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lunedì 30 gennaio 2012

I NEOBORBONI -contro Paolo Barnard in difesa della Fiom-




I NEOBORBONI
-contro Paolo Barnard, in difesa della Fiom-

di Lorenzo Mortara

con una postilla finale di Riccardo Achilli



PREMESSA

Qualche lettore ci ha chiesto delucidazioni sugli scritti di Paolo Barnard. Negli ultimi tempi, questo giornalista, che appartiene più alla categoria dei frustrati, è convinto di aver scoperto chissà cosa dietro la crisi finanziaria, ma siccome non riesce a fare molti proseliti, lancia strali e fulmini, come una vecchia zitella inacidita, contro chiunque non si sintonizzi sulla sua stessa cortezza d’onda.
Cacciato da tutte le televisioni, censurato da tutti i blog contrari alla censura, inviso ai Grillo e ai Santoro, come ai Travaglio e alle Gabanelli e altri spiriti liberi ma non troppo, Barnard – che ha tutta la nostra proletaria comprensione per tanta meschinità – s’è alla fine convinto di essere l’unico con in mano la verità. E certo se i propri avversari sono del calibro della banda dei quattro appena citata, anche Paolo Barnard potrebbe avere ragione. Proprio la caratura media dei quattro, dovrebbe essere sufficiente a Paolo Barnard per aspettare almeno un attimo prima di incoronarsi a Dio disceso in Terra a miracol mostrare. Con noi infatti, Barnard può stare tranquillo, non subirà alcuna censura perché teniamo troppo al buon umore dei lettori...
Tempo fa, per la precisione un lustro fa, nell’Agosto del 2006, gli avevo indirizzato una mia critica al testo Per un mondo migliore, un saggio, questo del Barnard, nel quale c’erano già tutti gli elementi che avrebbero poi dato corpo al Barnard isterico di oggi. La mia critica era un discreto e corposo testo di analisi economica, che già allora riduceva Barnard ai minimi termini, tanto che lui mi rispose dicendomi che non aveva la cultura per apprezzarlo perché ne stava molto al di sotto. E non mi sembrava scherzasse. Anzi, siccome mi ringraziò di averlo citato, pensai che tutto sommato si sarebbe potuto anche continuare di tanto in tanto il nostro carteggio. Così tre anni dopo, nel Dicembre 2009, di fronte alla sua ennesima uscita contro l’Europa e la perdita di sovranità nazionale, ma soprattutto contro il popolo bue, lui evidentemente escluso, che se la prendeva col povero Berlusconi, gli scrissi una lunga lettera per spiegargli l’errore tecnico della sua impostazione. Gli spiegai a farla breve che è l’Unione Europea ad andare a carretta degli Stati nazionali e non il contrario come pensano i Neoborboni come lui che sognano di tornare alla lira, convinti che si risolveranno i problemi, perché attribuiscono a una moneta, cioè a niente, una crisi che sta invece scritta tutta nel DNA del capitalismo. Mi rispose piccato di non scocciarlo e di indirizzare ad altri i miei insulti. Presi atto della sua ormai irreversibile crisi da cinquantenne esaurito e dopo aver palleggiato due secondi nella testa l’idea di mandarlo dove si può immaginare, lasciai perdere. Non so se neoborbone sia un insulto, ma certo è perfettamente calzante per quelli come lui. In ogni caso è tipico degli squilibrati dare titoli a destra e a manca per poi offendersi per quelli che ritornano indietro senza neanche gli interessi. E dagli squilibrati son già io a tenermi alla larga, perché non mi hanno mai divertito.
Conservo ancora la mia lunga risposta a Per un mondo migliore. L’avevo intitolata Dove va il popolo di Seattle. Potrebbe anche essere pubblicata, senza sfigurare troppo. Tuttavia considero quel testo un mio scritto d’apprendistato che tale deve rimanere. Non che adesso mi senta arrivato, anzi, il marxismo è sempre in fieri, ma insomma l’apprendistato vero e proprio lo considero finito. Si impone quindi la necessità di uno scritto nuovo di zecca.
Oggi, la critica a Barnard, dovrebbe partire dal suo scritto più importante, Il più grande crimine. Lo scritto in sé non vale nulla, convinto com’è che la ricchezza delle nazioni parta dall’alto della coniazione della moneta, anziché dal lavoro sociale umano che dà il valore corrispondente alla produzione. Tuttavia, non c’è dubbio che Barnard si sia impegnato in maniera scrupolosa per documentare la sua totale incomprensione della materia, ossia le sue ridicole giornate di studio fallimentare, per cui merita almeno altrettanta cura. Non è che la mia penna sia incapace di smantellare punto per punto le comiche ipotesi di Barnard, sono abbastanza ferrato in materia, tuttavia l’economista vero e proprio del gruppo è il compagno Riccardo Achilli, e alla sua penna tocca eventualmente questo compito. Al limite si potrebbe fare un lavoro a quattro mani, anzi questa è forse la soluzione migliore. In attesa che il compagno Achilli metta lui le mani su Il più grande crimine – sempre che le voglia mettere – essendo il lavoro troppo lungo, questo articolo può forse bastare come antipasto. In effetti, i difetti di Barnard, sono presenti dalla prima all’ultima riga di tutti i suoi scritti. Come militante della Fiom, dunque, prenderò in esame il suo attacco al mio sindacato, esposto nell’articolo Operai siete dei polli. Chi arriverà alla fine della demolizione del Barnard pensiero, avrà tutto sommato in mano uno strumento e una chiave per smantellarsi da solo Il più grande crimine, risparmiando così a me, ma soprattutto al compagno Achilli, uno sforzo in fondo esagerato per il valore che quell’operetta rappresenta.



ALLE RADICI DEL MALE

Il più grande crimine di Paolo Barnard è di non aver mai letto un rigo di Marx, per cui tutta la sua opera – scritta e riscritta come neanche I promessi Sposi senza valere nemmeno la prima bozza del Fermo e Lucia – può benissimo essere lasciata lì dov’è, sul suo sito, per tutti gli amanti di questioni di retroguardia. Invece di perdere ventisette ore a parlare con gli economisti di tutte le scuole, Bernard poteva metterle a miglior profitto leggendo Il Capitale di Karl Marx, e si sarebbe risparmiato una perdita di tempo. Se alla consultazione bibliografica di tutti gli inutili idioti del tempo presente, Barnard avesse preferito il confronto con un solo cervello pensante del passato, avrebbe in un colpo solo gettato un ponte verso il futuro. Così non ha capito niente dall’inizio alla fine dei suoi tempi irrimediabilmente morti.
Come Il più grande crimine, anche le innumerevoli appendici che l’autore ha dedicato all’opera, snocciolano sempre la stessa presunzione di fondo: saperne più degli altri con poco e niente.
Dopo averci detto praticamente che noi operai siamo stupidi come galline, ignoranti totalmente il perché siamo chiusi nelle fabbriche come nelle stie, senza avere il minimo dubbio che forse così terra terra non siamo, e sappiamo bene da dove viene il nostro male come anche quanto sia difficile e complesso combatterlo, questo cervellone ci spiega che la nostra rovina fu decisa a tavolino, negli anni ’60, dalla scuola di Chicago, capitanata da Milton Friedman e dagli economisti neoclassici, che già ai loro albori con Böhm-Bawerk, Rosa Luxemburg considerava fuorusciti dal vuoto mentale della borghesia. Costoro per salvare il mondo, il loro mondo di profittatori, decisero in parole povere che tutto doveva essere trasformato in merce allo stato puro, senza più alcun gadget di protezione, cassa integrazione, servizio pubblico, diritti vari eccetera eccetera. Nacque così il neoliberalismo, che altro non è che il paleocapitalismo di sempre, anche se piace agli stolti vederci chissà quale inversione di rotta.
Fu davvero un crimine contro di noi? Per nulla, o non più di altri normali crimini che la borghesia compie da almeno due secoli. Infatti, quello che Milton Friedman e i suoi seguaci hanno stabilito a tavolino a Chicago, è già scritto dalla notte dei tempi, nel cuore spietato di ogni capitalista senza cuore che si rispetti. Milton Friedman e la scuola di Chicago negli anni ’60 hanno solo messo in bella copia l’anatomia del Capitale. L’attacco ai salari non è stato pianificato dai padroni e dai loro reggicoda da 30 o 70 anni, ma da quando sono nati, per la semplice ragione che solo attaccando i salari i padroni possono difendere il profitto, cioè sé stessi. La scuola di Chicago esprime solo il naturale interesse padronale.
Nel secolo XVIII, tanto per fare un esempio, le leggi inglesi sulle recinzioni di fondi comuni (inclosures) che trasformarono servi della gleba in mendicanti e straccioni, non spennarono meno i padri del moderno proletariato di quanto oggi non li spenni il Fondo Monetario Internazionale della borghesia. Le condizioni cinesi degli operai inglesi di ieri, mostrano come le idee della scuola di Chicago, i capitalisti erano in grado di metterle in pratica ancora prima che questa nascesse. L’uomo, diceva giustamente il nostro grande barbuto, ha da sempre agito prima di pensare...
Non ci sono solo però i padroni ad avere delle idee, cioè degli interessi precisi. Anche noi operai abbiamo i nostri interessi, analoghe idee ma diametralmente opposte alle loro. E anche noi le abbiamo pianificate a tavolino, proprio per difenderci.
Nel 1848, Marx ed Engels, stabilirono che il capitalismo doveva essere rovesciato violentemente con una rivoluzione. Non se lo dissero nemmeno tra loro, di nascosto, ma lo dissero apertamente ai quattro venti. Prima di loro, i socialisti utopisti, il grande Fourier in testa, disegnarono più o meno lo stesso progetto in forma solo più fantasiosa. Se non riuscirono a realizzarlo, come del resto ancora non siamo riusciti a farlo noi marxisti, è perché evidentemente tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Ma non solo per noi, anche per i capitalisti. Per Barnard e altri sognatori, invece, sembra che basti disegnare a tavolino le proprie fantasie perché in quattro e quattr’otto si possano realizzare.
Dunque, la sbrodolata di Barnard si riduce a dirci in ultima analisi che la scuola di Chicago negli anni ’60 ha pianificato, all’ultimo sangue, la lotta di classe contro di noi. Complimenti al nostro genio! Per parte nostra, dopo tanto sapere, ci teniamo la nostra vecchia ignoranza secondo la quale la storia recente è storia di lotte di classe, sia che qualcuno le pianifichi sia che ne faccia a meno.
Pianificare l’annichilimento del movimento operaio, non è sufficiente per riuscire a metterlo in pratica. Infatti, proprio sul finire degli anni ’60, dalla Cina agli Stati Uniti, il proletariato dette una scossa rivoluzionaria che annichilì per un decennio i progetti della Scuola di Chicago e dei padroni che la finanziavano. Se alla fine degli anni ’70, i padroni riuscirono a riprendere in mano le redini della Storia, lo debbono alla scuola di Chicago più o meno come un corridore può attribuire la sconfitta alla presenza di un moscerino sul naso. A sconfiggere il movimento operaio furono le burocrazie sindacali, che temendo che gli operai sorpassassero le compatibilità di sistema, si ingegnarono per fare da freno. In Italia, ad esempio, con la svolta dell’Eur del 1978, svolta con cui il sindacato sacrificava i lavoratori per il bene di lor signori, comincia un’inversione di rotta che porterà alla bancarotta attuale. Analoghi ripieghi si ritrovano in altre parti del mondo. In Inghilterra, abbiamo la sconfitta dei minatori voluta più dalla codardia dei laburisti e di buona parte delle burocrazie sindacali che dalla spietatezza della Lady di ferro. Dietro simili svolte, c’è però un altro fattore, immensamente più importante di tutti gli altri: lo stalinismo. Il freno dell’Urss è stato dieci volte più potente di tutte le burocrazie sindacali. Senza il ruolo controrivoluzionario dell’Unione Sovietica nessuna progetto del Capitale sarebbe potuto andare in porto. Invece a furia di rimandare la rivoluzione, perseguendo i rivoluzionari, non potevano che arrivare i giorni della controrivoluzione. E col crollo dell’Urss, i rapporti di forza si sono ulteriormente spostati a destra, ricacciando indietro di un secolo il movimento operaio. Barnard cerca all’Ovest, negli anni ’60 la causa di una tragedia che comincia ad Est negli anni ’20/’30, e finisce sempre da quelle parti negli anni ’90.
Così come negli anni ’60 il movimento operaio mise a cuccia la scuola di Chigago, così metterà di nuovo la museruola al neoliberalismo non appena tornerà in campo deciso. Per farlo non avrà bisogno di spostare l’asse dei suoi problemi dalla lotta di classe al corollario della sovranità monetaria. L’uno, comprende, eventualmente, l’altra. Qualunque sia la moneta in circolo, infatti, gli operai ne sono sempre schiavi mai padroni. L’unica sovranità di cui gli operai hanno bisogno sotto il regno del capitalismo è quella su sé stessi, sulla determinazione delle loro decisioni. Quando riprenderanno in mano le redini del loro destino, la loro sorte migliorerà, sia che stiano ancora sotto l’Europa dei banchieri, sia che si ritrovino sotto l’Italia dei padroni, e quindi sempre nell’Europa capitalistica tanto quanto prima, e quanto il mondo intero.
Va in ultimo precisato, per amore di completezza, che il ritorno alla lira è una proposta che non porta avanti il solo Barnard. Ma un conto è portarla avanti come fanno tanti compagni, un altro come fa Barnard. L’uscita dall’euro e il ritorno alla lira come misura transitoria sulla via della rivoluzione socialista è un’ipotesi discutibile ma comunque degna di essere presa in considerazione. Barnard non è tra questi compagni. Lui vuole il ritorno alla lira perché la ritiene l’unica cosa necessaria e sufficiente per stampare i suoi sogni di carta. Ed è l’uscita dall’euro come immaginata da questo illusionista che qui si contesta.


PRIMA DELL’UOVO I COCCODÈ DI BARNARD

Dove le tesi di Barnard si smantellano da sole, si vede chiaramente a metà dell’articolo, quando parlando della Fiat e di Marchionne, l’autore se ne esce con una domanda che anche una gallina col suo cervello e parlante si sarebbe probabilmente risparmiata. La domanda da un milione di dollari è questa: «come è permesso oggi a un’azienda come la Fiat, che ha succhiato il sangue dei contribuenti e dei meridionali italiani per 40 anni, ricattare arrogante il nostro Paese?». La domanda è completamente sciocca perché contiene già al suo interno la risposta. Infatti se mezza Italia s’è vista succhiare il sangue per quarant’anni, non sarà forse perché evidentemente la Fiat ricattava il nostro Paese anche ieri? Forse che un uomo si lascia ricattare perché libero e sovrano? Il Paese dei proletari era schiavo e ricattato anche quando era sovrano della “sua” moneta. Marchionne come Romiti e Valletta ricatta l’Italia dei lavoratori perché l’Italia tutta è in mano alla Fiat, cioè al capitale. Tuttalpiù si può solo registrare che il processo di sfruttamento in quarant’anni si è approfondito e aggravato, anche se l’ha fatto nei tempi e nei modi della lotta di classe, cioè della (mancata) risposta che ai soprusi del Capitale ha saputo dare il proletariato. Nella sostanza, comunque, è rimasto quello che è. È lo stesso Barnard infatti ad ammetterlo, solo che non se ne accorge perché la sua presunta soluzione, la sovranità monetaria, lo acceca talmente tanto, da non fargli più vedere le sue stesse contraddizioni. Infatti, come risponde Barnard alla sua domanda intelligente? Con una risposta ancora più intelligente! La Fiat ci ricatterebbe perché a partire dagli anni ’80, avendo l’Italia perso la sovranità monetaria, lo Stato non può più trasformarsi in Babbo Natale e regalare agli italiani il corredo completo dello Stato sociale comprando tutto il loro lavoro, sino a trasformarli nei primi abitanti del Paradiso Terrestre a piena occupazione. Lo Stato sovrano, si badi, avrebbe potuto fare quello non perché, come pagatore di ultima istanza, il debito che uno Stato contrae non è che l’ulteriore credito fatto a sé stesso – cosa che è vera solo in uno Stato completamente autarchico, fuori quindi dal mondo capitalistico (cfr. la postilla finale di Riccardo Achilli) – ma perché secondo Barnard lo Stato avrebbe potuto stampare tutta la moneta che voleva, creando così la ricchezza necessaria solo sfruttando a pieno regime la zecca di Stato. Chi, da bambino, non ha mai chiesto a suo padre di provare a stampare i soldi necessari per comprare il giocattolo del momento? Il più grande crimine del mondo capitalistico è di non essere all’altezza dell’infantilismo di Paolo Barnard.
Ci si domanda, e in effetti anche il Barnard lo fa, se uno Stato sovrano può offrire tutto questo ben di Dio al popolo, perché i governanti d’Italia, quando ancora non eravamo entrati nell’euro, non l’hanno fatto? Lasciamo la risposta a Barnard: «Non l’ha mai fatto (lo Stato sovrano d’Italia..., nda), perché se no il Mercato avrebbe perso». Morale: lo Stato sovrano era succube e quindi schiavo del Capitale sia prima che dopo l’entrata in scena dell’Euro. Del resto, in sé e per sé, perdere la sovranità monetaria non significa niente. Infatti, se uno Stato da solo potesse fare quello che Barnard pensa possa fare, anche una somma di Stati come l’Unione Europea potrebbe farlo, se moltiplicasse per 25 o 27 o più la stessa intenzione progressista d’un suo singolo componente. Se non lo fa non è perché ognuno ha ceduto la sovranità monetaria, bensì proprio perché nessuno dei 25 o 27 o più stati dell’Unione Europea può fare assieme agli altri quello che nessuno di loro ha mai fatto da solo. Qui è il punto di fondo della questione, nella totale incomprensione che Barnard ha dello Stato. Barnard crede a una immaginaria contrapposizione tra Stato e Mercato, nello scontro col secondo del quale, il primo avrebbe perso. Ma lo Stato non ha affatto perso la sfida col mercato, semplicemente sono i proletari che hanno perso la sfida contro lo Stato del Mercato. La partita però non è affatto chiusa. Ribaltare il risultato è sempre possibile purché ci si schieri nel campo giusto, non in difesa dello Stato sovrano ma in quello dei lavoratori sudditi.



STATI SOVRANI PER POPOLI SENZA CORONA

Sia lo stato sovrano, sia quello che ha perduto il trono, è per Paolo Barnard uno stato interclassista. Qui stanno tutti gli errori del Barnard pensiero, nell’ignoranza totale che ha di che cosa sia lo Stato. Lo Stato è un organo di classe, attualmente in mano alla borghesia per la difesa dei suoi interessi legati al profitto. Lo Stato che dà piena occupazione e welfare state come se piovesse, è uno Stato operaio, il presupposto del quale è la distruzione dello Stato capitalistico, con l’esproprio dei capitalisti e la pianificazione economica, ovvero la sostituzione del modo di produzione capitalistico con quello socialista. Cambiare moneta, passando dall’Euro al ritorno della Lira, pensando di poter risolvere in blocco i problemi di disoccupazione lasciando il capitalismo, è come pretendere di passare dall’acqua di mare all’acqua dolce senza fare i conti col sale. Barnard crede che uno Stato borghese possa attuare il programma di uno Stato proletario. Ma lo Stato capitalistico non può essere cambiato dall’interno. Si può, dall’interno dello Stato borghese, regolare lo sfruttamento, aumentandone o diminuendone l’intensità, ma eliminarlo è impossibile. Paolo Barnard prende a modello dei suoi sogni l’Argentina del dopo crack, dimenticando che quel Paese, pur avendo messo una pezza ai disastri del Fondo Monetario Internazionale è ben lontana dall’aver realizzato il suo progetto. Con un salario medio bassissimo, sui 550 dollari, un orario di lavoro che sfiora le dieci ore e una disoccupazione sopra il 7%, l’Argentina ha un proletariato ancora in condizioni miserabili. Inoltre, l’aver mantenuto il capitalismo, è ben lungi dall’aver allontanato lo Stato sovrano argentino dai rischi ciclici collegati a quel modo di produzione. Barnard vede l’Argentina fuori dal baratro, quando è a un passo dal rischio di ripiombarci dentro.
L’Italia, naturalmente, non è l’Argentina. Barnard infatti si aggrappa a questo. Se un Paese sottosviluppato è riuscito a fare quello che ha fatto il Paese di Maradona, figuriamoci cosa può fare il Bel paese che è tra i più sviluppati del mondo. In realtà è l’esatto contrario: quanto più un Paese è integrato nel sistema capitalistico, tanto più ha difficoltà a regolare in maniera meno stretta la cinghia di trasmissione che lo lega al Mercato. L’Italia, quindi, avrebbe già molte più difficoltà dell’Argentina a liberarsi dal morso delle banche. Ma aldilà di questo, illudendosi che le idee possano prescindere dal modo di produzione, Barnard vuole convincerci che, per noi poveri precari disoccupati, basti rivolgere al nostro amato Stato preghiera di piena occupazione e lui la esaudirà, solo che abbia a disposizione la cornucopia straripante di moneta sovrana. Purtroppo, gli esempi fatti da Barnard, mostrano l’impossibilità totale del suo progetto. Almeno per chi abbia nella testa l’analisi marxiana. Per chi, invece, come Barnard ha come base culturale la «SCIENZA ECONOMICA DIMOSTRATA DA ALMENO 40 ANNI DA ALCUNE DELLE PIÙ PRESTIGIOSE SCUOLE DI ECONOMIA DEL MONDO» tutto può essere dimostrato, anche l’impossibile. Ma questo significa solo che la scienza economica moderna, la stupidissima scienza borghese, è la meno scientifica tra tutte le scienze disponibili sul mercato...
Vediamo infatti cosa succederebbe coi piani di Barnard. Il giornalista dice che tra qualche anno le fabbriche di automobili saranno «80% Information Computer Technology e 20% metalmeccanica da far sbrigare a qualche robot». Insomma addio tute blu, l’automazione le renderà superflue. L’idea dell’automazione completa non è da oggi che viene avanzata come spauracchio dai tanti futuristi che si aggirano tra l’intellighenzia piccolo borghese. Ovviamente il processo di automazione sarà un po’ più tortuoso e la manodopera non sparirà tanto facilmente, esattamente come è già sopravvissuta ai tanti suoi funerali prematuri a cui ha dovuto assistere. Indubbiamente però la tendenza delineata da Barnard è vera. Falsa completamente è invece la controtendenza che Barnard propone come rimedio, ovvero rivolgersi a sua Maestà lo Stato sovrano che avrà gran cura di noi con «Piani di Piena Occupazione per tutti voi, pagati dal governo in Italia in settori lavorativi ad alta densità di presenza umana insostituibile». Per dare peso ai suoi piani, Barnard li esalta come il frutto più maturo dei migliori centri universitari americani. Smaschereremo nelle conclusioni questi centri raccolta per asini con la laurea, per ora ricapitolando le cose, stando a Barnard, tra qualche anno, Stato Sovrano permettendo, avremo mezza economia privata con occupazione tendente a zero, e mezza economia pubblica con occupazione tendente alla massimizzazione. Barnard ovviamente non tiene conto del modo di produzione capitalistico e nella fattispecie della composizione organica del capitale che mette in ginocchio i suoi progetti prima ancora che un qualunque Stato borghese, sovrano della sua moneta o meno, possa anche solo prenderli considerazione. In un’economia di mercato, infatti, anche i capitali sono soggetti alla legge della domanda e dell’offerta. Capitali investiti in produzioni con occupazione tendente a zero, daranno profitti tendenti all’infinito, esattamente come capitali investiti in produzioni ad alta densità di manodopera, daranno i più bassi profitti possibili sulla piazza. Questo genererà una tendenza spontanea all’emigrazione dei capitali investiti in produzioni ad alta intensità di manodopera verso quelli investiti in produzioni automatizzate. Ma, diranno i fan di Barnard, questo succederà sul mercato, i capitali investiti dallo Stato in produzioni pubbliche saranno al riparo dalla legge della domanda e dell’offerta. Certo, se lo Stato fosse neutrale, sarebbe certamente così, ma purtroppo lo Stato neutrale non è, e in uno Stato capitalistico, parte dell’economia può essere anche pubblicizzata, ma dipenderà sempre dal mercato, perché sempre al mercato sarà subordinata. Infatti, Barnard, si è chiesto cosa faranno i disoccupati dalla tecnologia, ma non si è chiesto cosa faranno i padroni con gli enormi profitti intascati dalla loro espulsione dalle fabbriche. In un’economia privata pressoché tutta automatizzata, ammesso si riesca a trovare ancora sul mercato qualcuno con la disponibilità economica per comprare le merci, i padroni si troveranno presto tra le mani dieci volte la massa dei profitti che oggi hanno nel portafogli. L’aumento di merci portato dall’automazione intaserà ancora di più il mercato, saturando come non mai tutti i rami produttivi. La sovrapproduzione che già oggi soffoca tutto il sistema, ingolferà ancora di più gli sbocchi agl’investimenti che già oggi non sanno più dove infilarsi. Senza più sbocchi produttivi, i padroni saranno costretti a giocarsi una volta di più in borsa i profitti. La finanziarizzazione dell’economia toccherà vette che faranno apparire quelle di oggi come le cime di colline bassissime. Se oggi, all’apice della crisi, per un dollaro che si aggirava nella produzione ne abbiamo avuti 30 perduti nelle borse, l’automazione completa porterà grosso modo il rapporto a 1/300. Questa massa spropositata di capitale finanziario, non trovando altri sbocchi per valorizzarsi, premerà contro lo Stato come la massa d’acqua di cento tsunami. La richiesta di privatizzazioni selvagge che già oggi ha raggiunto livelli mai visti, sarà decuplicata esattamente come la forza eventuale di chi provasse ad opporsi da dentro lo Stato capitalistico sarebbe ridotta di dieci volte. Perché in linea generale, più si finanziarizza l’economia capitalistica, meno lo Stato borghese è capace di pubblicizzarla. Infatti, per non andare incontro alle loro richieste, lo Stato dei borghesi, dovrebbe rivoltarsi contro i suoi stessi padroni. Ecco perché tenderà ad essere ancora più prono di quanto già non sia di fronte all’avidità dei loro desideri. Perciò, la svendita del demanio pubblico e l’eventuale occupazione pubblica tenderanno ad omogenizzarsi con la composizione organica media del capitale. E un capitale che fa un sacco di soldi nel privato buttando fuori tutta la manodopera dalle fabbriche, non chiederà al suo Stato di venire impiegato in imprese pubbliche ad alto tasso di salariati e quindi a basso livello di profitti, ma chiederà al suo Stato di essere finanziato per progetti pubblici che consentano grosso modo lo stesso tasso di profitto “automatizzato” fatto nel privato, con in più la protezione di Stato dall’eventuale concorrenza rimasta – non più di due o tre monopolisti che faranno cartello. Come si vede i settori ad alta densità di presenza umana insostituibile saranno gli ultimi ad essere presi in considerazione dallo Stato capitalistico. E lo saranno ancora meno, se lo Stato borghese vedrà che gli operai si rivolgeranno a lui dopo essersi lasciati buttare fuori dalle fabbriche senza colpo ferire perché tanto, come suggerisce loro il Barnard, i loro problemi stanno tutti al di fuori delle stie che ha preparato per noi polli da manodopera. Lo Stato borghese è sempre spietato con noi operai, ma la sua spietatezza farebbe impallidire quella dei nazisti se oltre a presentarci sconfitti davanti a lui, lo facessimo anche senza esserci battuti. Un operaio sconfitto ma che si è battuto alla grande, ottiene molto di più da uno Stato borghese che ha perduto la sua sovranità monetaria, di un operaio che si presenti davanti allo stesso Stato che l’ha recuperata senza neanche scendere in campo. Qualche briciola spunta sempre per chi ha conservato la dignità di conquistarsela. Al contrario, anche l’elemosina di una pagnotta è indegna per chi si presenta senza onore al cospetto di un qualunque Stato, fosse anche proletario...



CONCLUSIONE: GALLINA VECCHIA FA BUON BRODO!

La critica al più grande crimine potrebbe anche finire qua. Ce n’è abbastanza per chiudere il libro prima ancora di iniziare a leggerlo. Se ne aggiungo un pezzo non è per infierire, ma perché la conclusione deve ancora mostrare quanto le proposte di Barnard, anche ipotizzando per un momento che siano praticabili, siano così stupide che solo un uomo allo spiedo poteva partorirle. Perché a noi galline alla catena di montaggio con un briciolo di cervello fanno talmente schifo che alla loro realizzazione preferiremo sempre i piani industriali di qualunque bestia, sia questa Marchionne o Milton Friedman o qualche altro sciacallo loro simile.
Mostrate le meraviglie che uno Stato sovrano può fare per noi, Barnard conclude il suo articolo, invitando noi tesserati della Fiom, a pretendere dal gallo del nostro pollaio, il pollo Landini, che si aggiorni. E se il nostro capo si aggiornasse davvero nel senso indicato da Barnard, noi operai avremmo proprio il cervello di gallina se non stracciassimo subito, una ad una, tutte le tessere. Infatti, di fronte alla pressoché completa automazione, uno Stato sovrano che desse ancora piena occupazione agli operai, non sarebbe tanto nostro amico, al contrario sarebbe il più spietato dei nemici che avremmo. Perché uno Stato che mi è davvero amico, uno Stato operaio, di fronte all’automazione completa, se solo vede chi mi azzardo ad avvicinarmi alle sue istituzioni per chiedere ancora occupazione, dovrebbe darmi una pedata nel sedere e urlarmi in faccia «fila via lazzarone! Cosa vuoi ancora lavorare, non vedi che fan già tutto le macchine? Vai a goderti la vita al mare, nei musei o dovunque tu voglia, ma non t’azzardare mai più a venirmi a scocciare con il lavoro, perché la prossima volta che verrai ancora a rompermi le scatole con l’occupazione, ti sbatto in manicomio, dove devono stare tutti i mentecatti che nell’era dell’automazione più completa pretendono ancora di lavorare...».
Barnard se la prende tanto con noi polli da stia alla catena di montaggio, ma non si rende conto di far tanto baccano solo per spostare gli operai dalle stie private a quelle pubbliche. Sempre in gabbia vuol vederci. Liberi dalle sbarre, private o pubbliche, proprio non riesce a immaginarci. Messa così però, noi polli operai veri, non abbiamo bisogno delle sue ali, se è solo per volare così rasoterra. Anche perché, di fronte a una tecnologia che accelera il futuro fino alle ipotesi più rosee della fantascienza, aggiornarsi alla piena occupazione di Stato comunque borghese, vuol dire restare indietro al livello dei neoborboni! Perché un’economia privata tutta automatizzata, sta a un’economia pubblica ad alta intensità di manodopera, come una campagna completamente arata dai trattori, sta al vecchio contadino dietro l’aratro trainato da un bue. Così, un operaio espulso dall’automazione del processo produttivo che non sappia far altro che chiedere al sovrano di Stato, ovvero al solito padrone, di trovargli un altro posto di lavoro, anche se magari in improbabili produzioni ad alta densità di manodopera, è in fondo un operaio che continua a subirla la tecnologia. Se la Fiom deve aggiornarsi, lo deve fare all’opposto affinché gli operai sentano dentro di sé la voglia di essere padroni della produzione, non sempre e comunque schiavi del suo aggiornamento tecnologico. E non è tutto: una lavorazione ad alta densità di manodopera, è una produzione in ritardo rispetto all’evoluzione tecnologica di altri settori produttivi. E il ritardo di oggi verrà colmato dall’innovazione di domani, lasciando l’operaio che si è aggiornato solo fino a Paolo Barnard alla continua ricerca di una piena occupazione che fuggirà dal suo orizzonte come l’Isola non trovata. Per aggiornarsi davvero, la Fiom non ha bisogno di appoggiarsi allo Stato sovrano, basta che si appoggi ai suoi iscritti perché abbassino l’orario di lavoro, riducendolo da 8 a 6 ore al giorno. Ma aggiornare la giornata di lavoro alle 6 ore, vuol dire aggiornare la Fiom al marxismo. Il ritardo della Fiom, è infatti soltanto il ritardo dalla dottrina dei padri del materialismo storico, non certo il ritardo dai neoborboni che inseguono un miraggio medioevale. Solo la lotta dei lavoratori potrà aiutare la Fiom a colmare le sue insufficienze. E questa lotta dovrà essere fatta proprio dentro il recinto delle fabbriche, non fuori come pretende Barnard. Perché tutte le pianificazioni a tavolino come tutte le proposte retrograde dei progressisti universitari, passano per forza dal fulcro per antonomasia del sistema capitalistico: l’operaio che lo mette in moto. Se l’operaio si ferma, anche tutti gli altri progetti saranno costretti a fermarsi. I 21 giorni di sciopero a Melfi lo hanno già dimostrato, e ogni giorno mille altri scioperi gloriosi in tutto il mondo continuano a confermarlo. Forse che allora, nel 2004, i progetti della Scuola di Chicago non erano già all’opera? Eppure dovettero arrendersi alla determinatezza degli operai. E in quei giorni gli operai non contrattarono per un sesto di diritto e nemmeno «sul grado di abolizione dei diritti», perché se ne ripresero, in un colpo solo, una decina. Se avessero continuato ne avrebbero conquistati di nuovi che ancora non aveva nessuno, non solo a Melfi. Si accontentarono però di essere messi al passo con i loro colleghi italiani e non proseguirono oltre la lotta. E non saremo certo noi a contestare questa scelta. A Melfi in quei giorni gli operai han fatto fin che mai. Altre Melfi verranno a spingere ancora più avanti il traguardo raggiunto da quei 21 giorni di sciopero. Quando verranno, conquisteremo quel che ancora ci manca. La contrattazione sul grado di abolizione dei diritti, dimentica infatti Barnard, la fa solo chi non lotta, chi si siede al tavolino già sconfitto prima ancora di aver combattuto. Questo vale oggi come ieri, idipendetemente dal vero o falso potere. Sono le burocrazie sindacali a capitolare prima ancora di aver provato a vincere per loro tornaconto di poltrona. Perché le lotte fanno saltare le poltrone. Ecco perché i burocrati non le vogliono, anche se sanno che a bocce ferme, senza fermare la baracca, la contrattazione può essere solo a perdere, in quanto se si discute al tavolino con le fabbriche in movimento, senza prendere al collo i padroni, i rapporti di forza pendono tutti dalla parte dei capitalisti. E non potrebbe essere altrimenti. Operai e padroni non partono mai sullo stesso piano. Nel momento stesso però in cui l’operaio ferma il giochino, la contrattazione non è più sul grado di abolizione dei diritti, ma sul grado di decurtazione dei profitti dei padroni, cioè sul numero di diritti in più che l’operaio riuscirà a strappare. È sempre stato così e così è anche oggi. E se l’operaio non difenderà palmo a palmo quello che ha conquistato, combattendo per ogni infinitesima parte dei diritti che gli vogliono togliere, non ci sarà cura che tenga. La Fiom, quindi fa bene a fare quello che fa, anche se può apparire agli sciocchi retrograda. Per ora, checché ne dicano i suoi detrattori, è il sindacato più avanzato d’Europa. Deve solo essere più determinata e cercare di allargare a livello internazionale il suo raggio d’azione. Se non lo farà saranno dolori, perché senza marxismo non riuscirà a vincere. Se però deciderà che la soluzione non è il marxismo, è inutile che la cerchi nel Barnard pensiero. Se infatti aggiornarsi significa mettersi al livello di giornalisti presuntuosi ed isterici, è meglio che la Fiom resti così com’è. Non si sarà innalzata al livello del marxismo, ma nemmeno si sarà abbassata al livello medioevale dei neoborboni.
Noi resteremo nelle stie col nostro pollo Landini, così come siamo, operai col cervello di gallina. Per intanto, nell’attesa di farlo anche coi padroni, ci accontentiamo di aver scorciato di qualche cresta la superbia dei neoborboni alla Paolo Barnard.
Viva la Fiom!


Lorenzo Mortara
delegato Fiom-Cgil
Stazione dei Celti
Fine 2011, inizio 2012

(a Luigi che tanto aspettò
con la speranza che non resti deluso)



Nota – per meglio comprendere i problemi legati alla composizione organica del capitale, rimando a Il Capitale, di Karl Marx, Libro III, Sezione terza, Legge della caduta tendenziale del saggio di profitto; per i dati economici sulla situazione attuale dell’Argentina, si veda quest’articolo, Argentina dieci anni dopo del compagno Andrea Davolo della TMI (FalceMartello); infine per le complicazioni legate all’automazione completa si può consultare Italia in frantumi del sempre documentatissimo Luciano Gallino, pubblicato dalla Laterza.


POSTILLA FINALE
di Riccardo Achilli


I profeti della modern monetary theory spacciano per nuova ciò che in sostanza è la teoria keynesiana della moneta, nella sua versione più radicale.
La teoria originaria di Wray non è altro che la riproposizione con un lessico più moderno delle teorie del deficit spending e dell’espansione monetaria keynesiane, roba che viene studiata al primo anno di economia con i grafici delle curve Is/Lm. Tale modello incontra notevoli limiti: intanto è valido in economia chiusa, perché in economia aperta un incremento di spesa pubblica potrebbe favorire l’espansione produttiva di un altro Paese, e non del tuo, mediante l’incremento delle importazioni, ed un’espansione monetaria potrebbe portare ad una riduzione del tasso di interesse, con conseguente fuga di capitali all’estero.
Venendo alla crescita del debito, questa non è neutrale socialmente, come ben dice De Simone, inoltre non è vero l’assunto di base della MMT, ovvero che in condizioni di sovranità monetaria il debito possa crescere all’infinito. Intanto, perché si arriva ad un punto in cui i creditori non sono più propensi a rinnovare le quote di debito in scadenza, e pretendono il pagamento a liquidazione (è il caso del default, quando cioè il debito sovrano non ha più mercato, non può più essere piazzato) ed anche la monetizzazione di tale debito ha il limite intrinseco dato dall’esplosione dell’inflazione e dalla svalutazione della moneta, che diventa talmente abbondante da essere carta straccia che nessuno vuole (una situazione generatasi durante la crisi di Weimar, ma anche nei Paesi socialisti, in cui tutti erano pieni di soldi che però nessuno voleva, perché non ci si comprava niente, e ci si affannava a procurarsi valuta estera pregiata al mercato nero, perché quella era ancora una moneta avente un valore). Inoltre, l’espansione eccessiva della massa monetaria fa scendere il tasso di interesse fino ad un livello minimo, rispetto al quale tutti gli operatori si autoconvincono che tale livello non potrà che risalire, e di conseguenza nessuno più chiederà prestiti o farà investimenti, con il risultato che la politica monetaria diverrà inefficace e che l’economia andrà in recessione. È la classica situazione di trappola della liquidità analizzata da Keynes. E tutto ciò smentisce l’assunzione di base secondo cui basta aumentare la spesa pubblica, all’occorrenza stampando moneta per coprire l’aumento dell'indebitamento, per raggiungere la felicità.





21 commenti:

  1. Va tutto bene, ma il tono saccente ed esacerbato, mi ricorda i peggiori settarismi... che non hanno portato mai a nulla di buono.

    Il rispetto per la dignità di un essere umano è la cosa che contraddistingue il nostro desiderio di comunismo.

    Il fatto, poi, che Barnard abbia sbroccato, è un aggravante nell'insultarlo a quel basso livello di cui non vi pensavo capaci.

    Sito destalinizzato...

    ciao e datevi una calmata che la verità è sempre in processo, anche in Marx, e chi pensa di averla in tasca rischia di non usare più la testa

    marco

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  2. Non ha tutti i torti, qua qualche collaboratore aveva consigliato la limatura, all'altro era parso tutto sommato passabile. Io qualche taglio l'ho dato, di più non son riuscito a fare. Pazienza, sarebbe stato peggio se non ci fosse stata la sua tirata morale, ma lei avesse iniziato con "va tutto male"...

    Un saluto
    Lorenzo

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  3. La ringrazio della risposta... e per il suo spirito.

    Rispetto alla morale,non la considero tanto una questione astratta, ma un fatto pratico di coerenza a cui cerco di dare continuità, nonostante le ricorrenti pulsioni alla reazioni impulsive, in un periodo storico che, invece, per la sua gravità non ammette sbandamenti.

    Rispetto al merito della questione, a cui mi poneva di fronte il suo scritto, era quella storica di una sinistra facile agli arroccamenti, preda di una depressione minorataria, che dimentica l'obiettivo principale di allargare il fronte, gettare ponti, piuttosto che minaserli alle spalle.

    Senza per questo dedicarsi al compromesso sistematico, rinunciando alla chiarezza della propria irrinunciabile specificità.

    Ma in ogni caso bravi per il vostro lavoro che continuo ad apprezzare.

    marco

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  4. Paolo Barnard è un giornalista. E come ogni giornalista può riportare delle informazioni corrette o volutamente sbagliate. Può essere sincero o bugiardo. In buona o mala fede. E ognuno è libero di pensare ciò che vuole. Ma quando lo stesso giornalista organizza un evento di due giorni, e 5 ECONOMISTI di fama internazionale vengono in Italia... e quando questi 5 economisti arrivano a dire le STESSE COSE che "blatera" Barnard da un po' di tempo... mentre la stampa nazionale, sempre ben disposta a promuovere l'ultima sagra della Polpetta Gigante, si ostina (nonostante le ripetute segnalazioni) a TACERE un evento di tale portata... e nel mondo accademico professori quali Zezza, Cesaratto, Terzi, Bellofiore, Tropeano, Battisti, Cedrini, Pastrello a tanti altri che seguono i 5 ai convegni internazionali "temono" di partecipare a un convegno del genere... beh, qualche dubbio comincia a sorgere. Se lo dice Barnard è un pazzo; ma se lo dicono 5 economisti di questo calibro...
    allora è d'uopo informarsi e informare. E' un dovere morale e soprattutto civile. Altrimenti si rischia di essere etichettati. E non è auspicabile che l'alternativa all'etichetta di "pazzo" sia quella di sprovveduto, o peggio ancora di coglione. Senza offesa e con rispetto

    Cesare garbeni

    cesare.garbeni@libero.it

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  5. Cesare,

    nell'articolo Barnard non viene etichettato, mi pare, come coglione, è vero però che ci sono andato giù pesante, forse troppo, forse oggi lo limerei un po' di più. In parte l'avevo già fatto su consiglio dei compagni della redazione, in parte no, anche perché come delegato Fiom mi ha dato molto fastidio l'attacco assolutamente arrogante e gratuito e molto più offensivo del Barnard che può leggere nell'articolo "operai siete dei polli" citato nel mio testo come in tutti gli altri articoli che scrive (male. Barnard, tra le altre cose, come più o meno tutti i giornalisti non sa scrivere). Mi sono ripromesso nei prossimi testi di essere più morbido, ma può darsi che qua e là, ogni tanto mi scappi l'incazzatura perché sono uno molto umorale. Tanto più che Luigi, mio affezionato lettore, mi dice al contrario che sono stato fin troppo leggero. Perché Barnard, e questo lei dovrebbe ammetterlo è molto più offensivo e arrogante, di un marxista come me, perché io in fondo me la cavo con l'ironia che ogni pieno di sé non ha.
    Detto questo io non ho nulla con l'evento di Barnard se non la critica che ho fatto, della quale, sarà forse colpa mia, lei ha notato solo gli "insulti" a Barnard. Mi spiace perché credo di aver argomentato per filo e per segno cosa c'è di sbagliato nelle teorie di Barnard e della scuola economica che segue. Ho aggiunto anche la postilla del nostro economista Achilli che impreziosisce e incornicia il testo. Al di là delle questioni morali e civili che in linea di massima posso anche condividere, ma in linea marxista no, vorrei che lei entrasse nel merito del discorso, se possibile. Per parte mia ritengo che l'economia moderna sia duemila leghe al di sotto del marxismo e che un buon marxista ne sappia più di tutti gli economisti moderni. Intendiamoci: non legga me per avere il quadro economico, io posso fare solo l'essenziale, per i dettagli deve leggere il compagno Achilli, ma leggendo me può evitare di sorbirsi un'infinità di economisti che hanno tutti i dati del mondo ma mancano dell'ossatura essenziale su cui dargli un corpo reale. La lascio in compagnia del mio adorato Bordiga (tre volte il superfluo Gadda) de "Mai la merce sfamerà l'uomo". Pag.100 dell'ultima edizione Odradek: "Facciamo un fascio di tutti i moderni economisti che fabbricano formule sulla determinazione del prezzo fondata sulle forze in movimento sul mercato: ofelimità (Pareto, nota mia), utilità marginale (economia neoclassica in generale, nota sempre mia)[...] e seppelliamoli sotto questa lapidaria frase: cavalieri del libero arbitrio nella cappella gentilizia del di famiglia Proudhon". Se leggerà anche le pagine precedenti capirà perché Bordiga, e quindi i marxisti, giungano a simili sacrosante conclusioni. Un caro saluto e grazie dello scambio di idee. Lorenzo

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  6. Qui di frustrati o frustati se preferite ce ne sono ma non rispondono certo al nome di Paolo Barnard.

    Io non seguo la mmt perchè la considero antiquata e superata da anni, ma riconosco l'impegno e la capacità di chi senza soldi, giornali, radio e con 1 casuale passaggio in tv (ove si trattava di altro) è riuscito a portare 5 personaggi di quel calibro in italia e 2000 persone paganti per 3 giorni di lezione e non di sfilate con polli viola, girotonti, svergognatos, birillini, ecc tutti finiti nel nulla.

    Vi faccio una domanda. Tra voi che avete raccimolato si e no 5 (6 commenti col mio) e Paolo Barnard che ha organizzato tutto questo da solo, voi definireste Barnard frustrato??? Beh sicenceramente i casi sono 2: 1) Non conoscete il significato della parola frustrato. 2) L'invidia vi si mangia vivi perchè nessuno pagherebbe nemmeno 40 centesimi per ascoltare voi.

    Non credo pubblicherete questo commento ma è giusto che certe cose vi vengano dette.
    Auguri.

    Andrea Cipriani

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  7. Non vedo perché non pubblicare il suo commento, a meno di non dargli tutta quella importanza che gli dà lei e che per me non ha.
    Il nostro blog va abbastanza bene, ci legge per ora molta più gente di quanto avessimo previsto, se un giorno supereremo i lettori di Barnard bene altrimenti pazienza.
    Lei per giudicare le cose, usa il metro della quantità, cioè il metro dei pecoroni, io quello della qualità. Altro non saprei dirle, non entrando lei nei contenuti. dell'articolo. Grazie della considerazione. Saluti

    Lorenzo Mortara

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  8. Non mi occupo di economia, ma qualche idea "a naso" che Barnard fosse un po' stralunato l'ho avuta anch'io ...

    Per esempio quando scrive che "le famiglie non possono coltivare i soldi nell’orto; lo Stato sì, se li inventa dal nulla."

    Ho dedicato a Barnard qualche articoletto, incuriosito più che altro dalle numerose contraddizioni.

    Porto perciò il mio contributo alla critica di Barnard, che non necessita insulti ma prove della inconsistenza delle sue teorie, e delle incongruenze.
    Vedo con piacere che su questo tema siamo sulla stessa onda...
    Qui trovate qualche post a riguardo:
    http://www.giosby.it/tag/paolo-barnard/

    Ciao ciao

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  9. In realtà è lei che fa una critica sommaria, nell'articolo si spiega direi bene come Barnard attribuisca all'uscita dall'euro una sorta di ritorno all'età dell'oro che prima non si era mai visto. Non è semplicemente l'euro il problema ma il capitalismo, e perdoni non c'è bisogno che mi ricordi l'ovvio sulla necessità della rivoluzione violenta.
    Questo è il senso dell'articolo, lo legga bene perché mi pare non l'abbia fatto.

    Lorenzo
    P.S. - In concomitanza col suo commento ne è arrivato un altro pieno solo di insulti che lasciamo nel cestino insieme ad altre inutili perdite di tempo.

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  10. Continuano ad arrivare in redazione i commenti di un anonimo eroe che da dei vigliacchi a noi, nascondendosi però dietro l'anonimato.
    Noi pubblicheremmo volentieri anche critiche al vetriolo, purché significhino qualcosa, altrimenti no. L'anonimo può comunque scriverci via mail, pubblicamente non ha senso rispondergli, ma in privato due parole non si negano a nessuno.

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  11. Se può interessare al Vs. economista, al link indicato può informarsi sulla risposta di Randall Wray all'obiezione relativa all'iperfinflazione causata dalla stampa di moneta (Zimbabwe! Weimar Republic).

    http://www.economonitor.com/lrwray/2011/08/24/zimbabwe-weimer-republic-how-modern-money-theory-replies-to-hyperinflation-hyperventilators-part-1/

    Inoltre, segnalo, a onor del vero, che le origini centenarie dei principi della MMT (Economia keynesiana)è stata una delle prime precisazioni che sono state fatte al summit di Rimini, e che quindi non si "spacciava" nulla per nuovo.
    saluti e tanti auguri.
    Filippo Abbate

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  12. Barnard sbrocca, vero, ma mi ha aperto gli occhi. Poi la verità devo sempre cercarmela da sola, perchè in assoluto, non esiste. La verità è fatta da tanti aspetti.
    Quindi 10 100 1000 Barnard, se questo può servire ad aprire la mente di chi pensa che le grandi colpe siano sempre negli altri.
    Il 'sistema' non regge più e sta implodendo, la gente ha voglia di benessere interiore e nessuna Mercedes lo può dare. La dignità umana non è nel cellulare nuovo e i soldi non sono sono un fine. Comunque apprezzo l'analisi anche se un po' troppo acida e saccente.

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  13. Accetto l'accusa di troppa saccenteria da parte dei lettori. Mi fa specie però che non abbiano nulla da ridire su quella in quantità industriali e condita con tremila più insulti del nuovo Guru Barnard.

    Lorenzo

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  14. Allora facciamo così demoliamo il capitalismo (non sai dire come, ne quando e sai benissimo che nessuno mai ti seguirà compresi i tuoi compagni) in cambio di cosa non si sa, se Barnard è un visionario tu non sei certo da meno.

    La MMT porta al totalitarismo .. e che ne sai, se mai nessuno la mai ampiamente applicata, che fai la veggente?. Altresì, tutti sappiamo invece che il neo-liberismo restringe di molto gli spazi di libertà di chi non concorre alla salvaguardia del capitale dei grandi investitori finanziari e dei neo-mercantilisti come la FIAT.

    Comunque nelle tue parole presenti nell'articolo traspare la tua sconfitta e di tutti coloro che credevano che il marxismo sarebbe stata la luce dell'avvenire, quanti marxisti si sono venduti al capitale .... tanti!

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  15. Non so dove tu abbia letto che la MMT al totalitarismo, io al massimo ho scritto che non porta niente.

    Quanto al visionario eccetera, il marxismo ha già battuto varie volte il capitalismo, nessun altro c'è riuscito. Non c'è bisogno che ti spieghi come visto che l'ha già spiegato la Storia. Se tu credi che io non sappia dire come, è solo perché tu stai dalla parte del capitalismo e hai il terrore che qualcuno lo butti giù. La nostra sconfitta è solo temporanea, ma anche fosse definitiva sarà sempre meglio di chi non è mai stato nemmeno della partita e manco se ne accorge. Il capitalismo a piena occupazione non s'è mai visto e mai si vedrà. Si vedrà solo un Barnard parlarne altri illusionisti andargli dietro. Io rimango con Marx, nella realtà.

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  16. Molto più interessante della MMT - da un punto di vista marxista - è sicuramente il documento del FMI di agosto di quest'anno intitolato: "Il piano di Chicago (degli anni'30) rivisitato". La versione originale inglese: http://think-left.org/tag/chicago-plan-revisited/

    (Notare che in Italia ancora nessuno ne ha parlato...)

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  17. non capisco cosa centrino i Neoborboni in tutta sta masturbazione mentale tra' , ho letto e riletto ma non capisco il riferimento Neoborbonico, anzi, sembra che lei Sig Lorenzo offenda i duosiciliani... mah..

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  18. Ha letto e riletto ma forse non ha capito. i borboni sono sinonimo di economia feudale e chiusa (anche se poi storicamente non è del tutto corretto), qui Barnard e quelli come lui vengono definiti neoborboni proprio perché vogliono tornare indietro agli stati nazionali con moneta sovrana, cioè a Stati più chiusi, tutto qua. Sarebbe però sempre meglio mostrarsi con nome e cognome quando si vuol criticare.

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  19. Denigrare Barnard per il carattere è come rifiutare una cura indispensabile perché IL DOTTORE TI STA ANTIPATICO

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