Cittadini, lavoratori, cari compagni e amici tutti,
la
giornata del Primo Maggio nasce storicamente come momento simbolico
per affermare i valori di unità e solidarietà tra i lavoratori di tutto
il mondo nonché per perorare i bisogni di emancipazione economica e
culturale delle classi lavoratrici. Alla fine dell’ottocento –
allorquando questa giornata si affermava - il nascente movimento operaio
proclamava il Primo Maggio quale occasione per rivendicare prima di
tutto il diritto alle otto ore lavorative: “Otto ore di lavoro, otto ore di sonno, otto ore di svago!”, questo era lo slogan che riecheggiava nelle celebrazioni del tempo, in un clima di assai viva e consapevole partecipazione popolare.
Molto tempo è passato da quell’epoca.
Nel
frattempo, numerose conquiste del movimento operaio, tanti diritti che
si credevano acquisiti per sempre sono stati rimessi in discussione.
Negli ultimi decenni, in particolare, le gravi fratture consumatesi
all’interno del mondo sindacale, aggravate dal processo di
precarizzazione del lavoro dipendente, hanno fortemente indebolito il
movimento dei lavoratori, generando al suo interno pessimismo e
sconforto, diffondendo rassegnazione e paura, che hanno infine quasi
portato alla paralisi dell’azione e della rivendicazione.
Nell’agenda
pubblica, le ragioni del mondo del lavoro sono passate in secondo
piano, spesso eluse o quasi sempre relegate a variabile dipendente di
fattori ritenuti più centrali e decisivi nei meccanismi di regolazione
dell’economia.
Oggigiorno
si è dunque arrivati perfino a ventilare a cuor leggero la necessità
di abolire la giornata del Primo Maggio, da alcuni ritenuta un’inutile
ricorrenza del passato, ormai non più necessaria. Prova ne è che oggi,
per la prima volta dopo tanti anni, il Governo ha deciso che i negozi
posso stare aperti.
E’ giunta l’ora di dire BASTA a tutto ciò! Per invertire la tendenza occorre una forte reazione di tutti i lavoratori!
La
difficilissima fase economica che tutti stiamo vivendo può costituire
probabilmente un’occasione inedita e irripetibile, per l’intero
movimento dei lavoratori, per ritrovare una forte unità e rilanciare un
conflitto sociale e sindacale in mancanza del quale – è inutile negarlo
– ci attenderà un futuro di gravissimi arretramenti sul piano dei
diritti e dei bisogni elementari delle classi lavoratrici.
La
grande crisi finanziaria che, a partire dal biennio 2007-2008, sta
investendo tutte le economie dell’occidente, ha fornito il pretesto e
l’occasione alle elites economico-finanziarie transazionali che
dominano tutti i popoli d’Europa per sferrare un attacco senza
precedenti al mondo del lavoro, alle famiglie e alle piccole imprese: in
fin dei conti, sotto attacco dei poteri forti siamo tutti noi!
In
Italia, come tutti sappiamo, con il discutibile avallo del Capo dello
Stato, si è recentemente insediato un nuovo governo di “professori” –
ma sarebbe forse il caso di chiamarli col loro nome, cioè un governo di
tecnocrati – che, forse per la prima volta nella storia della nostra
Repubblica, è privo di alcun tipo di mandato popolare o di investitura
elettorale.
Non
è difficile per nessuno di noi individuare i centri ispiratori e
decisionali del Governo-Monti: lo abbiamo capito tutti, è stata la
B.C.E., sono state le grandi banche transnazionali ad avere fortemente
desiderato l’insediamento di questo Esecutivo.
I
grossi centri della speculazione finanziaria, in Italia come in
Grecia, non potendo più fidarsi della mediazione di governi che, a
prescindere dal colore politico, traevano comunque legittimazione da un
mandato elettorale, hanno deciso di mettere in sella i loro stessi
funzionari, ai quali hanno affidato un compito chiaro e netto, che può
non essere capito soltanto da chi non abbia voglia di capirlo.
Ormai
è chiaro! Il compito per cui è nato il Governo-Monti è evidentemente
quello di scaricare le conseguenze della crisi sui lavoratori, sulle
famiglie e su tutti i ceti produttivi; si vogliono sacrificare gli
interessi di una gran parte dei cittadini e dei lavoratori italiani
sull’altare delle esigenze del grande capitale finanziario: l’ormai
famoso e famigerato spread sui titoli del debito pubblico domina su tutti quanti noi, dettando ogni giorno l’agenda politica!
Ma
i lavoratori italiani devono sapere – e noi abbiamo il dovere di
dirglielo – che i meccanismi di formazione del debito pubblico nazionale
sono stati pesantemente influenzati, nell’ultimo periodo,
dall’affermazione di istituzioni sovranazionali europee non elette dai
cittadini che ci hanno tolto sovranità e che hanno blindato il
Parlamento spogliandolo di tutte le più importanti prerogative in
materia economico-finanziaria e di bilancio.
E’
bene che tutti sappiano che con l’avvento dell’euro lo Stato italiano
ha perso il potere di emettere una propria moneta sovrana; al contempo,
la Banca d’Italia ha perso ogni potere di regolazione monetaria e di
freno all’azione speculativa dei capitali stranieri, mentre il Governo
nazionale, con i trattati di Maastricht e di Lisbona, senza che i
cittadini se ne siano accorti, ha ceduto all’Unione Europea quasi tutti i
suoi poteri di intervento in materia economica e finanziaria.
In
sostanza, quando ci sono attacchi speculativi contro i titoli del
debito pubblico – come è avvenuto in Grecia e come sta avvenendo negli
ultimi tempi, sia pure in maniera meno grave, anche in Italia - lo
Stato oggi non ha più alcuno strumento effettivo per intervenire a
difendere la salute dei propri conti pubblici e la propria stessa
economia nazionale, in quanto l’andamento dei titoli del nostro debito
pubblico è affidato unicamente ai capricci delle agenzie di rating e
agli appetiti famelici delle grandi banche internazionali.
Ma
quel che è più grave, in tale contesto, è che le ricette di forte
austerità monetaristica e neoliberista, imposte dall’Europa al
Governo-Monti, si stanno sempre più rivelando come una medicina che
aggrava il male, anziché guarirlo!
Il
gran numero di imprese che chiudono, i lavoratori e i piccoli
imprenditori che si suicidano, sono sintomi evidentissimi di una cura
economica che non sta funzionando per niente!
Le
cifre della disoccupazione giovanile sono impressionanti! Dagli ultimi
dati ISTAT del mese di aprile di quest’anno, sembra che nella fascia
di età fino ai 25 anni si registra in Italia un numero di disoccupati
pari a circa il 32% della forza-lavoro disponibile. Continuando di
questo passo, l’Italia, da essere una delle principali potenze
industriali al mondo, diventerà ben presto periferia
economico-produttiva del pianeta e i nostri giovani potrebbero presto
essere costretti ad emigrare in gran numero all’estero, verso le nuove
economie emergenti, per trovare un lavoro.
La
cura da cavallo dispensata dal Governo-Monti è tutta quanta ispirata
unicamente dall’esigenza di ridurre il debito pubblico: così ci è stato
detto, così ci viene ripetuto tutti i giorni. Il debito pubblico. Il
debito pubblico. Bisogna ridurre il debito pubblico.
Ma come si può pensare di ridurre il debito pubblico se non si mettono
in campo delle serie politiche per fare ripartire in qualche modo
l’economia?!?
E come potrà mai risollevarsi l’economia se, anziché colpire la grande
speculazione finanziaria, si regalano soldi alle banche e si continua
ad inasprire la pressione fiscale proprio sul costo del lavoro,
scoraggiando così le nuove assunzioni?!?
Come si può pensare di risanare i conti pubblici aumentando soprattutto le imposte indirette come l’IVA, che, colpendo i consumi delle famiglie, finisce per avere un impatto negativo sulla domanda aggregata?!? e quindi, paradossalmente, l’aumento dell’IVA (che potrebbe addirittura arrivare al 23% da quel che si sente in giro) con il crollo dei consumi che genererà, potrebbe portare alla lunga ad una riduzione del gettito fiscale e ad un conseguente aumento dello stesso debito?!?
E
ancora, come si può pensare di colpire il bene primario più prezioso,
la prima casa, con una nuova pesantissima imposta, l’IMU, che finirà
per penalizzare i più deboli e che, per la sua stessa esosità, potrebbe
mettere in ginocchio moltissimi pensionati monoreddito,
costringendoli, in alcuni casi, anche a vendersi la casa?!?
La verità è che questo tipo di interventi – come la storia recente
dimostra – non hanno mai funzionato, non hanno mai stimolato la
crescita ma anzi, l’hanno sempre frenata!
Anche
le liberalizzazioni selvagge introdotte nei servizi pubblici e nelle
professioni, la deregolamentazione sempre più spinta del mercato del
lavoro, il via libera all’abrogazione dell’art. 18 dello statuto dei
lavoratori, sono tutte misure che, anziché fare riprendere l’economia –
come ci viene detto - finiranno inesorabilmente da un lato per favorire
i grandi capitali stranieri e dall’altro per indebolire il potere
contrattuale dei lavoratori italiani.
Dulcis in fundo:
è arrivato infine l’inserimento del vincolo del pareggio di bilancio
all’interno della nostra Costituzione. Votando quasi all’unanimità la
scellerata modifica dell’art. 81 della carta costituzionale, le forze
politiche presenti in Parlamento si sono assunte una grave
responsabilità, di cui risponderanno un giorno dinanzi alla storia. E’
stato davvero folle e suicida – come hanno anche detto insigni
economisti e premi Nobel – avere pensato che uno Stato possa ragionare
come una famiglia o come un’impresa.
Infatti, se una famiglia o un’impresa non possono effettivamente spendere più di quanto incassano, per lo Stato non è così!
Nelle fasi di recessione – come quella che viviamo oggi – è essenziale che uno Stato possa spendere anche a deficit e che possa
effettuare investimenti pubblici, regolare il mercato e fare così
ripartire l'economia. Quando uno Stato spende in grossi investimenti
pubblici per fare ripartire l’economia (come avvenne dopo gli anni della
grande depressione del 1929), il deficit viene sempre ripagato successivamente, quando arriva la ripresa e lo Stato inizia ad incassare dal gettito fiscale.
Ora, impedendo costituzionalmente il deficit
di bilancio dello Stato, sarà impossibile per i futuri Governi
investire denaro pubblico in settori "fondamentali" e mettere in campo
delle serie politiche industriali a sostegno della ripresa.
In
altre parole, l’obbligo del pareggio di bilancio inserito nella
Costituzione è la consegna definitiva del nostro Paese nelle mani delle
oligarchie bancarie e finanziarie, perché con il pareggio di bilancio –
come ho appena detto - lo Stato non sarà più in grado di controllare e
indirizzare l'economia nazionale attraverso le necessarie politiche di
investimento e di stimolo alla crescita: ci aspetta pertanto – ed è
bene esserne consapevoli - un lungo periodo di recessione e di
disoccupazione galoppante.
Inoltre,
avendo elevato il principio del pareggio di bilancio a dogma
intoccabile, verrà meno anche il patto costituzionale tra Stato e
comunità di cittadini-lavoratori, fondato sull’impegno del primo a
garantire a tutti un bagaglio minimo di diritti sanciti dalla stessa
Costituzione: lavoro, cultura, istruzione, ricerca, infrastrutture,
trasporti, sanità. Da questo momento, ogni diritto fondamentale dei
cittadini e dei lavoratori sarà subordinato all'obbligo del Pareggio di
Bilancio. Quindi, per farla breve, i servizi essenziali che lo Stato
non vorrà - o non potrà – più pagare, dovremo pagarceli da soli, con
buona pace di chi non potrà permetterseli.
Come se non bastasse, l'accordo cosiddetto del 'Fiscal compact',
anch’esso imposto dall’Europa, ci costringerà a ridurre forzatamente
il debito pubblico di una determinata percentuale minima ogni anno:
questo costringerà i governi a varare continuamente delle sanguinose
manovre finanziarie di decine e decine di miliardi di euro ogni anno.
Rispetto alla gravità del momento, insomma, cari cittadini, cari lavoratori, occorre reagire!
Se
non ci sarà una forte reazione dei lavoratori italiani rispetto a
tutto ciò, per tutti noi si profilano anni davvero bui all’orizzonte,
con imposizioni di sempre nuovi, enormi e ricorrenti sacrifici che, in
nome dei dogmi monetaristi dettati dall’Europa di Maastricht,
continueranno ad essere pagati in misura prevalente, come sempre
avviene in questi casi, dalle fasce deboli della popolazione.
Occorre
pertanto rilanciare con forza uno spirito di unità e solidarietà di
intenti tra tutti i lavoratori italiani, consapevoli che, come affermava
Filippo Turati nel suo celebre Inno dei Lavoratori, “se divisi siam canaglia, stretti in fascio siam potenti!”.
Occorre
tornare a favorire una quanto più ampia partecipazione popolare alla
vita democratica del Paese, in un momento in cui tra le forze politiche
presenti in Parlamento le differenze identitarie e di programmi
sembrano quasi essere del tutto svanite e la vita politica tutta sembra
ormai ridotta ad un inutile teatrino autoreferenziale, lontano dai
bisogni reali del Paese.
Occorre recuperare gli spazi, i tempi e le forme della democrazia, non dimenticando mai l’incipit della nostra carta costituzionale, il cui articolo 1 recita che “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.
Occorre
difendere senza alcun cedimento il mantenimento di giornate festive
come quella di oggi, che contribuiscono da sempre a formare il tessuto
connettivo morale e civile del Paese.
Noi
qui presenti, nel nostro piccolo, ci stiamo provando: grazie alla
camera del lavoro CGIL di Monopoli ed all’Unione degli studenti, siamo
riusciti a rilanciare il Primo Maggio nella nostra città.
Chiediamo
pertanto a tutti i lavoratori di starci vicini, di non demordere, di
non scoraggiarsi: anni di lunghe e dure battaglie attendono tutti
quanti noi; siamo pronti a condurle assieme con un rinnovato spirito di
determinazione, unità e solidarietà.
Giuseppe Angiuli
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