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domenica 2 settembre 2012

QUANTE DIVISIONI HA IL PD?



di Norberto Fragiacomo


Il fatto che il Partito Democratico sia diviso al suo interno è noto anche agli scolaretti: a volte le correnti paiono più numerose dei leader, o presunti tali, e sui temi sensibili i confronti degenerano sovente in penose baruffe. Che però nel PD esista una “Sinistra”, di provenienza DS, contrapposta alla palude centrista, mi sembra difficilmente sostenibile: i vari Fassina, Orfini e via dicendo (su Pippo Civati non mi pronuncio: sembra una persona seria, ma ultimamente lo si sente poco…) criticano spesso l’esecutivo ma poi, al momento topico, votano sì o approvano il voto del partito, corroborando l’opinione generale – cioè quella sponsorizzata dai media di regime – che non ci siano alternative a questa austerità. L’impressione è che Bersani, di cui sono fidati collaboratori, li abbia messi lì per intonare una sorta di controcanto, utile a rabbonire le masse di supporter delusi. Chi, come Stefano Fassina, dice (a L’infedele) che ritiene sbagliata la riforma dell’articolo 81, ma, fosse stato parlamentare, avrebbe comunque espresso voto positivo per “senso di responsabilità”, non è un oppositore: fa solo finta di esserlo. Chi non vede alternative al liberismo è nient’altro che un liberista recalcitrante. Non c’è alcuna linea verticale che tagli in due i democrats: sono gli atti, non parole gratuite, a stabilire chi è di destra e chi è di sinistra. Senza esagerare, potremmo concludere che Mario Monti ha regalato un’identità a chi ne era privo: l’appoggio al governo è la malta che tiene insieme la sbilenca costruzione veltroniana. Il carnivoro convinto (un Giuliano Ferrara, per intenderci) è, a suo modo, più rispettabile di quello riluttante che, dopo aver pianto sulla sorte degli animali macellati, si abbuffa comunque – perché scendere nella macelleria sottocasa è più comodo che mettersi a coltivare l’orto.  
Norberto Fragiacomo

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