di Leonardo Boff
Dopo la festa, possiamo dire: il documento finale della Rio +20 presenta un menù generoso di suggerimenti e di proposte, senza nessun obbligo, con una dose di buona volontà commovente ma con una ingenuità analitica spaventosa e, direi, persino deplorevole. Non è una bussola che segna il «futuro che vogliamo» ma la direzione di un abisso. Tale risultato tronfio è un tributo alla credenza quasi religiosa che la soluzione dell’attuale crisi sistemica si trova nel veleno che l’ha prodotta: nell’economia. Non si tratta di economia in un senso trascendentale, come quella istanza che, in un modo o nell’altro, garantisce le basi materiali della vita. Ma dell’economia di tutti i giorni, quella realmente esistente che, negli ultimi tempi ha colpito tutte le istanze rimanenti (la politica, la cultura, e quella ’etica) e si è istallata sovrana come unico motore che fa andare la società. È la «Grande Trasformazione che già nel 1944 l’economista nordamericano di origine ungherese,
Karl Polanyi, denunciava vigorosamente. Questo tipo di economia copre tutti gli spazi della vita, si propone di accumulare ricchezza fino a non poterne più, strappando a tutti gli ecosistemi, fino al loro inserimento, tutto ciò che sia commerciabile e consumabile, mantenendosi in piedi attraverso la più feroce competizione. Davanti a questo caos, Ban Ki Moon, segretario generale dell’Onu, non si stanca di ripetere all’apertura delle conferenze: stiamo davanti all’ultima opportunità che abbiamo di salvarci. Enfaticamente nel 2011 a Davos, davanti ai «Signori del denaro e della guerra economica» dichiarò: “L’attuale modello economico mondiale è un patto di suicidio globale”. Albert Jacquard, noto genetista francese, ha intitolato così uno dei suoi ultimi libri: “Il conto alla rovescia è già cominciato?” (2009). Quelli che prendono le decisioni non danno la minima attenzione agli allarmi della comunità scientifica mondiale. Non si era mai visto uno scollamento tra scienza, politica e etica da una parte e economia dall’altra come ai nostri giorni. Questo mi riporta al commento cinico di Napoleone dopo la battaglia di Eylau al vedere migliaia di soldati morti sulla neve: “Una notte di Parigi compenserà tutto questo”. Loro continuano a recitare il credo: un po’ ancora di questa conomia, e presto usciamo dalla crisi. È possibile il patto tra l’agnello (l’ecologia) e il lupo (economia)? Tutto indica che è impossibile. Potete affibbiare tutti gli aggettivi che volete al tipo di economia in vigore, ‘sostenibile’, ‘verde’ e altri che però non ne muteranno la natura. Loro immaginano che limare i denti al lupo gli toglie la ferocia. Ma questa risiede non nei denti ma nella sua natura. La natura di quest’economia è volere crescere sempre, a dispetto della devastazione del sistema-natura e sistema-vita. Non crescere significa condannarsi a morire. Il fatto è che la Terra non ne può più di questi assalti sistematici a i suoi beni e servizi. A questo aggiungiamo l’ingiustizia sociale, altrettanto grave quanto l’ingiustizia ecologica. Un ricco ‘medio’ consuma 16 volte più che un povero ‘medio’.
Un africano ha 30 anni di aspettativa di vita meno di un europeo (Jaquard, 28). Davanti a tali crimini come non indignarsi e non esigere un cambiamento di direzione?
La Carta della Terra ci offre una direzione sicura: “Come mai prima di adesso nella storia, il destino comune ci chiama a raccolta per trovare un nuovo inizio.
Questo richiede un cambiamento nella mente e nel cuore; esige un nuovo senso di interdipendenza globale, di responsabilità universale… per raggiungere un modo sostenibile di vita ai livello locale, nazionale, regionale e globale” (finale). Mutare la mente implica un nuovo modo di guardare la Terra non come il “mondo-macchina” ma come un organismo vivo, la Terra-madre alla quale sono dovuti rispetto e cura. Mutare il cuore significa superare la dittatura della ragione tecnico-scientifica e riscattare la ragione sensibile dove risiede il sentimento profondo, la passione per il cambiamento dell’amore e il rispetto per tutto quello che esiste e vive. Al posto della concorrenza vivere nell’interdipendenza globale, altro nome per la cooperazione al posto dell’indifferenza, la responsabilità universale, cioè, decidere di affrontare insieme il rischio globale. Valgono le parole de del Nazareno: “Se non vi convertirete, perirete tutti” (Lc 13,5).
Leonardo Boff è autore di Proteggere la Terra-curare la vita. Come evitare la fine del mondo, Record 2011.
Al contrario,Carissimo: fino a quando la razionalità non subentrerà alla leva del sentimento, cioè avere le idee chiare sui processi, ed implementare algoritmi di svolgimento positivo degli stessi, non risolveremo il nodo delle decisioni politiche.
RispondiEliminaPerché sono basate sullo stesso principio che evoca Lei, la prevalenza del sentimento, che è impermeabile all'obiettività; per cui può trovarsi dal lato sbagliato della barricata e sostenere la propria parte infallibilmente.
La politica non viene valutata sulle conseguenze di quello che fa ma sulle proiezioni degli elettori;insomma sappiamo benissimo che si rivolge alla pancia e a tutti gli istinti originari della socialità:l'aggregazione,il tribalismo,l'appartenenza,l'esclusione,l' "altrismo",per fare qualche esempio.
Qui ci vogliono dosi massicce di oggettivazione per esplicitare agli utenti la formazione della falsa coscienza, la formazione della opinione pubblica e la reificazione della propria attività di produzione sociale,in cui vivono immersi e senza rendersene minimamente conto,inclusi molti "politici".
Altrimenti, saranno i fatti oggettivi ad aprire la strada a qualche scampolo di comprendonio o più prevedibilmente al panico di massa: la guerra a suo modo è una risorsa gaiana .
Quanto alla politica, guarda ai propri obiettivi in quanto corpo sociale più che all'oggettività di qualsiasi sorta,e valuta le cose secondo la loro attinenza ai propri scopi sociali.E' intrisecamente autoreferenziale.
E per mettere la ciliegina sul pastiche di cui sopra: la scienza,cioè i nostri cervelli, hanno impiegato millenni per mettersi sulla strada del pensiero razionale e ponderare il peso del soggetto sull'elaborazione e men che mai il processo si può considerare concluso.E dove si impara questa attitudine e questa tecnica? A scuola; e siamo a posto.
franzucca
Mah, chissà perché bisogna parlare così contorto per dire più o meno nulla... Che la politica venga fatta sulle proiezioni degli elettori è roba da giornale liberale, cioè da pensiero alla giornata. L'esempio più lampante che dimostra il contrario è il Pasok, che è crollato come non è mai crollato nessun partito della Storia e continua imperterrito la politica del crollo. I partiti non sono autoreferenziali, rappresentano classi sociali alle quali si riferiscono: borghesia proletariato o piccola borghesia, con tutte le sfumature possibile. Si tratta solo di delinearli e poi la favola della autoreferenzialità si sgretolerà da sola.
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