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mercoledì 13 giugno 2012

PROVACI, LANDINI! di Norberto Fragiacomo


 
PROVACI, LANDINI!

di Norberto Fragiacomo


Dell’incontro organizzato dalla Fiom sabato scorso a Roma e dell’appello rivolto dal suo leader, Maurizio Landini, alle (deboli) forze della sinistra politica si è parlato e si continua a parlare, tanto sui giornali quanto nei blog che popolano la rete.
In genere i commentatori ostentano cautela, come avessero a che fare con un oggetto misterioso; ma ai tiepidi applausi al sindacato fanno da contraltare critiche anche sferzanti, provenienti da destra e da sinistra.
Per i c.d. “moderati” (che moderati sono solamente nelle loro fantasie, se non altro perché sostengono il più autoritario dei regimi concepibili, quello dei mercati) l’iniziativa della Fiom svela la natura “politica” e “massimalista” dell’organizzazione, incapace di accettare l’ineluttabilità dei sacrifici imposti alla povera gente in tempi di crisi; dal fronte opposto si accusa, al contrario, il vertice sindacale di moderatismo ed irresolutezza, nonché di offrire una sponda a chi (Bersani, ma pure Vendola) si è prontamente allineato alle direttive provenienti dallo stato maggiore della finanza globale. L’aut aut indirizzato dal segretario dei metalmeccanici ai “politici” sarebbe piuttosto una supplica, e una scoraggiata ammissione di impotenza: anziché implorare coperture e chiedere alloggio – per le proprie idee – come un vagabondo qualunque, la Fiom avrebbe il dovere di indicare una strada che, superato il villaggio globale capitalista, conduca dritta alla società nuova.
In sintesi, pur avendo riconosciuto l’estrema gravità del male, il medico Landini consiglierebbe il ricorso ad un inutile placebo.
Abbiamo cercato di riassumere in un paio di righe delle argomentazioni che, per la loro pregnanza, meriterebbero ben altra analisi – ma, premesso che, osservando dal di fuori, non abbiamo piena coscienza delle dinamiche interne al sindacato, ci pare abbastanza ingeneroso accusare il povero segretario (che non si dà arie da intellettuale, e mai ha letto Il Capitale) di non essere Lenin, specie in un momento in cui il fronte unico delle destre prova a schiacciare contro un muro la sua organizzazione allo stremo.
Oggi la Fiom è sola, drammaticamente, e il marchionnismo di governo, oltre a cacciarla dalle fabbriche, l’ha privata di quelle fonti di finanziamento (il contributo degli associati, falcidiati dai licenziamenti) senza le quali non può sopravvivere. Con il laido balletto su pensioni ed articolo 18, la CGIL ha rinunciato – si direbbe definitivamente – alla lotta, ricostituendo con Cisl e Uil una triplice dai colori autunnali; la richiesta di sciopero generale, urlata alla piazza romana del 9 marzo, è caduta nel vuoto e, al di là di singole, apprezzabili iniziative (il raduno promosso a maggio dalla Fed, le azioni del Comitato NO Debito davanti alle banche e in Parlamento) non esiste oggi, in Italia, un’opposizione strutturata e capace di svegliare le masse.
Stretti tra l’incudine della carenza di fondi e il martello dell’accusa (pienamente in malafede) di massimalismo, che fa ancora presa su moltitudini rassegnate e poco reattive, i metalmeccanici non avevano altra scelta che proporsi come forza dialogante e responsabile: ecco la ragione, forse, dell’invito fatto pervenire al PD, che ha dimostrato da tempo di aver abbracciato – per forza, ma anche per amor di potere – la religione montiana dell’austerità “per molti, ma non per tutti”. Si può avere fiducia in chi, come Stefano Fassina – considerato la “sinistra estrema” dei sedicenti democratici -, sostiene che il pareggio di bilancio in Costituzione andava votato a prescindere, malgrado i suoi effetti catastrofici sulla società e l’economia italiane? Evidentemente no, perché chi non vede alternative all’esistente mai avrà il coraggio di opporsi alle misure sempre più draconiane che saranno imposte dai mercanti globali assetati d’Europa – e tuttavia, aprire ad un PD screditato è stata una buona mossa. La ridicola autodifesa di Bersani sull’articolo 18 è stata sommersa dai fischi dei delegati Fiom, e questa kermesse sonora è giunta alle orecchie degli italiani, che iniziano a prendere consapevolezza della doppiezza – oltre che dell’inadeguatezza – della classe dirigente democratica.
Per mostrare al Paese che Bersani non è (più?) di sinistra occorreva dargli la parola: è stato fatto, e il segretario ha reso una piena confessione, sollecitata dalla puntuta arringa di Di Pietro, che è senz’altro un demagogo, ma forse proprio per questo dice, alle volte, le cose come stanno.
L’altra figuraccia è stata quella del cerchiobottista Vendola: partito per riformare il mondo, il grande affabulatore si accontenta adesso di una candidatura alle primarie, e di un posto in un futuribile governo Bersani-Monti. Certo, il Presidentissimo continua a verseggiare su  lavoro, diritti per gli omosessuali (questione un po’ secondaria, in questa temperie storica) e giustizia sociale, ma questo – in gergo giornalistico – si chiama fuffa: il suo orizzonte è pienamente ulivista, e siamo cinicamente convinti che già sta preparando alate apologie per quando, seduto in Parlamento, dovrà avallare futuri, devastanti tagli allo Stato sociale. Spiace che di quanto è sotto gli occhi di tutti i compagni di SeL insistano a non accorgersi – d’altra parte, neppure si avvedono che il progetto è miseramente fallito, e il bacino elettorale (vasto solo nei sondaggi televisivi) si sta restringendo a favore di Grillo, che sarà pure un arruffapopoli, ma ha brevetatto il linguaggio giusto per parlare a tutti quegli italiani che, oramai, provano solo disgusto per un Paese costruito su misura dei peggiori, degli inetti (in senso proprio, non sveviano), dei disonesti e dei leccapiedi.
Non se l’è cavata troppo bene neppure Diliberto (PdCI), che seguita a caldeggiare un Ulivo già colpito dal fulmine ben prima che scoppiasse il temporale finanziario – tuttavia la proposta di unire la Sinistra e poi mercanteggiare con il PD non va letta necessariamente come un’esibizione di opportunismo elettorale: se si dimentica per un attimo ciò che accade fuori dai confini (e nelle borse), si può persino credere che una forte componente social-comunista in seno al centrosinistra potrebbe afferrare la barra del timone, e regalare ai cittadini una politica decente. Si tratta ovviamente di una pia illusione, che peraltro il necessario interlocutore (SuperNichi) non condivide affatto, avendo già optato per la subordinazione al PD montiano.
Convince di più Paolo Ferrero, che appoggia le battaglie della Fiom (e non da ieri: lo faceva anche quando Bersani, mentendo spudoratamente, asseriva che la vicenda Pomigliano era un una tantum), e dimostra consapevolezza di quanto sta succedendo intorno a noi. Anche lui, però, appare talvolta incerto tra una prospettiva di lotta “partigiana” a tutto campo (per condurre la quale, però, mancano le forze) e la presunzione – che in altre epoche sarebbe stata realistica, ma oggi è tutt’al più uno scongiuro – di poter contribuire, dall’esterno e comunque per via elettorale, ad un’evoluzione in senso democratico-progressista dell’inqualificabile PD.
In realtà, il falso dilemma di Ferrero è anche quello che tormenta Landini e la dirigenza Fiom: combattere a viso a aperto o tentare la via del compromesso? In astratto, il secondo sentiero sembra il più percorribile: peccato che sia stato reso impraticabile, oltre vent’anni fa, dalla frana dell’Unione Sovietica.
Il Capitale, oggidì, non è disponibile a trattare: pretende la resa incondizionata, ed è singolare che chi vive nelle fabbriche o intorno alle fabbriche non colga questa elementare lezione quotidiana.
Per cui va benissimo dare spazio a Bersani e persino alla Fornero (che va incalzata, però!), se lo scopo è metterne a nudo la falsità e la cattiva fede, cercando al contempo di presentarsi come educatissimi padroni di casa a beneficio dei media; ma poi bisogna rompere gli indugi, e sottoporre a chi ci sta un articolato piano di battaglia, che tenga conto della situazione concreta, non di aspirazioni fuori dal mondo e dalla Storia.
Rivoluzione subito? Piano, ci vuole un minimo di cautela: lanciare il ronzino contro i carri armati è gesto nobilissimo, ma suicida. Molti critici della Fiom paiono non prendere in considerazione il fatto che qui non si tratta di trasformare un bel giardino all’inglese nell’Eden socialista: ci troviamo su una pietraia bruciata dal sole.
L’avanguardia rivoluzionaria di domani potrebbe essere costituita da provetti hacker, capaci di mettere in… crisi borse e banche e assai più difficili da fermare dei generosi marciatori di Francoforte; di fronte ad un “evento prodigioso” (ad esempio, la vittoria di Syriza tra una settimana scarsa), le piazze potrebbero tornare a riempirsi – ma, in ogni caso, trovare l’acqua per innaffiare il germoglio socialista non sarà agevole.
Alla Fiom, a Rifondazione, al NO Debito e agli altri piccoli partiti/movimenti anticapitalisti chiediamo di non mollare, e soprattutto di non adeguarsi alla logica del “meglio che niente”: quello che i finanzieri sono disposti a concederci è, per l’appunto, niente.

12 giugno 2012

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