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venerdì 17 febbraio 2012

L'Italia che non.."vabbuò".



Il detto popolare recita che “greci e italiani sono una stessa razza e una stessa faccia”. Ora, io credo che le razze non esistano e che le facce in questi ultimi tempi siano un po' artefatte e mascherate, probabilmente tanto di più, quando ci si accorge della loro impresentabilità.
Non per niente, certi premier fanno a gara per farsi dei lifting di vario genere, imparruccarsi o persino “asfaltarsi” il cranio.
Ma per quanto esso possa cercare di “mascherarsi”, dentro, è destinato a restare quello che è, ed è perciò impossibile nascondere il suo “prodotto”
I “prodotti” dei crani dei governanti e dei politici greci ed italiani sono noti ormai in tutto il mondo: corruzione, evasione, inefficienza, malversazione, collusione e via dicendo..
La Corte dei Conti che noi dovremmo tenere in seria considerazione ben di più e ben prima della BCE, ha appena sanzionato che l'Italia sperpera ogni anno circa 60 miliardi di euro in corruzione. Una cifra che equivale a più di una manovra finanziaria e che, se seriamente recuperata, ci consentirebbe di abbassare notevolmente la pressione fiscale, soprattutto sui soliti “noti”, supertartassati da sempre e da tutti i governi di ogni colore.
L'Italia è ormai strozzata da una pressione fiscale superiore a quella svedese, ma con tagli e servizi che, al confronto, sono quelli di un Paese del terzo mondo, basti solo citare le classi superaffollate e gli ospedali dove si curano ormai i pazienti per terra.
L'Italia, da sola, possiede un giro di corruzione equivalente alla metà di quella presente in tutti i Paesi della Comunità Europea, e già solo questo le farebbe meritare un bel calcio nel deretano da tutti i concittadini europei.
L'evasione fiscale viaggia poi su cifre astronomiche: dai 100 ai 120 miliardi, solo per l'IVA evasa, intorno al 36%..e se avete di recente avuto bisogno dei servizi, tra gli altri, di qualche idraulico, falegname, fabbro o elettricista, sapete anche benissimo perché.
Le frodi nei confronti dell'Unione inoltre ammontato a decine di miliardi di euro e di fronte a questo “tsunami” di liquame malavitoso, la Magistratura pare possa opporsi solo con delle “palette” e dei “secchielli”.
Tutto ciò ci fa capire che se in Italia davvero vogliamo fare una rivoluzione, dobbiamo piantarla con l'onanismo ideologico, forse continuando a sognare anche qui “l'isola che non c'è” oppure credendo che sia indispensabile continuare ad affollare le piazze, magari mettendole anche a ferro e fuoco, e tanto meno dobbiamo pensare che servano i forconi, le armi o l'esercito e la polizia che finalmente entrano in campo a “gamba tesa”.
No, io lo dissi diverso tempo fa, e lo confermo tuttora, per fare una vera “rivoluzione italiana” (http://www.socialismoesinistra.it/web/cultura/47-cultura-contributi/207-la-rivoluzione-italiana.html) servono solo alcune poche cose essenziali: un nuovo assetto educativo basato sul vero merito e su una profonda responsabilità, un sistema tributario più equo ed efficiente ed una lotta senza quartiere al legame perverso tra politica e poteri criminali. Una collusione talmente perversa e penetrante che oggi sta seriamente portando alla rottura dell'unità nazionale, su cui può contare solo un perfetto e stolto, ma “utile” idiota, magari in vena di nuovi e più perniciosi vassallaggi internazionali.
Il governo Monti non può mettere in atto questa rivoluzione, perché in primo luogo non ha un mandato popolare, e soprattutto perché è tenuto in piedi da un Parlamento costituito a larghissima maggioranza da personaggi che hanno forti legami con tale sistema endemicamente corrotto.
Un esempio tra i tanti è quello sulle liberalizzazioni, tanto sbandierate ma che non includono e temo non includeranno mai il settore nevralgico dei media e del mercato pubblicitario, rigidamente monopolista che assicura una ingente quantità di introiti e consente un ferreo controllo dell'economia e del territorio italiano, oltre che lo svolgimento di funzioni propagandistiche autoreferenziali
Monti avrebbe potuto provare a farsi eleggere per cercare di scardinarne questi perversi meccanismi, ma ha preferito l'investitura dall'alto, solo per questo gli siamo fieramente contrari, non perché nutriamo avversione verso la sua persona o verso la sua cultura che sappiamo essere connotata in maniera precisa non da oggi, ma da vario tempo.
Gli italiani, da sempre, sono abituati a fare i “furbi”, chi in un modo chi nell'altro, almeno minimamente, perché se uno non lo fa per niente, nel contesto in cui vive, è seriamente portato a perdere ogni sorta di autostima e a considerarsi nel senso etimologico del temine, un vero “deficiente”, uno a cui manca cioè almeno un pochino l'arte di “arrangiarsi” la quale però, di questi tempi, in non pochi casi, equivale ad una concreta capacità di sopravvivere.
Hai voglia a dire che pure durante il fascismo, la sopportabilità degli italiani e la loro capacità di adattamento hanno superato di gran lunga la fierezza dell'opposizione, un fatto resta certo: l'Italia è nata non da una “rivoluzione” e cioè dal basso, ma è stata imposta dall'alto, prima di una monarchia razzista e ferocemente antidemocratica, e poi con una dittatura populista altrettanto diseducativa e liberticida.
Quando l'Italia ha provato a rinascere con il referendum del 2 giugno del 1946, con un assetto repubblicano e democratico, è restata a lungo ostaggio di vecchie generazioni di italioti educati più a “credere, obbedire e combattere” per una ideologia di vario colore, per un credo clericale, per varie forme occulte di settarismo o anche solo per “mammasantissima”, piuttosto che a “pensare, confrontarsi e operare” per costruire un Paese migliore, profondamente diverso da quello imposto in passato.
Tutto ciò che hanno fatto poi gli italiani per migliorarsi un poco, è stato dovuto più al timore di perdere quel po' di benessere e di privilegio conquistato, mentre sarebbe finalmente ora che ciò accadesse per una autentica e condivisa voglia di cambiamento.
In poche parole, sino ad ora ci siamo dati una mossa solo per la paura del fuoco che si avvicina al sedere.
Oggi i culi degli italiani sono seriamente minacciati da un dilagante incendio, per cui forse più che in passato c'è da sperare che possano sollevarsi più celermente.
Non ci facciamo illusioni sul fatto che possano concretamente abbattere la corruzione e l'evasione dall'oggi al domani, siamo però portati a pensare che se non cominceranno sul serio a spianare almeno il perverso sistema-paese su cui esse hanno continuato a fondarsi e consolidarsi negli ultimi anni, tra non molto, con gli “scuri” di luna che incombono, non ci sarà più alcun sistema e tanto meno un Paese
Il “che fare?” di leniniana memoria non ci può illudere che l'italiano cambi per orientamento ideologico, morale o tanto meno culturale, dato che, fino ad oggi, queste prospettive sono state seguite più da minoranze “illuminate” (anche se troppo spesso “d'un immenso” ideologico di castronerie) piuttosto dalla maggioranza di un popolo che all'agorà preferisce tuttora il “bar-sport”.
L'ultima speranza del popolo italiano per “fare pulizia” è dunque riposta nell'incombere dello “tsunami” di monnezza pronta a sommergerlo. Più o meno come è accaduto di recente a Napoli che sta concretamente diventando oggi un laboratorio di sperimentazione di nuovi modelli da applicare su scala nazionale.
Napoli ha reagito e, a stragrande maggioranza, ha creduto di affidare il suo governo ad un competente e giovane ex magistrato: De Magistris, il quale ha deciso di darsi alla politica con la vocazione del vero “operatore ecologico d'assalto”
Se riuscirà nella sua “mission impossible” non escludiamo dunque che possa essere lui a guidare la vera rivoluzione possibile e necessaria da Sud a Nord, per restituire dignità culturale, economica, sociale e soprattutto giudiziaria all'Italia, di più e meglio di Monti.
Sarebbe davvero la salvezza per un Paese altrimenti destinato a fare la fine di una nave dal nome evocativo ed emblematico: la “Costa Concordia”, affondata a poca distanza dalla “costa” e con la “concordia” di tutto il suo staff dirigenziale, il quale con un disarmante “vabbuò” ha salutato il “si salvi chi può” dei suoi passeggeri.
Se l'Italia oggi fallisce, si spacca e il nostro epitaffio sarà dunque un misero quanto servile: “vabbuò!”
C.F.

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