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mercoledì 22 agosto 2012

007 DALLA SVEZIA SENZA AMORE (NE’ CONDOM) di Norberto Fragiacomo

007 DALLA SVEZIA SENZA AMORE (NE’ CONDOM)
di
Norberto Fragiacomo


Una gravissima violazione delle libertà internazionali”: così una giornalista di Repubblica, di cui mi sfugge il nome, definì, meno di un anno fa, l’assalto degli studenti all’ambasciata britannica di Teheran e la successiva cattura di ostaggi, liberati senza graffi dopo un paio d’ore.
In Occidente lo sdegno fu fortissimo, unanime: vennero tirati in ballo – non a sproposito, da un punto di vista formale – il diritto internazionale e l’extraterritorialità delle sedi diplomatiche; il primo ministro britannico Cameron, cui prudono sempre le mani quando si tratta di ex colonie (o ex satelliti), minacciò gravi ritorsioni, e mezza Europa ritirò i propri ambasciatori dall’Iran.
Il governo iraniano, per cui vige sempre la presunzione assoluta di colpevolezza, fu indicato come mandante dell’incruento attacco, e le nostre gazzette glissarono elegantemente sul fatto che la furia degli studenti – genuina o meno che fosse – poteva essere una risposta (simbolica e, in fondo, contenuta) alla silenziosa strage di scienziati e militari impegnati nel programma atomico di quel Paese.
Nulla giustifica, si ammonì, un attacco ad una sede diplomatica, la responsabilità del quale ricade sul governo che non ha voluto o potuto impedirlo.
A distanza di pochi mesi, lo zelo legalitario di David Cameron sembra già evaporato: una Reuters del 16 agosto informa che “la Gran Bretagna ha minacciato di effettuare un raid nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra se Quito non consegnerà Assange, che si sta rifugiando lì da due mesi.” Avete letto bene: un raid, cioè un assalto condotto dalla forza pubblica e/o dai militari! Come reagiscono le diplomazie europee? Non protestano, non si indignano, non richiamano: tacciono. La Convenzione di Vienna del 1961, cui enfaticamente ci si appellava un anno fa, è stata dunque retrocessa ad optional dai reggenti del sedicente mondo libero… o forse vale solo per gli altri, per i cattivi, per gli “infedeli” (al Dio dei finanzieri).
Non sta a noi giudicare le motivazioni del Presidente ecuadoregno Correa, che non fa mistero del proprio antiamericanismo (e la Gran Bretagna è, degli USA, il più fedele vassallo, dal punto di vista socio-economico e militare), né stabilire se l’australiano Julian Assange sia un idealista o un pataccaro.
In tanti sostengono che le sue celebrate “rivelazioni” sui metodi usati – in pace e in guerra – dai governi occidentali siano, in gran parte, prive di reale interesse (perché molte cose erano risapute), e che l’uomo sia mosso solo dalla brama di notorietà. Può darsi, in effetti, che i critici abbiano ragione, e l’esibizione “papale” di qualche giorno fa finirà magari per nuocere alla credibilità del personaggio; saremmo tentati di obiettare, però, che in un mondo ove la fama è alla portata di soggetti del calibro di un Briatore o di un’Elisabetta Canalis, si potevano forse scegliere vie meno disagevoli, se l’obiettivo era semplicemente comparire sui rotocalchi. Perseguito come un criminale di guerra nazista, Assange ha commesso un delitto che per la legge svedese sarà pure terribile, ma è piuttosto comune (e alcuni, più/meno sfigati di lui, perpetrano soltanto in sogno): ha fatto sesso con due belle donne che gli si erano offerte!
Spaventoso, eh? Le querelanti - una si chiama Anna Ardin, ed è una militante femminista dall’aspetto angelico - escludono qualsiasi costrizione o violenza da parte dell’uomo: pare che lui si sia educatamente rifiutato di indossare il preservativo (l’amplesso poi ci fu, e fu consensuale), e per questo rischia, nella migliore delle ipotesi, qualche anno di galera svedese. Rifugiatosi in Gran Bretagna, lo spione-giornalista-dongiovanni non è riuscito a seminare le erinni scandinave, che hanno preteso l’estradizione, puntualmente concessa dall’Alta Corte di Londra. Il sospetto, condiviso da molti sostenitori di Assange, è che la richiesta di Stoccolma sia una sorta di cavallo di troia (absit iniuria verbis) adoperato all’incontrario: dietro l’imputazione ridicola se ne nasconderebbe una ben più seria, quella di spionaggio, formulata dalla giustizia americana, e proprio gli Stati Uniti sarebbero, via Svezia, la destinazione finale del pacco Assange. Per evitare conseguenze serissime (in mani americane rischia una brutta fine), il nostro si è quindi rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador.
Ora, non vogliamo senz’altro affermare che il fondatore di Wikileaks sia vittima di una macchinazione, anche se parecchi indizi supportano questa tesi: ci teniamo solo a ribadire, una volta di più, che le appassionate prediche sulla libertà, i diritti umani e la democrazia sono dirette esclusivamente ai ceti medi non occidentali [1] e a chi, in Occidente, fa parte della servitù (il famoso 99%, cioè noi). Chi ci comanda è legibus solutus, tollera, al massimo, critiche innocue (così come i re medievali ridevano delle battute, irriverenti ma mai troppo, dei buffoni di corte), e fa esattamente ciò che gli pare.
Il fatto che a Julian Assange si voglia impartire una durissima lezione non implica, necessariamente, che i suoi file possano davvero nuocere -  talvolta, si sceglie di dare un esempio, e proprio la celebrità acquisita dall’australiano fa di lui un eccellente candidato alla punizione coram populo.
Rendendo un inferno la vita di quest’uomo – santo o saltimbanco che sia – si lancia un avvertimento agli altri, potenziali contestatori: vi concederemo il fatidico quarto d’ora di Hyde Park, non un minuto, non una parola, non una denuncia di più. Vale per tutti, dal giornalista che si crede libero allo stimato cultore del diritto che ha avuto il torto di esprimere un’obiezione di troppo alla verità mediaticamente rivelata.


[1] Quanto ai membri dell’elite, quelli troppo ingombranti vengono tolti di mezzo; per tutto il resto c’è mastercard (v. Siria)…


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