma piuttosto richiede una vasta partecipazione e
consapevolezza nella base di tutti quei militanti di partito che sono
decisi fermamente ad intraprenderla.
Noi,
dunque, come partito seriamente ancorato alla sinistra fino ad
esserne indissolubili e a reclamarne oggi come 120 anni fa la
sinonimia e la stessa “fondazione”, restiamo aperti al loro
prezioso contributo e anche alla loro militanza, pronti ad
accoglierli in ogni momento, per valorizzare al massimo le loro
ragioni e farne elemento fondamentale di propulsione creativa verso i
più vasti orizzonti e percorsi che consideriamo insieme di volere
raggiungere.
Lo
stesso diciamo ai compagni socialisti del PD, e anche a chi si trova
nella FED; la sinistra può e deve essere rinnovata e rilanciata
soprattutto se sapremo condividere la strada della prassi socialista,
che richiede innanzitutto partecipazione alle lotte dei lavoratori,
sostegno ai sindacati che più ne difendono oggi i diritti,
promozione di una coscienza più matura di appartenere ad una
“classe”, ad un mondo che lo spietato totalitarismo del profitto
tende a ridurre a merce e “pezzo di ricambio”, soltanto per
accrescere i suoi interessi. Ciò ci impone in particolare una
coscienza matura dei rapporti sociali in atto e anche delle sfide
ecologiche ed ambientali che esigono un diverso modello di sviluppo
più orientato non tanto verso la “sostenibilità”, ma piuttosto
verso la compartecipazione alla valorizzazione e alla simbiosi con le
forze della natura, ricavandone energia vitale e rinnovabile.
Per
seguire la bussola del Socialismo, l'unica che può concretamente
evitare di farci naufragare in una generalizzata e globalmente
rovinosa barbarie, è necessario non essere “strabici”, e
conseguentemente saper guardare insieme nella stessa direzione, verso
la quale già puntano altri popoli che validamente cercano di
contrastare, anche in altri continenti, la tirannide di un
capitalismo cainamente speculatore e guerrafondaio.
Dobbiamo
utilizzare le risorse preziose che vengono dai contribuenti (e
dobbiamo lottare strenuamente affinché tutti lo siano) non per
incrementare l'attività più inutile e dispendiosa oltre che
tragicamente rovinosa ed autodistruttiva che ci sia mai stata: la
guerra. Dobbiamo giovarcene per rendere il nostro Stato più solidale
e più giusto, per combattere la criminalità e la corruzione e per
tutelare lo Stato sociale, la giustizia, la salute, la formazione ed
i posti di lavoro, sapendo anche “vendere meglio” i nostri
prodotti all'estero, in particolar modo nei paesi emergenti del BRIC
in cui la nostra politica dell'export è tuttora in ritardo,
deficitaria e scarsamente concorrenziale.
Noi
siamo “piccoli” perché scontiamo troppe “piccolezze” che ci
hanno ridotto in tali condizioni in un passato recente, dopo avere
tentato di essere “grandi” con un grande leader: Bettino Craxi il
quale però, pur pensando in “grande” non seppe allargare questa
“grandezza” al di fuori della sua leadership, restando
sostanzialmente prigioniero prima e confinato poi nell'assolutismo di
“quella sua personale”.
Un
leader è grande quando riesce non solo a dare un esempio credibile e
duraturo, ma ancor di più quando sa coinvolgere, nella rilevanza del
suo progetto innovativo, la partecipazione attiva e responsabile di
altri compagni e persino di altre forze politiche; in poche parole
quando è “contagiosamente” utile e positivo per una causa
comune. Così furono grandi socialisti come Pertini, Nenni e
Lombardi, così possiamo, vogliamo e dobbiamo essere noi, non
contando su “uno per tutti”, ma essendo piuttosto disposti a
“contare tutti per uno”.
Condivisione
e focalizzazione degli obiettivi che abbiamo di fronte, senza alcuna
“complicità” o “strabismo” questa può essere la strada non
solo della rinascita di un partito, ma, ancora di più, di una Italia
più degna, più rispettata e sicuramente migliore di quella che
abbiamo oggi sotto i nostri occhi
Ecco
quindi che il miglior augurio che credo di potervi fare per il nostro
prossimo 120° anniversario è quello di avere coraggio e di non
esitare, per continuare a guardare in alto e credere, partecipare e
lottare, perché così le ombre si accorceranno, e il nostro sole,
quello del migliore avvenire, finalmente potrà rispendere alto e
luminoso su di noi... fino alla vittoria, sempre!
C.F.
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