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sabato 7 aprile 2012

LE CONFESSIONI DI UN ITALIANO (ALL’ESTERO) di Norberto Fragiacomo



LE CONFESSIONI DI UN ITALIANO (ALL’ESTERO)
di
Norberto Fragiacomo


Ma come l’hanno programmato il professor Monti, in Goldman Sachs?
Ballista in patria (ammesso che per un funzionario dell’Internazionale capitalista sia lecito parlare di “patria”), si trasforma, quando va all’estero, nella macchina della verità – ma solo se l’interlocutore è il padrone di casa o, perlomeno, un’autorità straniera.
Ha esordito dicendo, il beneamato podestà, che Cina ed Unione Europea sono oggi assai più vicine (chiedere ai cittadini greci per conferma); indi, si è cimentato in una critica del capitalismo che da uno come lui, liberista fino al midollo, non ci aspettavamo davvero. Sostiene Monti che da quando, con la rovina dell’URSS, il sistema capitalistico “è diventato dominante si è rilassato e ha visto troppo predominio del capitale e dell’impresa sul lavoro e sui settori pubblici”; e, ancora, che a generare l’attuale crisi in America e in Europa è stata “l’eccessiva rilassatezza” sulle regole da rispettare.
Un Monti eccessivamente rilassato, o addirittura “anticapitalista”, come titola beffardamente il Fatto Quotidiano di domenica? Di sicuro, autore di un’ammissione sconcertante, che va ben al di là delle prudenti dichiarazioni rese nei mesi precedenti all’assunzione della carica presidenziale, e non può essere liquidata come un “pesce d’aprile” in agrodolce. La parola chiave è l’aggettivo “rilassato” che, da solo, vale un saggio: in buona sostanza, il premier conferma la tesi di noi “complottisti”, secondo la quale lo sviluppo dello Stato sociale in Europa occidentale ed il contemporaneo ampliamento dei diritti dei lavoratori (seconda metà del XX° secolo) sono stati favoriti – anzi: resi possibili – dal timore, serpeggiante tra le elite economiche, che in caso di confronto est-ovest la classe operaia del continente si schierasse “dalla parte sbagliata”. Si trattava, dunque, di comprare la fedeltà dei ceti subalterni, facendo loro delle concessioni che li legassero al carro dell’Occidente “liberaldemocratico”: le ingenti spese per la creazione ed il mantenimento poi del welfare vennero contabilizzate alla voce investimenti. La crisi del blocco comunista, esplosa nei primi anni ’80, cambia le regole d’ingaggio: contando sull’inerzia sovietica, Margaret Thatcher schiena il sindacato inglese, e dimostra al mondo – vale a dire ai detentori del capitale – che tornare indietro si può. Esperimento riuscito! Con l’implosione dell’URSS lo Stato sociale diviene un lusso, che il capitalismo non ha più nessuna intenzione di permettersi: inizia così, all’alba degli anni ’90, la fase di rientro. Distrutta e (rapidamente) colonizzata la Russia , il giocatore capitalista si rilassa, e comincia a pensare a come spendere la vincita. Azzerare il pubblico sembra una strategia remunerativa, da perseguire con ferrea determinazione: dopo un lavoro di mina durato quasi due decenni, la crisi si rivela l’arma perfetta per far saltare le mura del welfare e libera(lizza)re la città assediata.
Più che un’eccessiva rilassatezza è stato il cosciente ripudio delle regole a produrre la situazione attuale – ma, nel suo complesso, l’analisi montiana è corretta e condivisibile: l’abbattimento del muro di Berlino funge da premessa per le demolizioni contemporanee. Corollario: nel mutato clima socioeconomico, le uniche “riforme” consentite – ed anzi, imprescindibili – sono quelle peggiorative, cui va riconosciuto anche un valore simbolico-educativo.
La domanda che sorge spontanea è la seguente: perché questa confessione (che, come ben sanno i giuristi, è la regina delle prove) in terra cinese? Piaggeria, un tentativo di captatio benevolentiae nei confronti dei dirigenti di un partito rimasto nominalmente comunista? L’ipotesi non convince appieno: per quanto la multinazionale-Cina rivaleggi oggidì con l’Occidente, l’ideologia di riferimento dei due contendenti è la medesima. Potrebbe piuttosto trattarsi di una mossa distensiva: rivolgendosi ai capi cinesi non tanto nelle vesti di primo ministro italiano, quanto in quelle – ben più “autorevoli” – di alto esponente del finanzcapitalismo anglosassone, Monti avrebbe assicurato, in pratica, che la parte da lui rappresentata è alla ricerca di un compromesso, dopo le tensioni dell’ultimo periodo, e che gli interessi statunitensi non sono in contrasto insanabile con quelli del gigante asiatico – il quale potrà proseguire il proprio cammino senza particolari ostacoli. L’omesso richiamo ai “diritti umani” – assurti, di recente, ad autentico grido di battaglia dei capitalcrociati occidentali – non sarebbe sintomo di opportunismo o mera dimenticanza, ma, al contrario, un segnale in codice per l’establishment della Repubblica Popolare, al pari dell’enfasi posta sullo svuotamento in corso dei diritti dei lavoratori. In un momento in cui, dopo decenni di sottomissione, gli operai cinesi provano ad organizzarsi per ottenere condizioni di vita decenti, l’avallo europeo ad un sistema basato sullo sfruttamento della mano d’opera è un prezioso argomento propagandistico offerto al governo di Pechino per uso interno. Lette in questi termini, le esternazioni asiatiche su riforme strutturali, consolidamento di bilancio, liberalizzazioni, riforma delle pensioni e del lavoro acquistano senso, ed equivalgono pressappoco a dire: stiamo adottando il vostro modello, ma non dovete preoccuparvi troppo, perché ormai vi consideriamo nostri pari, e vi faremo concorrenza leale.
Anche la frase in apparenza cerchiobottista dedicata a Germania e USA (“Siamo stati molto tedeschi nell'applicazione della disciplina di bilancio, ma eravamo più vicini alle preoccupazioni di Stati Uniti, Asia e Fmi nel chiedere con urgenza all'Europa di agire collettivamente per meglio equipaggiarsi contro le crisi finanziarie”) mira a rassicurare sul fatto che l’Europa non farà scelte strategiche autonome, ma continuerà a seguire con docilità la corrente: il predominio tedesco è solo un’increspatura sulla superficie del mare,  un accidente senza rilievo; la fedeltà al globalismo è fuori discussione.
E’ troppo presto per stabilire se l’ambasceria abbia avuto successo oppure no: i cinesi, quando assentono col capo, vogliono soltanto indicare che stanno ascoltando attentamente, e le prime reazioni governative sono improntate ad un’educata genericità.
I messaggi lanciati dal viaggiatore agli italiani rimasti a casa sono invece il solito valium: l’affermazione secondo cui la crisi dell’Eurozona sarebbe “superata” non trova riscontro nei fatti, ed asserire che pagare più tasse sia sempre “meglio che finire come la Grecia ” è un nonsenso, visto che proprio l’aumento dell’imposizione fiscale, assieme ad insostenibili tagli reddituali, ha schiacciato la domanda ellenica, spedendo in orbita il debito pubblico. In verità, il drastico calo dei consumi da parte degli italiani – certificato dall’Istat – testimonia che l’austerità napolitan-montiana è il mezzo più veloce per raggiungere Atene (o Lisbona).
Se non altro, però, l’ottimismo a buon mercato del premier a qualcosa è servito: a disinnescare l’umida miccia bersaniana. Dopo giorni di musi lunghi, il segretario del PD ritorna a mostrarsi conciliante: quella del lavoro sarebbe “una buona riforma, se si corregge qualche aspetto”, commenta, prima di aggiungere “noi abbiamo le nostre idee e non accetto da nessuno che si dica che siamo agli ordini del sindacato. Noi quel testo (con il reintegro per i licenziamenti economici ndr) lo voteremo.” I pantaloni, insomma, sono già sbottonati: in cambio di qualche concessione di facciata (la norma, in fin dei conti, è ancora da scrivere: il c.d. “disegno di legge” che gira in questi giorni in rete è nient’altro che una relazione), i democratici diranno ancora una volta di sì all’esecutivo Monti. Dopo tutto, è un segno di coerenza: non avrebbe molto senso “incaponirsi” sulla difesa dei lavoratori dipendenti dopo aver abbandonato i pensionati al loro (gramo) destino.
Invero, la dirigenza piddina assomiglia sempre più a quegli ubriaconi che, dopo una notte di bagordi, maledicono al risveglio le bettole e il vino, e spergiurano, fra i lamenti, di non berne più nemmeno un goccio – ma la sera successiva sono di nuovo seduti al bancone, col bicchiere in mano. Anche il pensiero unico liberista, come l’alcool e il fumo, dà assuefazione.
Tocca domandarsi, in conclusione, cosa farà la Sinistra : riuscirà finalmente a trovare la necessaria compattezza, o i suoi mille rivoli seguiteranno ad impegnarsi, ciascuno per conto suo, in scaramucce senza seguito?
Vedremo tra pochi giorni se la manifestazione Occupyamo Piazza Affari è servita a qualcosa, e se Vendola – messo alla porta dal PD – ha davvero voglia di contribuire alla nascita del Quarto Polo…


Trieste, 2 aprile 2012



2 commenti:

  1. Scusate, non so se ve ne siete accorti, ma sono spariti i commenti all'articolo di Carlos sulla LdS, e non si può commentare a quell'articolo. Grazie per l'attenzione e saluti.

    Luigi

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  2. su quel post per ora, in attesa dell'assemblea nazionale abbiamo tolto i commenti, chi vuole può mandarceli in redazione

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