di Riccardo Achilli
Mentre il fuoco dei
saccheggi sembra in esaurimento (ad oggi, si parla di 292 negozi
saccheggiati, 400 persone arrestate e tre deceduti), ci si chiede
quali siano le radici ed i motivi di questa esplosione sociale.
Governo ed opposizione si rimpallano le responsabilità: il Governo
accusa alcuni sindacalisti di opposizione di aver fomentato gli
sforzi. Ma non fornisce prove, che ovviamente se avesse sfoggerebbe
senza indugio. Uno dei sindacalisti accusati dal kirchnerismo, Pablo
Micheli, è un progressista moderato, difficilmente coinvolgibile in
scontri di questo genere. Dal punto di vista politico, il municipio
di Bariloche, dove è esploso il primo seme della rivolta, è
stabilmente in mano al FPV, ovvero alla corrente peronista
kirchnerista, confermata alle elezioni del 2011. Nel barrio
periferico di Buenos Aires, San Frnando, alle elezioni del 2011 il
kirchnerismo ha preso quasi il 54% dei voti, però il sindaco eletto
nello stesso anno è un peronista che si oppone al kirchnerismo. In
una delle province in cui si sono verificati i più intensi casi di
saccheggio, il governatore è un socialista oppositore.
Certamente due cose sono
chiarissime, ed incontestabili: la prima è che la situazione sociale
dell'Argentina del 2012 è completamente diversa da quella delle
rivolte del 2001, la fame estrema e l'indigenza più disperata sono
state sconfitte dalle politiche progressiste della Kirchner. Oggi, le
assegnazioni alimentari, il social housing, l'ampliamento molto forte
della copertura assicurativa e previdenziale, hanno di fatto ridotto
a quote molto marginali le fasce di indigenza vera e propria. Una
condizione assolutamente incomparabile con il 2001, in cui interi
segmenti del ceto medio erano precipitati nella miseria, senza
copertura previdenziale e sanitaria. Gli indici di povertà, di
distribuzione del reddito, di crescita economica ed occupazionale
sono evidentemente la fotografia di una situazione sociale
incontestabilmente migliore di quella del 2001. Parte rilevante dei
saccheggi è stata mirata a appropriarsi di beni durevoli (televisori
al plasma ed altra roba) più che cibo o beni primari, quindi tutto
sembra tranne che una rivolta motivata dalla fame.
La seconda cosa chiara è
che tali proteste evidenziano elevati livelli di capacità
organizzativa, e quindi tutto sono tranne che spontanee. La
convocazione ai saccheggi è passata tramite reti sociali, così come
per il “bocca a bocca”. In numerosi casi, i beni depredati sono
stati portati via non a mano, o con i carrelli dei supermercati
saccheggiati, ma con automobili e camioncini appositamente
posizionati a ridosso del supermercato aggredito. Tale
organizzazione, però, non ha portato ad un chiaro orientamento di
tipo “politico”. Sono stati saccheggiati soprattutto piccoli
supermercati rionali di proprietà di piccoli borghesi, e non i
grandi centri commerciali; spesso sono state incendiate le vetuste
automobili dei lavoratori di tali supermercati.
Personalmente, ed a meno
di novità, non credo che vi sia una matrice partitica o sindacale
dietro ciò che è avvenuto. Credo che l'organizzazione dei saccheggi
sia anche, in una certa parte, il frutto di penetrazione da parte
della criminalità organizzata, così come anche una abitudine
comunitaria e di quartiere che risale al 2001, e che rende tali
eventi fin da subito molto ben organizzati. La verità è che sintomi
dell'esplosione di tali eventi si erano già manifestati nelle scorse
settimane. I festeggiamenti dei tifosi del Boca Juniors, qualche
giorno fa (tifosi provenienti essenzialmente dal proletariato e
sottoproletariato urbano), hanno portato ad atti di vandalismo ed
anche qualche saccheggio. Qualche giorno fa, nella Capitale Federale,
si sono verificati duri scontri fra manifestanti e polizia davanti
alla Casa della provincia di Tucumàn. Per finire, a Bariloche, dove
è scoppiato il primo seme della rivolta, il sindaco kirchnerista
aveva chiesto, nei giorni precedenti, una “riparto volontario” di
beni alla cittadinanza, da parte degli esercizi commerciali,
evidentemente avendo sentore di un'onda di scontento in crescita.
Concordo invece con
l'opinione di Mario Wainfeld, da Página
12. I tumulti di queste ore sono un prodotto, esasperato dal
rallentamento della crescita che colpisce anche l'Argentina a causa
della recessione globale, delle crescenti contraddizioni interne dei
processi socialdemocratici messi in atto dal kirchnerismo, e non sono
del tutto diversi da ciò che emerge in Uruguay. L'eliminazione
progressiva delle condizioni più gravi di miserie e sottoccupazione
fa emergere una nuova domanda sociale, che il kirchnerismo non riesce
ad affrontare. Emerge una differenziazione interna alla classe
lavoratrice fra precarietà e stabilità, un'ampia fascia di
lavoratori in nero che sono stati emarginati dai benefici sociali
portati dal kirchnerismo, gente priva di copertura sanitaria, o di
ferie pagate, che sente la frustrazione in modo tanto più serio
quanto più le politiche progressiste della Fernández
conducono ad un miglioramento sociale evidente per i lavoratori
legali e stabili. Nodi futuri che verranno al pettine sono ancora del
tutto non affrontati dal kirchnerismo, come ad esempio i lavoratori
che andranno in pensione nei prossimi dieci anni, senza adeguata
copertura previdenziale a causa di periodi di disoccupazione e
precarietà legati alla crisi attuale, o l'ampia quota di giovani
NEET, non potranno che aggravare i problemi sociali lasciati
irrisolti dal kirchnerismo.
L'accelerazione
dell'inflazione, ben al di là dei dati truccati dall'INE, comporta
pesanti effetti redistributivi sui percettori di reddito fisso,
devastandone il potere di acquisto, con un effetto psicologico
incrementato anche dalla ricorrenza consumistica natalizia,
inducendoli alla rivolta. Ed anche la fiammata inflazionistica, che
secondo alcuni si attesterebbe ad un tasso del 25%, secondo altri al
40%, è il frutto delle contraddizioni interne del kirchnerismo. Non
voler risolvere in modo negoziale la questione del default parziale
dichiarato, nei confronti di detentori di debito pubblico non
residenti, nel 2003, è infatti la fonte di tale inflazione. La
difficoltà di piazzare sui mercati internazionali i titoli del
debito pubblico, come effetto di scarsa credibilità, ha portato ad
un'ampia monetizzazione del debito pubblico, che naturalmente,
accrescendo la massa monetaria, ha portato a maggiore inflazione. La
massa monetaria totale in circolazione (M3), secondo i dati (forse
artatamente sottostimati) del Governo argentino, risulta cresciuta
del 27% fra ottobre 2011 e identico mese del 2012; fra la data del
ripudio del debito (dicembre 2001) ad ottobre 2012, questa è
cresciuta dell'888% (fonte: Banco Central de la República
de Argentina).
Tale enorme massa
monetaria aggiuntiva, oltre che indurre effetti inflazionistici di
per sé, spinge verso il basso il tasso di cambio, nonostante i buoni
risultati di bilancia commerciale. Il peso perde, rispetto al
dollaro, quasi il 5% nell'ultimo anno. E perde il 18% circa rispetto
all'euro. La svalutazione del peso, ovviamente, comporta tensioni
ulteriori da inflazione importata. Ciò peraltro spiega, da un lato,
le consistenti (e socialmente dannose) restrizioni amministrative
imposte ai flussi di valuta estera in uscita, e dall'altro la
preoccupazione per il comportamento delle banche, che potrebbero
essere tentate, in questo scenario, di tesaurizzare, o esportare
capitali, anziché favorire l'investimento.
I nodi del kirchnerismo,
purtroppo, stanno venendo al pettine. O la Fernández
è in grado di imprimere un'accelerazione, in senso radicale, alla
sua svolta, affrontando le nascenti ingiustizie sociali della
“seconda fase”, dopo la lotta vittoriosa contro la povertà più
estrema, ed al contempo saprà trovare soluzioni negoziali per far
tornare sul mercato internazionale il suo debito pubblico, tornando
ad essere credibile, oppure sarà la stessa pressione popolare a far
fallire tale esperimento.
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