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domenica 23 dicembre 2012

Saccheggi in Argentina: una (possibile) interpretazione, di Riccardo Achilli


di Riccardo Achilli

Mentre il fuoco dei saccheggi sembra in esaurimento (ad oggi, si parla di 292 negozi saccheggiati, 400 persone arrestate e tre deceduti), ci si chiede quali siano le radici ed i motivi di questa esplosione sociale. Governo ed opposizione si rimpallano le responsabilità: il Governo accusa alcuni sindacalisti di opposizione di aver fomentato gli sforzi. Ma non fornisce prove, che ovviamente se avesse sfoggerebbe senza indugio. Uno dei sindacalisti accusati dal kirchnerismo, Pablo Micheli, è un progressista moderato, difficilmente coinvolgibile in scontri di questo genere. Dal punto di vista politico, il municipio di Bariloche, dove è esploso il primo seme della rivolta, è stabilmente in mano al FPV, ovvero alla corrente peronista kirchnerista, confermata alle elezioni del 2011. Nel barrio periferico di Buenos Aires, San Frnando, alle elezioni del 2011 il kirchnerismo ha preso quasi il 54% dei voti, però il sindaco eletto nello stesso anno è un peronista che si oppone al kirchnerismo. In una delle province in cui si sono verificati i più intensi casi di saccheggio, il governatore è un socialista oppositore.
Certamente due cose sono chiarissime, ed incontestabili: la prima è che la situazione sociale dell'Argentina del 2012 è completamente diversa da quella delle rivolte del 2001, la fame estrema e l'indigenza più disperata sono state sconfitte dalle politiche progressiste della Kirchner. Oggi, le assegnazioni alimentari, il social housing, l'ampliamento molto forte della copertura assicurativa e previdenziale, hanno di fatto ridotto a quote molto marginali le fasce di indigenza vera e propria. Una condizione assolutamente incomparabile con il 2001, in cui interi segmenti del ceto medio erano precipitati nella miseria, senza copertura previdenziale e sanitaria. Gli indici di povertà, di distribuzione del reddito, di crescita economica ed occupazionale sono evidentemente la fotografia di una situazione sociale incontestabilmente migliore di quella del 2001. Parte rilevante dei saccheggi è stata mirata a appropriarsi di beni durevoli (televisori al plasma ed altra roba) più che cibo o beni primari, quindi tutto sembra tranne che una rivolta motivata dalla fame.
La seconda cosa chiara è che tali proteste evidenziano elevati livelli di capacità organizzativa, e quindi tutto sono tranne che spontanee. La convocazione ai saccheggi è passata tramite reti sociali, così come per il “bocca a bocca”. In numerosi casi, i beni depredati sono stati portati via non a mano, o con i carrelli dei supermercati saccheggiati, ma con automobili e camioncini appositamente posizionati a ridosso del supermercato aggredito. Tale organizzazione, però, non ha portato ad un chiaro orientamento di tipo “politico”. Sono stati saccheggiati soprattutto piccoli supermercati rionali di proprietà di piccoli borghesi, e non i grandi centri commerciali; spesso sono state incendiate le vetuste automobili dei lavoratori di tali supermercati.
Personalmente, ed a meno di novità, non credo che vi sia una matrice partitica o sindacale dietro ciò che è avvenuto. Credo che l'organizzazione dei saccheggi sia anche, in una certa parte, il frutto di penetrazione da parte della criminalità organizzata, così come anche una abitudine comunitaria e di quartiere che risale al 2001, e che rende tali eventi fin da subito molto ben organizzati. La verità è che sintomi dell'esplosione di tali eventi si erano già manifestati nelle scorse settimane. I festeggiamenti dei tifosi del Boca Juniors, qualche giorno fa (tifosi provenienti essenzialmente dal proletariato e sottoproletariato urbano), hanno portato ad atti di vandalismo ed anche qualche saccheggio. Qualche giorno fa, nella Capitale Federale, si sono verificati duri scontri fra manifestanti e polizia davanti alla Casa della provincia di Tucumàn. Per finire, a Bariloche, dove è scoppiato il primo seme della rivolta, il sindaco kirchnerista aveva chiesto, nei giorni precedenti, una “riparto volontario” di beni alla cittadinanza, da parte degli esercizi commerciali, evidentemente avendo sentore di un'onda di scontento in crescita.
Concordo invece con l'opinione di Mario Wainfeld, da Página 12. I tumulti di queste ore sono un prodotto, esasperato dal rallentamento della crescita che colpisce anche l'Argentina a causa della recessione globale, delle crescenti contraddizioni interne dei processi socialdemocratici messi in atto dal kirchnerismo, e non sono del tutto diversi da ciò che emerge in Uruguay. L'eliminazione progressiva delle condizioni più gravi di miserie e sottoccupazione fa emergere una nuova domanda sociale, che il kirchnerismo non riesce ad affrontare. Emerge una differenziazione interna alla classe lavoratrice fra precarietà e stabilità, un'ampia fascia di lavoratori in nero che sono stati emarginati dai benefici sociali portati dal kirchnerismo, gente priva di copertura sanitaria, o di ferie pagate, che sente la frustrazione in modo tanto più serio quanto più le politiche progressiste della Fernández conducono ad un miglioramento sociale evidente per i lavoratori legali e stabili. Nodi futuri che verranno al pettine sono ancora del tutto non affrontati dal kirchnerismo, come ad esempio i lavoratori che andranno in pensione nei prossimi dieci anni, senza adeguata copertura previdenziale a causa di periodi di disoccupazione e precarietà legati alla crisi attuale, o l'ampia quota di giovani NEET, non potranno che aggravare i problemi sociali lasciati irrisolti dal kirchnerismo.
L'accelerazione dell'inflazione, ben al di là dei dati truccati dall'INE, comporta pesanti effetti redistributivi sui percettori di reddito fisso, devastandone il potere di acquisto, con un effetto psicologico incrementato anche dalla ricorrenza consumistica natalizia, inducendoli alla rivolta. Ed anche la fiammata inflazionistica, che secondo alcuni si attesterebbe ad un tasso del 25%, secondo altri al 40%, è il frutto delle contraddizioni interne del kirchnerismo. Non voler risolvere in modo negoziale la questione del default parziale dichiarato, nei confronti di detentori di debito pubblico non residenti, nel 2003, è infatti la fonte di tale inflazione. La difficoltà di piazzare sui mercati internazionali i titoli del debito pubblico, come effetto di scarsa credibilità, ha portato ad un'ampia monetizzazione del debito pubblico, che naturalmente, accrescendo la massa monetaria, ha portato a maggiore inflazione. La massa monetaria totale in circolazione (M3), secondo i dati (forse artatamente sottostimati) del Governo argentino, risulta cresciuta del 27% fra ottobre 2011 e identico mese del 2012; fra la data del ripudio del debito (dicembre 2001) ad ottobre 2012, questa è cresciuta dell'888% (fonte: Banco Central de la República de Argentina).
Tale enorme massa monetaria aggiuntiva, oltre che indurre effetti inflazionistici di per sé, spinge verso il basso il tasso di cambio, nonostante i buoni risultati di bilancia commerciale. Il peso perde, rispetto al dollaro, quasi il 5% nell'ultimo anno. E perde il 18% circa rispetto all'euro. La svalutazione del peso, ovviamente, comporta tensioni ulteriori da inflazione importata. Ciò peraltro spiega, da un lato, le consistenti (e socialmente dannose) restrizioni amministrative imposte ai flussi di valuta estera in uscita, e dall'altro la preoccupazione per il comportamento delle banche, che potrebbero essere tentate, in questo scenario, di tesaurizzare, o esportare capitali, anziché favorire l'investimento.
I nodi del kirchnerismo, purtroppo, stanno venendo al pettine. O la Fernández è in grado di imprimere un'accelerazione, in senso radicale, alla sua svolta, affrontando le nascenti ingiustizie sociali della “seconda fase”, dopo la lotta vittoriosa contro la povertà più estrema, ed al contempo saprà trovare soluzioni negoziali per far tornare sul mercato internazionale il suo debito pubblico, tornando ad essere credibile, oppure sarà la stessa pressione popolare a far fallire tale esperimento.


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