di Lorenzo Mortara
La Lega dei Socialisti, rende Omaggio
a Rosa Luxemburg. Lo fa con un articolo del
compagno Giuseppe Giudice. Dopo il ritorno prepotente di Marx sulle
copertine della stampa borghese, salutiamo con grande gioia il
ritorno anche dei suoi migliori seguaci sulla stampa operaia, o
comunque più vicina a noi. Buon segno, indica il cambiamento dei
tempi. Il marxismo sta tornando, e con lui la sua miglior tradizione.
Tuttavia, siccome nel frattempo, socialisti e comunisti sono
pressoché spariti dal quadro parlamentare, per ora dall’assenza di
tutti e due possiamo solo trarre qualche vantaggio nel dibattito tra
di noi. È difficile infatti che in queste condizioni chi scriva sia
animato da qualcosa come calcoli politici e tatticismi. Si può
quindi tentare un dialogo interrotto in passato da troppe manovre
sottobanco più che da reali divergenze. Intendiamoci: non credo che
la frattura tra socialisti riformisti e socialisti rivoluzionari,
quando dettata da vere divergenze, sia qualcosa di facilmente
ricomponibile, anzi per essere onesto debbo dire che per me un
socialista o è rivoluzionario o semplicemente non è un socialista.
Tuttavia non è importante quel che penso io o il compagno Giudice,
quel che conta è vedere se si riesce ad avere qualche punto in
comune sulla Storia e sulla sua ricostruzione. Nel suo articolo a me
pare che Rosa Luxemburg venga al quanto sfigurata e strappata al
bolscevismo, dal quale si differenziava in molte cose, ma al quale
era molto più vicina di quanto non fosse irrimediabilmente distante
dalla socialdemocrazia tedesca. Nel rimettere a posto Rosa Luxemburg,
dal mio punto di vista, cercherò di essere meno “puntuto” del
solito, proprio per vedere se sia possibile imbastire un confronto o
se nell’anno più o meno zero del movimento operaio, dovremo a
malincuore proseguire ognuno per la sua strada pur nel rispetto
reciproco delle opinioni.
ROSA
PACIFISTA?
Non mi stancherò mai di
ripetere che la differenza fondamentale tra i marxisti e i riformisti
di tutte le razze, è che per i secondi le divergenze tra partiti e
persone sono sempre divergenze di idee. Al marxismo le idee da sole
non bastano, perché devono sempre essere ricondotte agli interessi
di classe corrispondenti. Il testo del compagno Giudice non fa
eccezione e ci presenta le varie divergenze tra Rosa e suoi
contemporanei come concezioni del mondo o al massimo come valutazioni
politiche personali.
Il
compagno Giudice scrive che Rosa Luxemburg era una «pacifista
convinta e militante; il capitalismo produce inevitabilmente guerra
che per lei […] era la più grande tragedia che l’umanità
potesse vivere». Come tutti i marxisti, Rosa Luxemburg, non
poteva vedere le cose dal punto di vista dell’umanità in generale,
perché finché ci saranno le classi sociali non potrà esserci un
comune sentire nemmeno nelle cose più elementari che dovrebbero
unire gli uomini, come il contrasto a tutte le guerre. Per il
capitalismo la guerra non è una tragedia ma una pacchia, perché
consente alla borghesia di “bruciare” i capitali in eccesso senza
perderli, anzi aumentandoli, e di sfoltire il proletariato mandandolo
a massacrarsi per lei sui campi di battaglia. Se tragedia è quindi
la guerra, lo è solo per noi. Siccome una classe la guerra la vuole
e una la subisce, ne viene che i marxisti non possono essere semplici
pacifisti. Anzi, tutto il contrario. La lotta di classe è lotta tra
due eserciti, esercito essendo l’etimo originario di classe.
Per battere la borghesia e provare finalmente a vivere in pace, il
proletariato dovrà muoverle guerra. Perciò fino alla sconfitta
definitiva della borghesia, proletariato e avanguardia marxista, lo
dico con una parola un po’ forte per rimarcare la differenza,
saranno necessariamente guerrafondai. E così fu in effetti
Rosa Luxemburg, la quale ancora nel Luglio del 1918, in una lettera a
Luise Kautsky, moglie di Karl, rinfacciava addirittura ai bolscevichi
«il loro fanatismo pacifista».
Essere guerrafondai non vuol dire che i marxisti possano essere
associati a semplici spacca vetrine, guerrieri metropolitani,
terroristi e quant’altri impazienti della rivoluzione,
significa solo che alla guerra-lotta che la borghesia muove contro di
noi, noi risponderemo con la guerra-lotta del proletariato alla
borghesia. In questo senso siamo guerrafondai, lo siamo cioè a modo
nostro, secondo il metodo che abbiamo imparato e perfezionato in
quasi due secoli di esperienza. Ma semplici pacifisti proprio no, non
lo saremo mai!
LENIN,
ROSA, KAUTSKY E L’ALA DESTRA DELL’SPD
Nel testo del compagno
Giudice, il contrasto di Rosa Luxemburg con l’Spd tedesca viene
addolcito ingrandendo le divergenze con i bolscevichi e confinando
alla sola ala destra la sua rottura con i socialdemocratici
tedeschi. Le cose, però, non stanno proprio così. Anzi, a
dirla tutta, stanno proprio all’opposto. È vero come scrive il
compagno che nel 1905 sulla questione del partito Rosa si divise da
Lenin e compagni, non però con una frattura insanabile, ed anzi
avvicinandosi col tempo sempre più alle posizioni dei bolscevichi,
tanto che alla morte non si sentì sicura di pubblicare la sua ultima
polemica, esposta nell’opuscolo La rivoluzione russa, con le
menti lucide – sono parole sue – che avevano guidato la
rivoluzione d’Ottobre. Mentre si riducevano i contrasti coi
bolscevichi senza per altro mai coincidere, al contrario andavano
aumentando quelli con l’Spd tedesca. Fin dal 1905, con Sciopero
di massa, partito e sindacati, Rosa aveva subodorato
l’opportunismo di Kautsky e compagni che avevano confinato lo
“sciopero generale” solo ad un particolare decreto burocratico da
usare ogni morte di Papa. Proprio per questo nel 1910, con l’articolo
La teoria e la prassi, la rottura con l’opportunismo della
socialdemocrazia fu completa, violenta e definitiva. Ma non fu
una rottura con l’ala destra, tutto il contrario. È con Kautsky in
persona che ruppe Rosa, col centrismo che almeno a parole
avrebbe dovuto essere il custode dell’ala sinistra. Del resto
Kautsky andava sempre più avvicinandosi a Bernstein, il primo grande
bersaglio della Luxemburg, e Bernstein non era certo un destro,
infatti si ritrovò poi con Kautsky nei centristi dell’Uspd. Ed è
con questi due che si concentrano le memorabili polemiche della
Luxemburg, non con altri. Perché erano questi che avevano il dovere
di tenere alto l’onore della socialdemocrazia, e furono questi che
più di ogni altro portavano la responsabilità del suo ignobile
crollo. Il pensiero marxista, e non filosofico della
Luxemburg, come sostiene impropriamente il compagno Giudice, fu agli
antipodi da quello di Kautsky. Se infatti per Rosa, pur nelle
divergenze, i bolscevichi erano quelli a cui si doveva «la
riabilitazione del socialismo internazionale»,
i socialdemocratici tedeschi erano dei «miserabili
vigliacchi» che avrebbero
lasciato «dissanguare i
russi, stando tranquillamente a guardare».
E perché questa codardia dei socialdemocratici tedeschi nel 1917?
Perché già nel 1907 Rosa aveva avvertito proprio dal ritorno dalla
Russia, dal ritorno dai grandi bolscevichi, «la
pusillanimità e la grettezza di tutto il nostro partito […] La
situazione è semplicemente questa: Augusto (Bebel, Nda), e
tanto più gli altri, si sono totalmente buttati via per il
parlamentarismo e nel parlamentarismo». Non poteva che finire così la pomposa tradizione di un Partito
“marxista” il cui capo indiscusso, Kautsky appunto, era fatto
soltanto di «epigonismo teorico abbarbicato alle formule del maestro
nell’atto stesso in cui ne rinnegava lo spirito vivente». Proprio
per questo, all’interno della socialdemocrazia tedesca, è l’ala sedicente sinistra, nei fatti centrista, la vera responsabile dell’assassinio di
Rosa Luxemburg. I comunisti non si sono affatto sbagliati, perché
mentre i riformisti tendono a nascondersi dietro l’atto formale,
tirando la pietra e nascondendo come loro costume la mano, i marxisti
chiedono loro conto dell’atteggiamento prono alla destra che hanno
tenuto per tutto il corso della guerra. Chi è che ha lasciato campo
libero alla destra nel Partito, opponendosi solo per rifarsi la
faccia quando ormai era troppo tardi? Liebknecht fece un errore
quando votò i crediti di guerra, ma Kautsky fece una vera e propria
scelta di campo. Da allora il riformismo, specie quando è ora, sta
coi padroni contro di noi. Tra i tanti delitti che i socialisti e
comunisti possono aver compiuto, non ce n’è uno più grande di
questo. Chi commette questo crimine non ha diritto di giudicare e
mettere alla sbarra quelli che hanno commesso altri ma sempre
all’interno del nostro campo. Il massacro di Kronštadt può essere
condannato solo da chi, a suo modo, ha spinto sinceramente per la
rivoluzione, non certo da chi ha le mani lordate del sangue ancora
freschissimo di oltre otto milioni di proletari mandati al macello
della Prima Guerra
Mondiale per gli
interessi dei Krupp. Kronštadt, nel bene e nel male, a torto o a
ragione, indubbiamente a torto, fu una pagina orrenda del bolscevismo
che aprì le porte allo stalinismo, ma forse se al posto della
Repubblica di Weimar
ci fosse stata la Repubblica dei Soviet di Germania, Kronštadt non
ci sarebbe neanche stata. E non è tanto alla luce di quello che
fecero i bolscevichi che vanno giudicati gli edificanti discorsi di
Kautsky e compagni, ma di quello che non fecero loro, per meschina rinuncia e opportunismo.
LIBERTÀ,
DEMOCRAZIA E DITTATURA
Pur di staccarla dai bolscevichi, il compagno Giudice, avvicina Rosa
Luxemburg a tutti i riformisti onesti, dimenticando però che lei fu
una rivoluzionaria, non una socialista da Parlamento. È strano che
una donna che fece ruotare tutta la sua vita attorno al successo
della rivoluzione, sia stata così distante dagli unici che nella sua
epoca l’abbiano fatta e abbia invece continui punti di contatto con
coloro che l’hanno scansata, quando non addirittura sabotata. Nel
suo articolo, il compagno socialista, tiene Rosa a distanza
incommensurabile dai 21 punti della III Internazionale, in compenso
la avvicina a Kautsky, a Matteotti e persino a Bauer, forse perché
attribuisce volutamente più importanza a questioni che nella storia
di Rosa Luxemburg furono non dico secondarie ma certamente minori.
Il contributo più importante della Luxemburg, non fu, quello dato al rapporto tra democrazia e partito.
Il contributo per cui Rosa passa alla Storia è la demarcazione
teorica definitiva tra riformisti e rivoluzionari. Per Rosa i riformisti riformano
all’infinito il capitalismo, stanno quindi nel campo borghese, i
rivoluzionari lo abbattono, stanno perciò nel campo avverso. Diversa
e opposta, quindi, è anche la valutazione di parole come libertà,
democrazia e dittatura. Se non si aggettivano queste parole, senza
specificazioni, si rischia di interpretare male tutto quanto detto da
Rosa.
Rosa
Luxemburg nel suo scritto La
rivoluzione russa, non
parla di estensione progressiva della democrazia come fanno Kautsky e
Bauer, perché non è sulla democrazia
pura che sta
polemizzando coi bolscevichi, ma sulla democrazia
proletaria. È questa
e solo questa che deve essere allargata. E lo sapevano anche i
bolscevichi, e se la restrinsero sotto il peso delle circostanze è
perché valutarono che senza quel giro di vite, in quel momento, si
sarebbe anche richiusa la prima finestra che avevano aperto nel muro
senza fori proletari della democrazia borghese. Rosa li incitava ad
aprire anche tutte le altre. I riformisti invece li accusavano di
aver chiuso tutte quelle che Rosa era ben felice che avessero chiuso,
a cominciare dall’Assemblea
Costituente. Allargare
la democrazia, per i riformisti, significa riempirla di finestre
borghesi che continueranno a far veder al proletariato il mondo
dietro le sbarre del capitalismo. Per i rivoluzionari, tutta la
democrazia borghese con le sue finestre e i muri maestri, deve essere
abbattuta e rasa al suolo come Cartagine. L’allargamento della
democrazia proletaria deve passare da questa frattura netta con la
democrazia borghese, non ha niente a che vedere con l’armonica
progressione di Bauer
e Kautsky, che è solo l’armonica progressione delle loro sinecure
parlamentari.
Il diverso fine cui tende la democrazia riformista rispetto a quella
rivoluzionaria, fa cambiare anche la concezione del Partito. La
libertà, la democrazia e altri paroloni non c’entrano nulla. È
l’interesse che fa divergere Lenin da Kautsky. Per non fare la
rivoluzione bisogna allargare le maglie del partito, fare entrare
cani e porci, burocratizzandolo da cima fondo. Il partito delle
riforme, cioè, anche se parla continuamente di democrazia, deve
essere fondamentalmente antidemocratico, chiuso, cinico ed ottuso. Da
partito di azione deve diventare un partito di chiacchiere. Di qui la
deriva verso un Partito cosiddetto di opinione che in realtà non ne
ha nessuna in particolare, tranne l’odio per ogni teoria coerente e
ponderata. In questo la Storia dell’Spd non è molto diversa dalla degenerazione del partito bolscevico. Anche Stalin dovette far entrare di tutto nel
partito bolscevico per annacquarne e infine spezzarne l’ossatura
rivoluzionaria. Le due concezioni approdano ugualmente al verticismo,
ma la concezione rivoluzionaria lo fa dichiarandolo e perseguendolo,
quella riformista negandolo e facendo finta di perseguire un rapporto
democratico orizzontale. Inoltre il verticismo riformista è fatto
per staccarsi effettivamente dalle masse, quello rivoluzionario per
avvicinarsi il più possibile. Dietro il verticismo rivoluzionario, ci sta quella che i liberali definirebbero gerarchia meritocratica. Nel democratismo riformista, verticistico quanto l’altro solo più ipocrita, ci sta una gerarchia capovolta. In questo caso però, la gerarchia capovolta, esprime un preciso interesse, quello della casta parlamentare, nel secondo l’unico modo finora storicamente vincente, di portare avanti gli interessi del proletariato. Indubbiamente è un gioco difficile e
irto di pericoli, ma i cattivi risultati ottenuti subito dopo la
rivoluzione d’Ottobre, non devono far dimenticare o addirittura
cambiare le regole giuste con cui Lenin e i bolscevichi si giocarono
la partita. Certo, se la si gioca nel campo avverso, le concezioni di
Kautsky diventano o possono apparire giuste, specialmente se si è
convinti di essere dalla nostra parte.
Analogamente al discorso appena fatto sulla democrazia e la dittatura, si può
dire la stessa cosa sulla libertà. È indubbio che la libertà per
chi la pensa diversamente è anche un principio valevole in generale,
ma nello specifico dello scritto, non è separabile dall’esproprio
dei capitalisti e dal controllo proletario dei mezzi di produzione. È
lì che comincia la libertà di pensiero per Rosa Luxemburg. Ed è
proprio lì che non la fa mai arrivare il riformista, che si ricorda
sempre della sua libertà di parola, ma si dimentica altrettanto
facilmente della libertà del proletario di poter parlare da uomo
libero e non da eterno schiavo del capitale. Anteponendo la prima
libertà alla seconda, il riformista è al di qua dei nostri
problemi e non ci può aiutare. Rosa invece con le sue critiche dal
lato dell’esproprio ci aiutò non poco, perché capì che il
problema della libertà poteva essere risolto solo partendo da lì o
sarebbe rimasto insolubile. Kautsky e soci protestavano contro la
censura e la restrizione della libertà di parola, ma rifiutavano di
ammettere di farlo dalla parte dei nostri carcerieri. Era la libertà
di parlare da dietro le sbarre e col pigiama a righe. Perché, in
effetti, la libertà è sempre e soltanto la libertà di chi la
pensa diversamente, ma se la libertà deve diventare una palla al
piede, noi proprio come Rosa Luxemburg siamo contro la (loro)
libertà.
STORIA IDEALE E STORIA DI CLASSE
Se proviamo a guardarla dal lato degli interessi di classe, allora
scopriremo che anche la Storia come la racconta il compagno Giudice,
non è così giudiziosa
e lineare come appare. È qui che sta la maggior debolezza dello
scritto del compagno socialista, nel voler far coincidere le idee dei
socialisti riformisti con le loro azioni.
Rosa Luxemburg non ha mai sostenuto che la rivoluzione russa non avrebbe
potuto essere esportata in Occidente. Anzi era convintissima che
fosse relativamente facile, se non fosse stato per l’intralcio
della socialdemocrazia tedesca. Proprio il tradimento della
socialdemocrazia tedesca, getta tutta un’altra luce sulle
considerazioni ipocrite di Kautsky. Non è il dispotismo dei
bolscevichi a far condannare la rivoluzione russa da Kautsky, tanto
meno l’immaturità delle condizioni russe, ma la pura e semplice
ripulsa contro l’esproprio dei capitalisti. Lo si capisce dal fatto
che se in Russia le condizioni erano immature per la rivoluzione, non
si capisce perché in Germania, dove invece lo erano, Kautsky non
solo abbia rinunciato a farla, ma abbia anche contribuito a sostenere
la controrivoluzione. Inoltre, l’involuzione dei bolscevichi non
può essere disgiunta da quello che avveniva attorno a loro. Se la
socialdemocrazia tedesca fosse loro venuta in soccorso, colpendo alle
spalle l’imperialismo, l’Urss avrebbe conosciuto purghe e Gulag?
Non lo sappiamo ma sappiamo cosa pensava Rosa Luxemburg: «La colpa
degli errori dei bolscevichi la porta in ultima analisi il
proletariato internazionale e innanzitutto la bassezza pertinace e
senza precedenti della socialdemocrazia tedesca». E la bassezza
senza precedenti della socialdemocrazia, è la bassezza pertinace di
quei rammolliti
piagnucolosi di
Kautsky, di Bernstein, di Ströbel
e di tutta la ciurmaglia di eunuchi
menscevichi della II
Internazionale (i corsivi sono ovviamente espressioni della
Luxemburg). È strano che si lamentino del dispotismo
antidemocratico, socialdemocratici che nel momento stesso della
rivoluzione bolscevica avevano trasformato il loro partito in un covo
di censori e di stalinisti ante-litteram
che proibivano ogni discussione e chiudevano la stampa in onore e
gloria del Reich tedesco a cui avevano promesso obbedienza. È sulla
burocratizzazione della socialdemocrazia tedesca che Michels ha
scritto la più grande sociologia
dei partiti che si
conosca, non sull’apparato “bolscevico-stalinista”. È
doppiamente strano che per evitare il dispotismo sovietico,
Hilferding e soci abbiano lasciato praticamente campo senza fiatare
all’ascesa di Hitler, cioè al dispotismo della reazione. Tutto lo
strologare di Kautsky e compagni su democrazia e dispotismo non è
che una copertura per nascondere la loro natura controrivoluzionaria.
L’Uspd, infatti, non nacque contro la guerra, visto che a guidarla
erano i “pacifinti” che fino al giorno prima in nome della pace
votavano la guerra, ma contro la rivoluzione. La radicalizzazione
delle masse procedeva troppo rapidamente perché l’ala
maggioritaria potesse contenerle continuando a proclamare apertamente
la guerra. Per imbrigliarle era necessario che una parte della
socialdemocrazia cominciasse ad alzare i toni restando sempre però
seduta e prona alla volontà padronale. Sempre, quando si avvicina la
rivoluzione, la borghesia ha bisogno di confondere le acque dandosi
anche lei un linguaggio rivoluzionario. Parare
gli spartachisti,
questo fu il ruolo storico dell’Uspd, non altro. Infatti, passato
il momento di burrasca, di fronte ai 21 punti della III
Internazionale, messi alle strette da Lenin e Trotsky, i compagni
pacifinti,
preferirono tornare all’ovile. Pacifisti e sostenitori della
guerra, le due anime dell’unico fetido
cadavere socialdemocratico,
si ritrovarono di nuovo riunite a braccetto nel sarcofago
parlamentare. E non saremo noi marxisti a riaprire ciò che la Storia
ha richiuso per sempre nella sua stalla naturale.
La Storia non ha dato ragione a Kautsky e Hilferding, è solo la lotta
di classe che ha detto bene alla borghesia sul proletariato. Lenin e
i suoi son rimasti sconfitti perché oltre alla borghesia davanti,
hanno dovuto lottare anche con la socialdemocrazia tedesca che li
colpiva alle spalle, a tradimento. È lo stesso compagno Giudice a
riconoscerlo, quando ricorda i tentativi fatti da Ebert e Noske nella
«speranza di riportare l’ordine e di evitare quello che che era
accaduto in Russia». E l’ordine dei Noske, s’è solo dimenticato
di aggiungere il compagno socialista, era il loro
ordine, l’ordine sopra Berlino. Così
infatti, titolava Rosa Luxemburg il suo ultimo, sarcastico,
bellissimo articolo: L’ordine
regna sopra Berlino. Regnava
sulle macerie ancora fumanti della rivoluzione e sui cadaveri caldi di lei
e di Karl Liebknecht.
Rosa, è vero, si era espressa contro
l’assalto al cielo,
perché lo giudicò non ancora maturo. Ma questo non basta a metterla
sullo stesso piano dei Kautsky nell’analoga relazione con i
bolscevichi. Rosa fu contraria all’assalto ma essendo in minoranza
accettò di sostenerlo e di lasciarci le piume. Questo prova
inequivocabilmente che si mosse sempre nel solco della rivoluzione.
Pagò di persona errori non suoi, esattamente come Kautsky presentò
sempre ad altri il conto dei suoi tradimenti. La differenza tra il
coraggio di una rivoluzionaria e la codardia di un riformista, è
forse tutta qui. Infatti, cosa fecero Kautsky e soci mentre gli
spartachisti almeno ci provavano? Stettero a guardare naturalmente,
come per la guerra, come per la rivoluzione bolscevica, come sempre.
Stettero cioè dall’altra parte nonostante si riempissero la bocca
di belle parole, dal vago sapore socialista.
Lorenzo Mortara
Delegato Fiom-Cgil
Stazione Dei Celti
Gennaio 2012
Nota
– Le citazioni di Rosa Luxemburg, per quanto riguarda la
rivoluzione d’Ottobre e il crollo della II Internazionale sono
tratte da La rivoluzione russa e «La tragedia
russa», Massari Editore, Bolsena 2004; i giudizi sui
miserabili vigliacchi dell’Spd e sui pacifisti bolscevichi,
si trovano nelle lettere a Luise Kautsky sempre nello stesso volume;
il giudizio sul cretinismo parlamentare di Bebel e soci è
riportato in una lettera a Clara Zetkin citata nell’introduzione di
Lelio Basso agli Scritti politici di Rosa Luxemburg, Editori
Riuniti, Roma, 1970; nella stessa introduzione si ritrovano i giudizi
su Kautsky e sugli altri capi della socialdemocrazia; infine altri articoli citati si trovano negli Scritti Scelti, a cura di Luciano Amodio, pubblicati dall'Einaudi, nel 1975.
Mi sono ...sciroppato tutto il commento sulla Luxemburg.
RispondiEliminaIo, nel frattempo che lei finisca quello su Barnard, le mando questo:
http://sollevazione.blogspot.com/2012/01/modern-money-theorybarnard-unanalisi.html
Saluti.
Sono d'accordo con De Simone, ho letto le prime due pagine di sciroppo del De Simone, e non si scosta molto da me, ma il mio articolo è più bello e avvincente. Ora lo finisco in biblio, il De Simone. Grazie per la pazienza su Rosa. Oggi dovremmo pubblicare un articolo su Cameron dal sapore shakespeariano. E' un po' più corto del mio sulla luxemburg, ma è miglior articolo di economia dall'inizio dell'anno. Imperdibile!
RispondiEliminaBuona giornata
Lorenzo
Segnalo sul sito della Lega dei socialisti (sul quale l'articolo è stato pubblicato in contemporanea) alcuni commenti tra i due autori:
RispondiEliminahttp://www.legadeisocialisti.it/lds/index.php?option=com_content&view=article&id=143%3Abentornata-rosa-luxemburg-&catid=8%3Acultura&Itemid=11#addcomments
Caro Luigi ho finalmente finito e pubblicato l'articolo su Barnard. Spero sia di suo gradimento. Attendo commenti...
RispondiEliminaLorenzo