I
NEOBORBONI
-contro
Paolo Barnard, in difesa della Fiom-
di Lorenzo Mortara
con una postilla finale
di Riccardo Achilli
PREMESSA
Qualche
lettore ci ha chiesto delucidazioni sugli scritti di Paolo Barnard.
Negli ultimi tempi, questo giornalista, che appartiene più alla
categoria dei frustrati, è convinto di aver scoperto chissà cosa
dietro la crisi finanziaria, ma siccome non riesce a fare molti
proseliti, lancia strali e fulmini, come una vecchia zitella
inacidita, contro chiunque non si sintonizzi sulla sua stessa
cortezza d’onda.
Cacciato
da tutte le televisioni, censurato da tutti i blog contrari alla
censura, inviso ai Grillo e ai Santoro, come ai Travaglio e alle
Gabanelli e altri spiriti liberi ma non troppo, Barnard – che ha
tutta la nostra proletaria comprensione per tanta meschinità – s’è
alla fine convinto di essere l’unico con in mano la verità. E
certo se i propri avversari sono del calibro della banda dei
quattro appena citata, anche Paolo Barnard potrebbe avere
ragione. Proprio la caratura media dei quattro, dovrebbe essere
sufficiente a Paolo Barnard per aspettare almeno un attimo prima di
incoronarsi a Dio disceso in Terra a miracol mostrare. Con noi
infatti, Barnard può stare tranquillo, non subirà alcuna censura
perché teniamo troppo al buon umore dei lettori...
Tempo
fa, per la precisione un lustro fa, nell’Agosto del 2006, gli avevo
indirizzato una mia critica al testo Per
un mondo migliore, un saggio, questo del
Barnard, nel quale c’erano già tutti gli elementi che avrebbero
poi dato corpo al Barnard isterico di oggi. La mia critica era un
discreto e corposo testo di analisi economica, che già allora
riduceva Barnard ai minimi termini, tanto che lui mi rispose
dicendomi che non aveva la cultura per apprezzarlo perché ne stava
molto al di sotto. E non mi sembrava scherzasse. Anzi, siccome mi
ringraziò di averlo citato, pensai che tutto sommato si sarebbe
potuto anche continuare di tanto in tanto il nostro carteggio. Così
tre anni dopo, nel Dicembre 2009, di fronte alla sua ennesima uscita
contro l’Europa e la perdita di sovranità nazionale, ma
soprattutto contro il popolo bue,
lui evidentemente escluso, che se la prendeva col povero Berlusconi,
gli scrissi una lunga lettera per spiegargli l’errore tecnico della
sua impostazione. Gli spiegai a farla breve che è
l’Unione Europea ad andare a carretta degli Stati nazionali e non
il contrario come pensano i Neoborboni come
lui che sognano di tornare alla lira,
convinti che si risolveranno i problemi, perché attribuiscono a una
moneta, cioè a niente, una crisi che sta invece scritta tutta nel
DNA del capitalismo. Mi rispose piccato di non scocciarlo e di
indirizzare ad altri i miei insulti. Presi atto della sua ormai
irreversibile crisi da cinquantenne esaurito e dopo aver palleggiato
due secondi nella testa l’idea di mandarlo dove si può immaginare,
lasciai perdere. Non so se neoborbone
sia un insulto, ma certo è perfettamente calzante per quelli come
lui. In ogni caso è tipico degli squilibrati dare titoli a destra e
a manca per poi offendersi per quelli che ritornano indietro senza
neanche gli interessi. E dagli squilibrati son già io a tenermi alla
larga, perché non mi hanno mai divertito.
Conservo
ancora la mia lunga risposta a Per un mondo migliore. L’avevo
intitolata Dove va il popolo di Seattle. Potrebbe anche essere
pubblicata, senza sfigurare troppo. Tuttavia considero quel testo un
mio scritto d’apprendistato che tale deve rimanere. Non che adesso
mi senta arrivato, anzi, il marxismo è sempre in fieri, ma
insomma l’apprendistato vero e proprio lo considero finito. Si
impone quindi la necessità di uno scritto nuovo di zecca.
Oggi,
la critica a Barnard, dovrebbe partire dal suo scritto più
importante, Il
più grande crimine. Lo scritto in sé
non vale nulla, convinto com’è che la ricchezza delle nazioni
parta dall’alto della coniazione della moneta, anziché dal lavoro
sociale umano che dà il valore corrispondente alla produzione.
Tuttavia, non c’è dubbio che Barnard si sia impegnato in maniera
scrupolosa per documentare la sua totale incomprensione della
materia, ossia le sue ridicole giornate di studio fallimentare, per
cui merita almeno altrettanta cura. Non è che la mia penna sia
incapace di smantellare punto per punto le comiche ipotesi di
Barnard, sono abbastanza ferrato in materia, tuttavia l’economista
vero e proprio del gruppo è il compagno Riccardo Achilli, e alla sua
penna tocca eventualmente questo compito. Al limite si potrebbe fare
un lavoro a quattro mani, anzi questa è forse la soluzione migliore.
In attesa che il compagno Achilli metta lui le mani su Il
più grande crimine – sempre che le voglia
mettere – essendo il lavoro troppo lungo, questo articolo può
forse bastare come antipasto. In effetti, i difetti di Barnard, sono
presenti dalla prima all’ultima riga di tutti i suoi scritti. Come
militante della Fiom, dunque, prenderò in esame il suo attacco al
mio sindacato, esposto nell’articolo Operai
siete dei polli.
Chi arriverà alla fine della demolizione del Barnard pensiero, avrà
tutto sommato in mano uno strumento e una chiave per smantellarsi da
solo Il più grande crimine,
risparmiando così a me, ma soprattutto al compagno Achilli, uno
sforzo in fondo esagerato per il valore che quell’operetta
rappresenta.
ALLE
RADICI DEL MALE
Il più grande crimine
di Paolo Barnard è di non aver mai letto un rigo di Marx, per cui
tutta la sua opera – scritta e riscritta come neanche I promessi
Sposi senza valere nemmeno la prima bozza del Fermo e Lucia
– può benissimo essere lasciata lì dov’è, sul suo sito, per
tutti gli amanti di questioni di retroguardia. Invece di perdere
ventisette ore a parlare con gli economisti di tutte le scuole,
Bernard poteva metterle a miglior profitto leggendo Il Capitale
di Karl Marx, e si sarebbe risparmiato una perdita di tempo. Se alla
consultazione bibliografica di tutti gli inutili idioti del tempo
presente, Barnard avesse preferito il confronto con un solo cervello
pensante del passato, avrebbe in un colpo solo gettato un ponte verso
il futuro. Così non ha capito niente dall’inizio alla fine dei
suoi tempi irrimediabilmente morti.
Come
Il più grande crimine, anche le innumerevoli appendici che
l’autore ha dedicato all’opera, snocciolano sempre la stessa
presunzione di fondo: saperne più degli altri con poco e niente.
Dopo
averci detto praticamente che noi operai siamo stupidi come galline,
ignoranti totalmente il perché siamo chiusi nelle fabbriche come
nelle stie, senza avere il minimo dubbio che forse così terra terra
non siamo, e sappiamo bene da dove viene il nostro male come anche
quanto sia difficile e complesso combatterlo, questo cervellone ci
spiega che la nostra rovina fu decisa a tavolino, negli anni ’60,
dalla scuola di Chicago, capitanata da Milton Friedman e dagli
economisti neoclassici, che già ai loro albori con Böhm-Bawerk,
Rosa Luxemburg considerava fuorusciti dal vuoto mentale della
borghesia. Costoro per salvare il mondo, il loro mondo di
profittatori, decisero in parole povere che tutto doveva essere
trasformato in merce allo stato puro, senza più alcun gadget
di protezione, cassa integrazione, servizio pubblico, diritti vari
eccetera eccetera. Nacque così il neoliberalismo, che altro
non è che il paleocapitalismo di sempre, anche se piace agli
stolti vederci chissà quale inversione di rotta.
Fu
davvero un crimine contro di noi? Per nulla, o non più di altri
normali crimini che la borghesia compie da almeno due secoli.
Infatti, quello che Milton Friedman e i suoi seguaci hanno stabilito
a tavolino a Chicago, è già scritto dalla notte dei tempi, nel
cuore spietato di ogni capitalista senza cuore che si rispetti.
Milton Friedman e la scuola di Chicago negli anni ’60 hanno solo
messo in bella copia l’anatomia del Capitale. L’attacco ai salari
non è stato pianificato dai padroni e dai loro reggicoda da 30 o 70
anni, ma da quando sono nati, per la semplice ragione che solo
attaccando i salari i padroni possono difendere il profitto, cioè sé
stessi. La scuola di Chicago esprime solo il naturale interesse
padronale.
Nel
secolo XVIII, tanto per fare un esempio, le leggi inglesi sulle
recinzioni di fondi comuni (inclosures) che trasformarono servi
della gleba in mendicanti e straccioni, non spennarono meno i padri
del moderno proletariato di quanto oggi non li spenni il Fondo
Monetario Internazionale della borghesia. Le condizioni cinesi
degli operai inglesi di ieri, mostrano come le idee della scuola di
Chicago, i capitalisti erano in grado di metterle in pratica ancora
prima che questa nascesse. L’uomo, diceva
giustamente il nostro grande barbuto, ha da sempre agito
prima di pensare...
Non
ci sono solo però i padroni ad avere delle idee, cioè degli
interessi precisi. Anche noi operai abbiamo i nostri interessi,
analoghe idee ma diametralmente opposte alle loro. E anche noi le
abbiamo pianificate a tavolino, proprio per difenderci.
Nel
1848, Marx ed Engels, stabilirono che il capitalismo doveva essere
rovesciato violentemente con una rivoluzione. Non se lo dissero
nemmeno tra loro, di nascosto, ma lo dissero apertamente ai quattro
venti. Prima di loro, i socialisti utopisti, il grande Fourier in
testa, disegnarono più o meno lo stesso progetto in forma solo più
fantasiosa. Se non riuscirono a realizzarlo, come del resto ancora
non siamo riusciti a farlo noi marxisti, è perché evidentemente tra
il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Ma non solo per noi, anche
per i capitalisti. Per Barnard e altri sognatori, invece, sembra che
basti disegnare a tavolino le proprie fantasie perché in quattro e
quattr’otto si possano realizzare.
Dunque,
la sbrodolata di Barnard si riduce a dirci in ultima analisi che la
scuola di Chicago negli anni ’60 ha pianificato, all’ultimo
sangue, la lotta di classe contro di noi. Complimenti al
nostro genio! Per parte nostra, dopo tanto sapere, ci teniamo la
nostra vecchia ignoranza secondo la quale la storia recente è storia
di lotte di classe, sia che qualcuno le pianifichi sia che ne faccia
a meno.
Pianificare
l’annichilimento del movimento operaio, non è sufficiente per
riuscire a metterlo in pratica. Infatti, proprio sul finire degli
anni ’60, dalla Cina agli Stati Uniti, il proletariato dette una
scossa rivoluzionaria che annichilì per un decennio i progetti della
Scuola di Chicago e dei padroni che la finanziavano. Se alla fine
degli anni ’70, i padroni riuscirono a riprendere in mano le redini
della Storia, lo debbono alla scuola di Chicago più o meno come un
corridore può attribuire la sconfitta alla presenza di un moscerino
sul naso. A sconfiggere il movimento operaio furono le burocrazie
sindacali, che temendo che gli operai sorpassassero le compatibilità
di sistema, si ingegnarono per fare da freno. In Italia, ad esempio,
con la svolta dell’Eur del 1978, svolta con cui il sindacato
sacrificava i lavoratori per il bene di lor signori, comincia
un’inversione di rotta che porterà alla bancarotta attuale.
Analoghi ripieghi si ritrovano in altre parti del mondo. In
Inghilterra, abbiamo la sconfitta dei minatori voluta più dalla
codardia dei laburisti e di buona parte delle burocrazie sindacali
che dalla spietatezza della Lady di ferro. Dietro simili svolte, c’è
però un altro fattore, immensamente più importante di tutti gli
altri: lo stalinismo. Il freno dell’Urss è stato dieci volte più
potente di tutte le burocrazie sindacali. Senza il ruolo
controrivoluzionario dell’Unione Sovietica nessuna progetto del
Capitale sarebbe potuto andare in porto. Invece a furia di rimandare
la rivoluzione, perseguendo i rivoluzionari, non potevano che
arrivare i giorni della controrivoluzione. E col crollo dell’Urss,
i rapporti di forza si sono ulteriormente spostati a destra,
ricacciando indietro di un secolo il movimento operaio. Barnard cerca
all’Ovest, negli anni ’60 la causa di una tragedia che comincia
ad Est negli anni ’20/’30, e finisce sempre da quelle parti negli
anni ’90.
Così
come negli anni ’60 il movimento operaio mise a cuccia la scuola di
Chigago, così metterà di nuovo la museruola al neoliberalismo non
appena tornerà in campo deciso. Per farlo non avrà bisogno di
spostare l’asse dei suoi problemi dalla lotta di classe al
corollario della sovranità monetaria. L’uno, comprende,
eventualmente, l’altra. Qualunque sia la moneta in circolo,
infatti, gli operai ne sono sempre schiavi mai padroni. L’unica
sovranità di cui gli operai hanno bisogno sotto il regno del
capitalismo è quella su sé stessi, sulla determinazione delle loro
decisioni. Quando riprenderanno in mano le redini del loro destino,
la loro sorte migliorerà, sia che stiano ancora sotto l’Europa dei
banchieri, sia che si ritrovino sotto l’Italia dei padroni, e
quindi sempre nell’Europa capitalistica tanto quanto prima, e
quanto il mondo intero.
Va in
ultimo precisato, per amore di completezza, che il ritorno alla lira
è una proposta che non porta avanti il solo Barnard. Ma un conto è portarla avanti
come fanno tanti compagni, un altro come fa Barnard. L’uscita
dall’euro e il ritorno alla lira come misura transitoria sulla via
della rivoluzione socialista è un’ipotesi discutibile ma comunque
degna di essere presa in considerazione. Barnard non è tra questi
compagni. Lui vuole il ritorno alla lira perché la ritiene
l’unica cosa necessaria e sufficiente per stampare i suoi sogni di
carta. Ed è l’uscita dall’euro come immaginata da questo
illusionista che qui si contesta.
PRIMA
DELL’UOVO I COCCODÈ DI BARNARD
Dove le tesi di Barnard
si smantellano da sole, si vede chiaramente a metà dell’articolo,
quando parlando della Fiat e di Marchionne, l’autore se ne esce con
una domanda che anche una gallina col suo
cervello e parlante si sarebbe probabilmente risparmiata. La domanda
da un milione di dollari è questa: «come
è permesso oggi a un’azienda come la Fiat, che ha succhiato il
sangue dei contribuenti e dei meridionali italiani per 40 anni,
ricattare arrogante il nostro Paese?».
La domanda è completamente sciocca perché contiene già al suo
interno la risposta. Infatti se mezza Italia s’è vista succhiare
il sangue per quarant’anni, non sarà forse perché evidentemente
la Fiat ricattava il nostro Paese anche ieri? Forse che un uomo si
lascia ricattare perché libero e sovrano? Il Paese dei proletari era
schiavo e ricattato anche quando era sovrano della “sua” moneta.
Marchionne come Romiti e Valletta ricatta l’Italia dei lavoratori
perché l’Italia tutta è in mano alla Fiat, cioè al capitale.
Tuttalpiù si può solo registrare che il processo di sfruttamento in
quarant’anni si è approfondito e aggravato, anche se l’ha fatto
nei tempi e nei modi della lotta di classe, cioè della (mancata)
risposta che ai soprusi del Capitale ha saputo dare il proletariato.
Nella sostanza, comunque, è rimasto quello che è. È lo stesso
Barnard infatti ad ammetterlo, solo che non se ne accorge perché la
sua presunta soluzione, la sovranità monetaria, lo acceca talmente
tanto, da non fargli più vedere le sue stesse contraddizioni.
Infatti, come risponde Barnard alla sua domanda intelligente? Con una
risposta ancora più intelligente! La Fiat ci ricatterebbe perché a
partire dagli anni ’80, avendo l’Italia perso la sovranità
monetaria, lo Stato non può più trasformarsi in Babbo Natale e
regalare agli italiani il corredo completo dello Stato
sociale
comprando tutto il loro lavoro, sino a trasformarli nei primi
abitanti del Paradiso Terrestre a piena occupazione. Lo Stato
sovrano, si badi, avrebbe potuto fare quello non perché, come
pagatore di ultima istanza, il debito che uno Stato contrae non è
che l’ulteriore credito fatto a sé stesso – cosa che è vera
solo in uno Stato completamente autarchico, fuori quindi dal mondo
capitalistico (cfr. la postilla
finale
di Riccardo Achilli) – ma perché secondo Barnard lo Stato avrebbe
potuto stampare tutta la moneta che voleva, creando così la
ricchezza necessaria solo sfruttando a pieno regime la zecca di
Stato. Chi, da bambino, non ha mai chiesto a suo padre di provare a
stampare i soldi necessari per comprare il giocattolo del momento? Il
più grande crimine del mondo capitalistico è di non essere
all’altezza dell’infantilismo di Paolo Barnard.
Ci
si domanda, e in effetti anche il Barnard lo fa, se uno Stato sovrano
può offrire tutto questo ben di Dio al popolo, perché i governanti
d’Italia, quando ancora non eravamo entrati nell’euro, non
l’hanno fatto? Lasciamo la risposta a Barnard: «Non
l’ha mai fatto (lo Stato sovrano d’Italia..., nda), perché se no
il Mercato avrebbe perso».
Morale: lo Stato sovrano era succube e quindi schiavo del Capitale
sia prima che dopo l’entrata in scena dell’Euro. Del resto, in sé
e per sé, perdere la sovranità monetaria non significa niente.
Infatti, se uno Stato da solo potesse fare quello che Barnard pensa
possa fare, anche una somma di Stati come l’Unione Europea potrebbe
farlo, se moltiplicasse per 25 o 27 o più la stessa intenzione
progressista d’un suo singolo componente. Se non lo fa non è
perché ognuno ha ceduto la sovranità monetaria, bensì proprio
perché nessuno dei 25 o 27 o più stati dell’Unione Europea può
fare assieme agli altri quello che nessuno di loro ha mai fatto da
solo. Qui è il punto di fondo della questione, nella totale
incomprensione che Barnard ha dello Stato. Barnard crede a una
immaginaria contrapposizione tra Stato e Mercato, nello scontro col
secondo del quale, il primo avrebbe perso. Ma lo Stato non ha affatto
perso la sfida col mercato, semplicemente sono i proletari che hanno
perso la sfida contro lo Stato
del Mercato.
La partita però non è affatto chiusa. Ribaltare il risultato è
sempre possibile purché ci si schieri nel campo giusto, non in
difesa dello Stato sovrano ma in quello dei lavoratori sudditi.
STATI
SOVRANI PER POPOLI SENZA CORONA
Sia lo stato sovrano, sia
quello che ha perduto il trono, è per Paolo Barnard uno stato
interclassista. Qui stanno tutti gli errori del Barnard pensiero,
nell’ignoranza totale che ha di che cosa sia lo Stato. Lo Stato è
un organo di classe, attualmente in mano alla borghesia per la difesa
dei suoi interessi legati al profitto. Lo Stato che dà piena
occupazione e welfare state come se piovesse, è uno Stato
operaio, il presupposto del quale è la distruzione dello Stato
capitalistico, con l’esproprio dei capitalisti e la
pianificazione economica, ovvero la sostituzione del modo di
produzione capitalistico con quello socialista. Cambiare moneta,
passando dall’Euro al ritorno della Lira, pensando di poter
risolvere in blocco i problemi di disoccupazione lasciando il
capitalismo, è come pretendere di passare dall’acqua di mare
all’acqua dolce senza fare i conti col sale. Barnard crede che uno
Stato borghese possa attuare il programma di uno Stato proletario. Ma
lo Stato capitalistico non può essere cambiato dall’interno. Si
può, dall’interno dello Stato borghese, regolare lo sfruttamento,
aumentandone o diminuendone l’intensità, ma eliminarlo è
impossibile. Paolo Barnard prende a modello dei suoi sogni
l’Argentina del dopo crack, dimenticando che quel Paese, pur avendo
messo una pezza ai disastri del Fondo Monetario Internazionale
è ben lontana dall’aver realizzato il suo progetto. Con un salario
medio bassissimo, sui 550 dollari, un orario di lavoro che sfiora le
dieci ore e una disoccupazione sopra il 7%, l’Argentina ha un
proletariato ancora in condizioni miserabili. Inoltre, l’aver
mantenuto il capitalismo, è ben lungi dall’aver allontanato lo
Stato sovrano argentino dai rischi ciclici collegati a quel modo di
produzione. Barnard vede l’Argentina fuori dal baratro, quando è a
un passo dal rischio di ripiombarci dentro.
L’Italia,
naturalmente, non è l’Argentina. Barnard infatti si aggrappa a
questo. Se un Paese sottosviluppato è riuscito a fare quello che ha
fatto il Paese di Maradona, figuriamoci cosa può fare il Bel paese
che è tra i più sviluppati del mondo. In realtà è l’esatto
contrario: quanto più un Paese è integrato nel sistema
capitalistico, tanto più ha difficoltà a regolare in maniera meno
stretta la cinghia di trasmissione che lo lega al Mercato. L’Italia,
quindi, avrebbe già molte più difficoltà dell’Argentina a
liberarsi dal morso delle banche. Ma aldilà di questo, illudendosi
che le idee possano prescindere dal modo di produzione, Barnard vuole
convincerci che, per noi poveri precari disoccupati, basti rivolgere
al nostro amato Stato preghiera di piena occupazione e lui la
esaudirà, solo che abbia a disposizione la cornucopia straripante di
moneta sovrana. Purtroppo, gli esempi fatti da Barnard, mostrano
l’impossibilità totale del suo progetto. Almeno per chi abbia
nella testa l’analisi marxiana. Per chi, invece, come Barnard ha
come base culturale la «SCIENZA
ECONOMICA DIMOSTRATA DA ALMENO 40 ANNI DA ALCUNE DELLE PIÙ
PRESTIGIOSE SCUOLE DI ECONOMIA DEL MONDO»
tutto può essere dimostrato, anche l’impossibile. Ma questo
significa solo che la scienza economica moderna, la stupidissima
scienza borghese, è la meno scientifica tra tutte le scienze
disponibili sul mercato...
Vediamo
infatti cosa succederebbe coi piani di Barnard. Il giornalista dice
che tra qualche anno le fabbriche di automobili saranno «80%
Information Computer Technology e 20% metalmeccanica da far sbrigare
a qualche robot». Insomma addio tute blu, l’automazione le renderà
superflue. L’idea dell’automazione completa non è da oggi che
viene avanzata come spauracchio dai tanti futuristi che si aggirano
tra l’intellighenzia piccolo borghese. Ovviamente il processo di
automazione sarà un po’ più tortuoso e la manodopera non sparirà
tanto facilmente, esattamente come è già sopravvissuta ai tanti
suoi funerali prematuri a cui ha dovuto assistere. Indubbiamente però
la tendenza delineata da
Barnard è vera. Falsa completamente è invece la controtendenza che
Barnard propone come rimedio, ovvero rivolgersi a sua Maestà lo
Stato sovrano che avrà gran cura di noi con «Piani
di Piena Occupazione per tutti voi, pagati dal governo in Italia in
settori lavorativi ad alta densità di presenza umana
insostituibile».
Per dare peso ai suoi piani, Barnard li esalta come il frutto più
maturo dei migliori centri universitari americani. Smaschereremo
nelle conclusioni questi centri raccolta per asini con la laurea, per
ora ricapitolando le cose, stando a Barnard, tra qualche anno, Stato
Sovrano permettendo, avremo mezza economia privata con occupazione
tendente a zero,
e mezza economia pubblica con occupazione
tendente alla massimizzazione.
Barnard ovviamente non tiene conto del modo di produzione
capitalistico e nella fattispecie della composizione
organica del capitale
che mette in ginocchio i suoi progetti prima ancora che un qualunque
Stato borghese, sovrano della sua moneta o meno, possa anche solo
prenderli considerazione. In un’economia di mercato, infatti, anche
i capitali sono soggetti alla legge della domanda e dell’offerta.
Capitali investiti in produzioni con occupazione tendente a zero,
daranno profitti tendenti all’infinito, esattamente come capitali
investiti in produzioni ad alta densità di manodopera, daranno i più
bassi profitti possibili sulla piazza. Questo genererà una tendenza
spontanea all’emigrazione dei capitali investiti in produzioni ad
alta intensità di manodopera verso quelli investiti in produzioni
automatizzate. Ma, diranno i fan di Barnard, questo succederà sul
mercato, i capitali investiti dallo Stato in produzioni pubbliche
saranno al riparo dalla legge della domanda e dell’offerta. Certo,
se lo Stato fosse neutrale, sarebbe certamente così, ma purtroppo lo
Stato neutrale non è, e in uno Stato capitalistico, parte
dell’economia può essere anche pubblicizzata, ma dipenderà sempre
dal mercato, perché sempre al mercato sarà subordinata. Infatti,
Barnard, si è chiesto cosa faranno i disoccupati dalla tecnologia,
ma non si è chiesto cosa faranno i padroni con gli enormi profitti
intascati dalla loro espulsione dalle fabbriche. In un’economia
privata pressoché tutta automatizzata, ammesso si riesca a trovare
ancora sul mercato qualcuno con la disponibilità economica per
comprare le merci, i padroni si troveranno presto tra le mani dieci
volte la massa dei profitti che oggi hanno nel portafogli. L’aumento
di merci portato dall’automazione intaserà ancora di più il
mercato, saturando come non mai tutti i rami produttivi. La
sovrapproduzione che già oggi soffoca tutto il sistema, ingolferà
ancora di più gli sbocchi agl’investimenti che già oggi non sanno
più dove infilarsi. Senza più sbocchi produttivi, i padroni saranno
costretti a giocarsi una volta di più in borsa i profitti. La
finanziarizzazione dell’economia toccherà vette che faranno
apparire quelle di oggi come le cime di colline bassissime. Se oggi,
all’apice della crisi, per un dollaro che si aggirava nella
produzione ne abbiamo avuti 30 perduti nelle borse, l’automazione
completa porterà grosso modo il rapporto a 1/300. Questa massa
spropositata di capitale finanziario, non trovando altri sbocchi per
valorizzarsi, premerà contro lo Stato come la massa d’acqua di
cento tsunami. La richiesta di privatizzazioni selvagge che già oggi
ha raggiunto livelli mai visti, sarà decuplicata esattamente come la
forza eventuale di chi provasse ad opporsi da dentro lo Stato
capitalistico sarebbe ridotta di dieci volte. Perché in linea
generale, più si finanziarizza l’economia capitalistica, meno lo
Stato borghese è capace di pubblicizzarla. Infatti, per non andare
incontro alle loro richieste, lo Stato dei borghesi, dovrebbe
rivoltarsi contro i suoi stessi padroni. Ecco perché tenderà ad
essere ancora più prono di quanto già non sia di fronte all’avidità
dei loro desideri. Perciò, la svendita del demanio pubblico e
l’eventuale occupazione pubblica tenderanno ad omogenizzarsi con la
composizione
organica media
del
capitale.
E un capitale che fa un sacco di soldi nel privato buttando fuori
tutta la manodopera dalle fabbriche, non chiederà al suo
Stato di venire impiegato in imprese pubbliche ad alto tasso di
salariati e quindi a basso livello di profitti, ma chiederà al suo
Stato di essere finanziato per progetti pubblici che consentano
grosso modo lo stesso tasso di profitto “automatizzato” fatto nel
privato, con in più la protezione di Stato dall’eventuale
concorrenza rimasta – non più di due o tre monopolisti che faranno
cartello. Come si vede i settori ad alta densità di presenza umana
insostituibile saranno gli ultimi ad essere presi in considerazione
dallo Stato capitalistico. E lo saranno ancora meno, se lo Stato
borghese vedrà che gli operai si rivolgeranno a lui dopo essersi
lasciati buttare fuori dalle fabbriche senza colpo ferire perché
tanto, come suggerisce loro il Barnard, i loro problemi stanno tutti
al di fuori delle stie che ha preparato per noi polli da manodopera.
Lo Stato borghese è sempre spietato con noi operai, ma la sua
spietatezza farebbe impallidire quella dei nazisti se oltre a
presentarci sconfitti davanti a lui, lo facessimo anche senza esserci
battuti. Un operaio sconfitto ma che si è battuto alla grande,
ottiene molto di più da uno Stato borghese che ha perduto la sua
sovranità monetaria, di un operaio che si presenti davanti allo
stesso Stato che l’ha recuperata senza neanche scendere in campo.
Qualche briciola spunta sempre per chi ha conservato la dignità di
conquistarsela. Al contrario, anche l’elemosina di una pagnotta è
indegna per chi si presenta senza onore al cospetto di un qualunque
Stato, fosse anche proletario...
CONCLUSIONE:
GALLINA VECCHIA FA BUON BRODO!
La critica al più grande
crimine potrebbe anche finire qua. Ce n’è abbastanza per chiudere
il libro prima ancora di iniziare a leggerlo. Se ne aggiungo un pezzo
non è per infierire, ma perché la conclusione deve ancora mostrare
quanto le proposte di Barnard, anche ipotizzando per un momento che
siano praticabili, siano così stupide che solo un uomo allo spiedo
poteva partorirle. Perché a noi galline alla catena di montaggio con
un briciolo di cervello fanno talmente schifo che alla loro
realizzazione preferiremo sempre i piani industriali di qualunque
bestia, sia questa Marchionne o Milton Friedman o qualche altro
sciacallo loro simile.
Mostrate
le meraviglie che uno Stato sovrano può fare per noi, Barnard
conclude il suo articolo, invitando noi tesserati della Fiom, a
pretendere dal gallo del nostro pollaio, il pollo Landini, che si
aggiorni. E se il nostro capo si aggiornasse davvero nel senso
indicato da Barnard, noi operai avremmo proprio il cervello di
gallina se non stracciassimo subito, una ad una, tutte le tessere.
Infatti, di fronte alla pressoché completa automazione, uno Stato
sovrano che desse ancora piena occupazione agli operai, non sarebbe
tanto nostro amico, al contrario sarebbe il più spietato dei nemici
che avremmo. Perché uno Stato che mi è davvero amico, uno Stato
operaio, di fronte all’automazione completa, se solo vede chi mi
azzardo ad avvicinarmi alle sue istituzioni per chiedere ancora
occupazione, dovrebbe darmi una pedata nel sedere e urlarmi in faccia
«fila via lazzarone! Cosa vuoi
ancora lavorare, non vedi che fan già tutto le macchine? Vai a
goderti la vita al mare, nei musei o dovunque tu voglia, ma non
t’azzardare mai più a venirmi a scocciare con il lavoro, perché
la prossima volta che verrai ancora a rompermi le scatole con
l’occupazione, ti sbatto in manicomio, dove devono stare tutti i
mentecatti che nell’era dell’automazione più completa pretendono
ancora di lavorare...».
Barnard
se la prende tanto con noi polli da stia alla catena di montaggio, ma
non si rende conto di far tanto baccano solo per spostare gli operai
dalle stie private a quelle pubbliche. Sempre in gabbia vuol vederci.
Liberi dalle sbarre, private o pubbliche, proprio non riesce a
immaginarci. Messa così però, noi polli operai veri, non abbiamo
bisogno delle sue ali, se è solo per volare così rasoterra. Anche
perché, di fronte a una tecnologia che accelera il futuro fino alle
ipotesi più rosee della fantascienza, aggiornarsi alla piena
occupazione di Stato comunque borghese, vuol dire restare indietro al
livello dei neoborboni!
Perché
un’economia privata tutta automatizzata, sta a un’economia
pubblica ad alta intensità di manodopera, come una campagna
completamente arata dai trattori, sta al vecchio contadino dietro
l’aratro trainato da un bue. Così, un operaio espulso
dall’automazione del processo produttivo che non sappia far altro
che chiedere al sovrano di Stato, ovvero al solito padrone, di
trovargli un altro posto di lavoro, anche se magari in improbabili
produzioni ad alta densità di manodopera, è in fondo un operaio che
continua a subirla
la tecnologia. Se la Fiom deve aggiornarsi, lo deve fare all’opposto
affinché gli operai sentano dentro di sé la voglia di essere
padroni della produzione, non sempre e comunque schiavi del suo
aggiornamento tecnologico. E non è tutto: una lavorazione ad alta
densità di manodopera, è una produzione in ritardo rispetto
all’evoluzione tecnologica di altri settori produttivi. E il
ritardo di oggi verrà colmato dall’innovazione di domani,
lasciando l’operaio che si è aggiornato solo fino a Paolo Barnard
alla continua ricerca di una piena occupazione che fuggirà dal suo
orizzonte come l’Isola non trovata. Per aggiornarsi davvero, la
Fiom non ha bisogno di appoggiarsi allo Stato sovrano, basta che si
appoggi ai suoi iscritti perché abbassino l’orario di lavoro,
riducendolo da 8 a 6 ore al giorno. Ma aggiornare la giornata di
lavoro alle 6 ore, vuol dire aggiornare la Fiom al marxismo. Il
ritardo della Fiom, è infatti soltanto il ritardo dalla dottrina dei
padri del materialismo storico, non certo il ritardo dai neoborboni
che inseguono un miraggio medioevale. Solo la lotta dei lavoratori
potrà aiutare la Fiom a colmare le sue insufficienze. E questa lotta
dovrà essere fatta proprio dentro il recinto delle fabbriche, non
fuori come pretende Barnard. Perché tutte le pianificazioni a
tavolino come tutte le proposte retrograde dei progressisti
universitari, passano per forza dal fulcro per antonomasia del
sistema capitalistico: l’operaio che lo mette in moto. Se l’operaio
si ferma, anche tutti gli altri progetti saranno costretti a
fermarsi. I 21 giorni di sciopero a Melfi lo hanno già dimostrato, e
ogni giorno mille altri scioperi gloriosi in tutto il mondo
continuano a confermarlo. Forse che allora, nel 2004, i progetti
della Scuola di Chicago non erano già all’opera? Eppure dovettero
arrendersi alla determinatezza degli operai. E in quei giorni gli
operai non contrattarono per un
sesto di diritto
e nemmeno «sul grado di abolizione dei diritti», perché se ne
ripresero, in un colpo solo, una decina. Se avessero continuato ne
avrebbero conquistati di nuovi che ancora non aveva nessuno, non solo
a Melfi. Si accontentarono però di essere messi al passo con i loro
colleghi italiani e non proseguirono oltre la lotta. E non saremo
certo noi a contestare questa scelta. A Melfi in quei giorni gli
operai han fatto fin che mai. Altre Melfi verranno a spingere ancora
più avanti il traguardo raggiunto da quei 21 giorni di sciopero.
Quando verranno, conquisteremo quel che ancora ci manca. La
contrattazione sul grado
di abolizione dei diritti,
dimentica infatti Barnard, la fa solo chi non lotta, chi si siede al
tavolino già sconfitto prima ancora di aver combattuto. Questo vale
oggi come ieri, idipendetemente dal vero o falso potere. Sono le
burocrazie sindacali a capitolare prima ancora di aver provato a
vincere per loro tornaconto di poltrona. Perché le lotte fanno
saltare le poltrone. Ecco perché i burocrati non le vogliono, anche
se sanno che a bocce ferme, senza fermare la baracca, la
contrattazione può essere solo a perdere, in quanto se si discute al
tavolino con le fabbriche in movimento, senza prendere al collo i
padroni, i rapporti di forza pendono tutti dalla parte dei
capitalisti. E non potrebbe essere altrimenti. Operai e padroni non
partono mai sullo stesso piano. Nel momento stesso però in cui
l’operaio ferma il giochino, la contrattazione non è più sul
grado di abolizione dei diritti, ma sul grado di decurtazione dei
profitti dei padroni, cioè sul numero di diritti in più che
l’operaio riuscirà a strappare. È sempre stato così e così è
anche oggi. E se l’operaio non difenderà palmo a palmo quello che
ha conquistato, combattendo per ogni infinitesima parte dei diritti
che gli vogliono togliere, non ci sarà cura che tenga. La Fiom,
quindi fa bene a fare quello che fa, anche se può apparire agli
sciocchi retrograda. Per ora, checché ne dicano i suoi detrattori, è
il sindacato più avanzato d’Europa. Deve solo essere più
determinata e cercare di allargare a livello internazionale il suo
raggio d’azione. Se non lo farà saranno dolori, perché senza
marxismo non riuscirà a vincere. Se però deciderà che la soluzione
non è il marxismo, è inutile che la cerchi nel Barnard pensiero. Se
infatti aggiornarsi significa mettersi al livello di giornalisti
presuntuosi ed isterici, è meglio che la Fiom resti così com’è.
Non si sarà innalzata al livello del marxismo, ma nemmeno si sarà
abbassata al livello medioevale dei neoborboni.
Noi
resteremo nelle stie col nostro pollo Landini, così come siamo,
operai col cervello di gallina. Per intanto, nell’attesa di farlo
anche coi padroni, ci accontentiamo di aver scorciato di qualche
cresta la superbia dei neoborboni alla Paolo Barnard.
Viva la Fiom!
Lorenzo
Mortara
delegato
Fiom-Cgil
Stazione
dei Celti
Fine
2011, inizio 2012
(a Luigi che tanto aspettò
con la speranza che non resti deluso)
Nota – per meglio comprendere i problemi legati alla composizione organica del capitale, rimando a Il Capitale, di Karl Marx, Libro III, Sezione terza, Legge della caduta tendenziale del saggio di profitto; per i dati economici sulla situazione attuale dell’Argentina, si veda quest’articolo, Argentina dieci anni dopo del compagno Andrea Davolo della TMI (FalceMartello); infine per le complicazioni legate all’automazione completa si può consultare Italia in frantumi del sempre documentatissimo Luciano Gallino, pubblicato dalla Laterza.
POSTILLA
FINALE
di
Riccardo Achilli
I
profeti della modern
monetary theory
spacciano per nuova ciò che in sostanza è la teoria keynesiana
della moneta, nella sua versione più radicale.
La
teoria originaria di Wray non è altro che la riproposizione con un
lessico più moderno delle teorie del deficit
spending
e dell’espansione monetaria keynesiane, roba che viene studiata al
primo anno di economia con i grafici delle curve Is/Lm. Tale modello
incontra notevoli limiti: intanto è valido in economia chiusa,
perché in economia aperta un incremento di spesa pubblica potrebbe
favorire l’espansione produttiva di un altro Paese, e non del tuo,
mediante l’incremento delle importazioni, ed un’espansione
monetaria potrebbe portare ad una riduzione del tasso di interesse,
con conseguente fuga di capitali all’estero.
Venendo
alla crescita del debito, questa non è neutrale socialmente, come
ben dice De Simone, inoltre non è vero l’assunto di base della
MMT, ovvero che in condizioni di sovranità monetaria il debito possa
crescere all’infinito. Intanto, perché si arriva ad un punto in
cui i creditori non sono più propensi a rinnovare le quote di debito
in scadenza, e pretendono il pagamento a liquidazione (è il caso del
default, quando cioè il debito sovrano non ha più mercato, non può
più essere piazzato) ed anche la monetizzazione di tale debito ha il
limite intrinseco dato dall’esplosione dell’inflazione e dalla
svalutazione della moneta, che diventa talmente abbondante da essere
carta straccia che nessuno vuole (una situazione generatasi durante
la crisi di Weimar, ma anche nei Paesi socialisti, in cui tutti erano
pieni di soldi che però nessuno voleva, perché non ci si comprava
niente, e ci si affannava a procurarsi valuta estera pregiata al
mercato nero, perché quella era ancora una moneta avente un valore).
Inoltre, l’espansione eccessiva della massa monetaria fa scendere
il tasso di interesse fino ad un livello minimo, rispetto al quale
tutti gli operatori si autoconvincono che tale livello non potrà che
risalire, e di conseguenza nessuno più chiederà prestiti o farà
investimenti, con il risultato che la politica monetaria diverrà
inefficace e che l’economia andrà in recessione. È la classica
situazione di trappola della liquidità analizzata da Keynes. E tutto
ciò smentisce l’assunzione di base secondo cui basta aumentare la
spesa pubblica, all’occorrenza stampando moneta per coprire
l’aumento dell'indebitamento, per raggiungere la felicità.
Va tutto bene, ma il tono saccente ed esacerbato, mi ricorda i peggiori settarismi... che non hanno portato mai a nulla di buono.
RispondiEliminaIl rispetto per la dignità di un essere umano è la cosa che contraddistingue il nostro desiderio di comunismo.
Il fatto, poi, che Barnard abbia sbroccato, è un aggravante nell'insultarlo a quel basso livello di cui non vi pensavo capaci.
Sito destalinizzato...
ciao e datevi una calmata che la verità è sempre in processo, anche in Marx, e chi pensa di averla in tasca rischia di non usare più la testa
marco
Non ha tutti i torti, qua qualche collaboratore aveva consigliato la limatura, all'altro era parso tutto sommato passabile. Io qualche taglio l'ho dato, di più non son riuscito a fare. Pazienza, sarebbe stato peggio se non ci fosse stata la sua tirata morale, ma lei avesse iniziato con "va tutto male"...
RispondiEliminaUn saluto
Lorenzo
La ringrazio della risposta... e per il suo spirito.
RispondiEliminaRispetto alla morale,non la considero tanto una questione astratta, ma un fatto pratico di coerenza a cui cerco di dare continuità, nonostante le ricorrenti pulsioni alla reazioni impulsive, in un periodo storico che, invece, per la sua gravità non ammette sbandamenti.
Rispetto al merito della questione, a cui mi poneva di fronte il suo scritto, era quella storica di una sinistra facile agli arroccamenti, preda di una depressione minorataria, che dimentica l'obiettivo principale di allargare il fronte, gettare ponti, piuttosto che minaserli alle spalle.
Senza per questo dedicarsi al compromesso sistematico, rinunciando alla chiarezza della propria irrinunciabile specificità.
Ma in ogni caso bravi per il vostro lavoro che continuo ad apprezzare.
marco
Paolo Barnard è un giornalista. E come ogni giornalista può riportare delle informazioni corrette o volutamente sbagliate. Può essere sincero o bugiardo. In buona o mala fede. E ognuno è libero di pensare ciò che vuole. Ma quando lo stesso giornalista organizza un evento di due giorni, e 5 ECONOMISTI di fama internazionale vengono in Italia... e quando questi 5 economisti arrivano a dire le STESSE COSE che "blatera" Barnard da un po' di tempo... mentre la stampa nazionale, sempre ben disposta a promuovere l'ultima sagra della Polpetta Gigante, si ostina (nonostante le ripetute segnalazioni) a TACERE un evento di tale portata... e nel mondo accademico professori quali Zezza, Cesaratto, Terzi, Bellofiore, Tropeano, Battisti, Cedrini, Pastrello a tanti altri che seguono i 5 ai convegni internazionali "temono" di partecipare a un convegno del genere... beh, qualche dubbio comincia a sorgere. Se lo dice Barnard è un pazzo; ma se lo dicono 5 economisti di questo calibro...
RispondiEliminaallora è d'uopo informarsi e informare. E' un dovere morale e soprattutto civile. Altrimenti si rischia di essere etichettati. E non è auspicabile che l'alternativa all'etichetta di "pazzo" sia quella di sprovveduto, o peggio ancora di coglione. Senza offesa e con rispetto
Cesare garbeni
cesare.garbeni@libero.it
Cesare,
RispondiEliminanell'articolo Barnard non viene etichettato, mi pare, come coglione, è vero però che ci sono andato giù pesante, forse troppo, forse oggi lo limerei un po' di più. In parte l'avevo già fatto su consiglio dei compagni della redazione, in parte no, anche perché come delegato Fiom mi ha dato molto fastidio l'attacco assolutamente arrogante e gratuito e molto più offensivo del Barnard che può leggere nell'articolo "operai siete dei polli" citato nel mio testo come in tutti gli altri articoli che scrive (male. Barnard, tra le altre cose, come più o meno tutti i giornalisti non sa scrivere). Mi sono ripromesso nei prossimi testi di essere più morbido, ma può darsi che qua e là, ogni tanto mi scappi l'incazzatura perché sono uno molto umorale. Tanto più che Luigi, mio affezionato lettore, mi dice al contrario che sono stato fin troppo leggero. Perché Barnard, e questo lei dovrebbe ammetterlo è molto più offensivo e arrogante, di un marxista come me, perché io in fondo me la cavo con l'ironia che ogni pieno di sé non ha.
Detto questo io non ho nulla con l'evento di Barnard se non la critica che ho fatto, della quale, sarà forse colpa mia, lei ha notato solo gli "insulti" a Barnard. Mi spiace perché credo di aver argomentato per filo e per segno cosa c'è di sbagliato nelle teorie di Barnard e della scuola economica che segue. Ho aggiunto anche la postilla del nostro economista Achilli che impreziosisce e incornicia il testo. Al di là delle questioni morali e civili che in linea di massima posso anche condividere, ma in linea marxista no, vorrei che lei entrasse nel merito del discorso, se possibile. Per parte mia ritengo che l'economia moderna sia duemila leghe al di sotto del marxismo e che un buon marxista ne sappia più di tutti gli economisti moderni. Intendiamoci: non legga me per avere il quadro economico, io posso fare solo l'essenziale, per i dettagli deve leggere il compagno Achilli, ma leggendo me può evitare di sorbirsi un'infinità di economisti che hanno tutti i dati del mondo ma mancano dell'ossatura essenziale su cui dargli un corpo reale. La lascio in compagnia del mio adorato Bordiga (tre volte il superfluo Gadda) de "Mai la merce sfamerà l'uomo". Pag.100 dell'ultima edizione Odradek: "Facciamo un fascio di tutti i moderni economisti che fabbricano formule sulla determinazione del prezzo fondata sulle forze in movimento sul mercato: ofelimità (Pareto, nota mia), utilità marginale (economia neoclassica in generale, nota sempre mia)[...] e seppelliamoli sotto questa lapidaria frase: cavalieri del libero arbitrio nella cappella gentilizia del di famiglia Proudhon". Se leggerà anche le pagine precedenti capirà perché Bordiga, e quindi i marxisti, giungano a simili sacrosante conclusioni. Un caro saluto e grazie dello scambio di idee. Lorenzo
Qui di frustrati o frustati se preferite ce ne sono ma non rispondono certo al nome di Paolo Barnard.
RispondiEliminaIo non seguo la mmt perchè la considero antiquata e superata da anni, ma riconosco l'impegno e la capacità di chi senza soldi, giornali, radio e con 1 casuale passaggio in tv (ove si trattava di altro) è riuscito a portare 5 personaggi di quel calibro in italia e 2000 persone paganti per 3 giorni di lezione e non di sfilate con polli viola, girotonti, svergognatos, birillini, ecc tutti finiti nel nulla.
Vi faccio una domanda. Tra voi che avete raccimolato si e no 5 (6 commenti col mio) e Paolo Barnard che ha organizzato tutto questo da solo, voi definireste Barnard frustrato??? Beh sicenceramente i casi sono 2: 1) Non conoscete il significato della parola frustrato. 2) L'invidia vi si mangia vivi perchè nessuno pagherebbe nemmeno 40 centesimi per ascoltare voi.
Non credo pubblicherete questo commento ma è giusto che certe cose vi vengano dette.
Auguri.
Andrea Cipriani
Non vedo perché non pubblicare il suo commento, a meno di non dargli tutta quella importanza che gli dà lei e che per me non ha.
RispondiEliminaIl nostro blog va abbastanza bene, ci legge per ora molta più gente di quanto avessimo previsto, se un giorno supereremo i lettori di Barnard bene altrimenti pazienza.
Lei per giudicare le cose, usa il metro della quantità, cioè il metro dei pecoroni, io quello della qualità. Altro non saprei dirle, non entrando lei nei contenuti. dell'articolo. Grazie della considerazione. Saluti
Lorenzo Mortara
Non mi occupo di economia, ma qualche idea "a naso" che Barnard fosse un po' stralunato l'ho avuta anch'io ...
RispondiEliminaPer esempio quando scrive che "le famiglie non possono coltivare i soldi nell’orto; lo Stato sì, se li inventa dal nulla."
Ho dedicato a Barnard qualche articoletto, incuriosito più che altro dalle numerose contraddizioni.
Porto perciò il mio contributo alla critica di Barnard, che non necessita insulti ma prove della inconsistenza delle sue teorie, e delle incongruenze.
Vedo con piacere che su questo tema siamo sulla stessa onda...
Qui trovate qualche post a riguardo:
http://www.giosby.it/tag/paolo-barnard/
Ciao ciao
In realtà è lei che fa una critica sommaria, nell'articolo si spiega direi bene come Barnard attribuisca all'uscita dall'euro una sorta di ritorno all'età dell'oro che prima non si era mai visto. Non è semplicemente l'euro il problema ma il capitalismo, e perdoni non c'è bisogno che mi ricordi l'ovvio sulla necessità della rivoluzione violenta.
RispondiEliminaQuesto è il senso dell'articolo, lo legga bene perché mi pare non l'abbia fatto.
Lorenzo
P.S. - In concomitanza col suo commento ne è arrivato un altro pieno solo di insulti che lasciamo nel cestino insieme ad altre inutili perdite di tempo.
Son d'accordo
EliminaContinuano ad arrivare in redazione i commenti di un anonimo eroe che da dei vigliacchi a noi, nascondendosi però dietro l'anonimato.
RispondiEliminaNoi pubblicheremmo volentieri anche critiche al vetriolo, purché significhino qualcosa, altrimenti no. L'anonimo può comunque scriverci via mail, pubblicamente non ha senso rispondergli, ma in privato due parole non si negano a nessuno.
Se può interessare al Vs. economista, al link indicato può informarsi sulla risposta di Randall Wray all'obiezione relativa all'iperfinflazione causata dalla stampa di moneta (Zimbabwe! Weimar Republic).
RispondiEliminahttp://www.economonitor.com/lrwray/2011/08/24/zimbabwe-weimer-republic-how-modern-money-theory-replies-to-hyperinflation-hyperventilators-part-1/
Inoltre, segnalo, a onor del vero, che le origini centenarie dei principi della MMT (Economia keynesiana)è stata una delle prime precisazioni che sono state fatte al summit di Rimini, e che quindi non si "spacciava" nulla per nuovo.
saluti e tanti auguri.
Filippo Abbate
Barnard sbrocca, vero, ma mi ha aperto gli occhi. Poi la verità devo sempre cercarmela da sola, perchè in assoluto, non esiste. La verità è fatta da tanti aspetti.
RispondiEliminaQuindi 10 100 1000 Barnard, se questo può servire ad aprire la mente di chi pensa che le grandi colpe siano sempre negli altri.
Il 'sistema' non regge più e sta implodendo, la gente ha voglia di benessere interiore e nessuna Mercedes lo può dare. La dignità umana non è nel cellulare nuovo e i soldi non sono sono un fine. Comunque apprezzo l'analisi anche se un po' troppo acida e saccente.
Accetto l'accusa di troppa saccenteria da parte dei lettori. Mi fa specie però che non abbiano nulla da ridire su quella in quantità industriali e condita con tremila più insulti del nuovo Guru Barnard.
RispondiEliminaLorenzo
Allora facciamo così demoliamo il capitalismo (non sai dire come, ne quando e sai benissimo che nessuno mai ti seguirà compresi i tuoi compagni) in cambio di cosa non si sa, se Barnard è un visionario tu non sei certo da meno.
RispondiEliminaLa MMT porta al totalitarismo .. e che ne sai, se mai nessuno la mai ampiamente applicata, che fai la veggente?. Altresì, tutti sappiamo invece che il neo-liberismo restringe di molto gli spazi di libertà di chi non concorre alla salvaguardia del capitale dei grandi investitori finanziari e dei neo-mercantilisti come la FIAT.
Comunque nelle tue parole presenti nell'articolo traspare la tua sconfitta e di tutti coloro che credevano che il marxismo sarebbe stata la luce dell'avvenire, quanti marxisti si sono venduti al capitale .... tanti!
Non so dove tu abbia letto che la MMT al totalitarismo, io al massimo ho scritto che non porta niente.
RispondiEliminaQuanto al visionario eccetera, il marxismo ha già battuto varie volte il capitalismo, nessun altro c'è riuscito. Non c'è bisogno che ti spieghi come visto che l'ha già spiegato la Storia. Se tu credi che io non sappia dire come, è solo perché tu stai dalla parte del capitalismo e hai il terrore che qualcuno lo butti giù. La nostra sconfitta è solo temporanea, ma anche fosse definitiva sarà sempre meglio di chi non è mai stato nemmeno della partita e manco se ne accorge. Il capitalismo a piena occupazione non s'è mai visto e mai si vedrà. Si vedrà solo un Barnard parlarne altri illusionisti andargli dietro. Io rimango con Marx, nella realtà.
Molto più interessante della MMT - da un punto di vista marxista - è sicuramente il documento del FMI di agosto di quest'anno intitolato: "Il piano di Chicago (degli anni'30) rivisitato". La versione originale inglese: http://think-left.org/tag/chicago-plan-revisited/
RispondiElimina(Notare che in Italia ancora nessuno ne ha parlato...)
Un traduzione non c'è?
RispondiEliminanon capisco cosa centrino i Neoborboni in tutta sta masturbazione mentale tra' , ho letto e riletto ma non capisco il riferimento Neoborbonico, anzi, sembra che lei Sig Lorenzo offenda i duosiciliani... mah..
RispondiEliminaHa letto e riletto ma forse non ha capito. i borboni sono sinonimo di economia feudale e chiusa (anche se poi storicamente non è del tutto corretto), qui Barnard e quelli come lui vengono definiti neoborboni proprio perché vogliono tornare indietro agli stati nazionali con moneta sovrana, cioè a Stati più chiusi, tutto qua. Sarebbe però sempre meglio mostrarsi con nome e cognome quando si vuol criticare.
RispondiEliminaDenigrare Barnard per il carattere è come rifiutare una cura indispensabile perché IL DOTTORE TI STA ANTIPATICO
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