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domenica 20 maggio 2012

Echi della strategia della tensione, di Giuseppe Angiuli


Potrebbe sbagliarsi di grosso chi ha dato subito per scontato che il grave attentato consumatosi stamane dinanzi ad una scuola professionale femminile di Brindisi debba senz’altro essere attribuibile alla criminalità organizzata pugliese.
Doveva essere una strage di ragazzi giovanissimi e solo per un caso l'innesco è partito in tempo utile per fare meno morti di quelli che avrebbe dovuto fare.

Può sembrare strano, ma anche le organizzazioni mafiose osservano dei codici etico-comportamentali intrinsecamente connessi al loro ruolo sociale e, proprio osservando i fatti alla luce di tali codici consolidati, risulta altamente improbabile che i boss  brindisini abbiano consapevolmente deciso di colpire con inusitata efferatezza un luogo simbolo della gioventù studentesca della loro città.
Pare che l’istituto professionale “Morvillo-Falcone” di Brindisi fosse frequentato da molte ragazze di Mesagne, un centro a pochi chilometri dal capoluogo messapico: di Mesagne era infatti la prima vittima sedicenne dell’attentato, Melissa Bassi.
Chi non è pugliese non sa che proprio Mesagne è stata a lungo uno dei principali centri irradiatori della Sacra Corona Unita.
E’ dunque credibile che i “cervelli” della Sacra Corona Unita possano avere seminato morte di primo mattino, tra i ragazzi e le ragazze che facevano ingresso in un istituto scolastico, rischiando di fare una strage e magari di colpire uno dei loro figli o un figlio di un loro cugino, di un loro vicino di casa?
E’ plausibile che un’organizzazione criminale a carattere locale scelga di colpire uno dei luoghi più vitali del territorio in cui la stessa organizzazione opera e dove trae dal consenso sociale una delle principali linfe che ne determinano il ruolo di dominio?
E’ possibile che la criminalità brindisina non abbia tratto lezione da quanto avvenne alla fine degli anni ’90, allorquando perse il consenso sociale (retroterra indispensabile per qualunque organizzazione mafiosa) proprio dopo avere trasformato il lucroso business del contrabbando di sigarette da fenomeno silenzioso a fattore di morte sulle strade pugliesi, dando l’incipit  alla rabbiosa reazione dello Stato con l’operazione militare “Primavera” che portò ad azzerare il fenomeno-contrabbando?

No, che la criminalità brindisina abbia deciso di fare questo è troppo poco credibile per essere vero.
Se perfino la ministra dell’Interno Cancellieri ha parlato a caldo di un “fatto anomalo e complesso”, allora forse è bene che tutti proviamo a fare i conti con scenari molto più grandi ed inquietanti di quelli con cui siamo soliti rapportarci, magari liberandoci da quella sorta di condizionamento preventivo che induce a bollare frettolosamente come “complottismo dietrologico” qualunque tentativo di andare aldilà della mera superficie dei fatti e delle spiegazioni più banali.

E’ bene convincersi (ma lo so, è davvero difficile comprenderlo) che l’Italia sta vivendo la fase terminale e delicatissima di un importante trapasso storico-politico.
La democrazia rappresentativa in cui siamo stati abituati a vivere a partire dal 1945 non c’è più.
Lo Stato forte ed autorevole, quello che doveva garantire a tutti i cittadini l’eguaglianza formale e sostanziale (art. 3 Cost.), che doveva loro assicurare lavoro e scuola, salute e giustizia, previdenza per tutti, non esiste più.
Lo Stato che doveva guidare l’economia, dirigendone i processi in direzione del perseguimento dell’interesse collettivo, anch’esso non c’è più.

Vi chiederete: ma che c’entra tutto questo con l’attentato di Brindisi (e magari con la recente gambizzazione di un dirigente dell’Ansaldo, industria di punta di quello che fino a qualche tempo fa era un poderoso apparato produttivo di Stato e che nel corso della seconda Repubblica, pezzo dopo pezzo, è stato smantellato)?

Ebbene, in tutte le fasi di trapasso politico, in Italia, fin dal momento del raggiungimento della sua unità e indipendenza, sono sempre scoppiate le bombe: fin dalla spedizione garibaldina del 1861 che disarcionò i Borbone, passando per il biennio rosso e l’avvento del fascismo, per poi giungere al secondo dopoguerra ed agli anni ’70, per approdare infine al grande disegno destabilizzatore del 1992-93 (che doveva adeguare il contesto italiano all’inedito scenario post-bipolare), le bombe e gli attentati, così come gli intrighi orditi da cervelli stranieri, hanno sempre giocato un ruolo di primo piano nel determinare gli scenari di casa nostra.

Un sabato pomeriggio di 20 anni fa Giovanni Falcone veniva colpito a morte in un attentato eclatante nella cui organizzazione la mafia siciliana ebbe sì, certamente, un ruolo di manovalanza ma non ne fu la mente (anzi, i corleonesi furono “usati” da poteri ben più “in alto” di loro e poi, come sempre avviene, furono subito “scaricati”, tant’è vero che meno di un anno dopo, il “capo dei capi” Totò Riina fu presto arrestato a seguito di un banalissimo appostamento dinanzi alla sua dimora palermitana).
Giovanni Falcone (così come Paolo Borsellino) aveva capito troppe cose del piano di destabilizzazione che 20 anni fa investiva l’Italia, forse non ne condivideva tutti gli aspetti o forse ne avrà in qualche modo ostacolato il compimento. Doveva morire in un attentato dai connotati di “guerra”, sbloccando non a caso l’impasse  nell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.

Analogamente al 1992-93, anche oggi in Italia ci sono dei settori che ancora oppongono una (flebile) resistenza al compimento della fase terminale del piano di destabilizzazione del Paese.
L’Italia depotenziata, umiliata, deindustrializzata, l’Italia privata di ogni sovranità politico-economica e vassalla dei Piani NATO oltre ogni immaginazione, l’Italia del 2012, portando a compimento il piano del 1992, deve diventare a tutti gli effetti una colonia.

Una colonia politica degli USA e della NATO e una colonia economica del capitalismo franco-tedesco.

La recente gambizzazione del dirigente Ansaldo (a dispetto delle consuete e ricorrenti, oltre che assurde, rivendicazioni pseudo-anarcoidi) è un messaggio facilmente decodificabile, evidentemente diretto alle poche e residue aziende di punta italiane ancora da “spolpare”.
Il suo chiaro significato è: “Dovete mollare l’osso”.
E la città di Brindisi (oltre ad essere vicina ad insediamenti dell'industria tecnologica militare come Alenia e Agusta) simboleggia 2 ulteriori grosse aziende strategiche di punta dell'industria nazionale sotto attacco dai poteri forti stranieri che devono "comprare a saldo" l'Italia, relegandola a colonia, o se vogliamo a mera "espressione geografica", tanto cara al principe Metternich: a Brindisi ci sono grossi insediamenti dell'ENI e dell'ENEL.

L’attentato di Brindisi, rivolto contro dei sedicenni, con l’evidente obiettivo di fare strage tra ragazzi che attraversano la fase più “verde” della loro adolescenza, è a mio avviso portatore di un altro messaggio tanto macabro quanto inquietante, che i poteri oscuri  autori dell’attentato hanno voluto indirizzare a tutta la gioventù di questo Paese: “Qui in Italia, per voi, non c’è più futuro né speranza”.

E, come disse Aldo Moro in una delle sue ultime lettere consegnate nelle mani dei sedicenti brigatisti, “un giorno tutto apparirà chiaro”.

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