BENICOMUNISMO:
IL
SOCIALISMO DEL XXI SECOLO
di Stefano Santarelli
Sono usciti recentemente, editi dalla Massari Editore, due
libri estremamente interessanti per la riflessione di tutta la Sinistra
radicale. Si tratta del libro di Michele Nobile “Capitalismo e postdemocrazia” e di quello di Piero Bernocchi “Benicomunismo”.
In questo breve articolo tratteremo soltanto di alcuni
aspetti del testo di Bernocchi vista la complessità degli argomenti esposti che
non possono essere sintetizzati facilmente in questa sede.
In “Benicomunismo”
( un termine che nasce dal concetto della rivendicazione dei beni comuni dell’Umanità come possibile
socialismo del XXI secolo) lo storico leader dei COBAS esprime delle tesi molto
interessanti sul marxismo e sui miti che
ha costruito e che hanno permesso tra l’altro la nascita del totalitarismo
stalinista il quale non aveva nulla da invidiare a quello hitleriano oltre che offrire
una interessante analisi sulla situazione italiana e una profonda riflessione
sul futuro stesso dell’umanità.
I miti del marxismo
Il primo mito messo in evidenza
da Bernocchi è quello del “proletariato
unico” che viene visto come un corpo omogeneo, unito e indissolubile, unico
depositario degli interessi comuni dell’intera umanità dei “senza poteri e senza
proprietà” che con la dittatura del
proletariato e con l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di
produzione porrà termine alla lotta di
classe.
E’ una convinzione quella di Marx
così “granitica” che l’abolizione della proprietà privata e la dittatura del
proletariato possano porre termine alla lotta di classe che ne costituisce un
vero e proprio assioma religioso e che non prende neanche in considerazione
l’ipotesi della “possibilità che l’abolizione della proprietà privata e la
statalizzazione dell’intera economia potessero generare nella futura società
postcomunista altre classi, altre forme di proprietà, di alienazione e di
sfruttamento del lavoro salariato, altre modalità di dittatura, non del
proletariato ma sul proletariato, sulle masse popolari e sull’intera società”.
Un mito che inizia ad essere
sviluppato in quella sintesi del marxismo politico che è Il Manifesto del partito
comunista (1848) il quale costituisce un testo fondamentale per il
movimento comunista.
Qui Bernocchi sottolinea la
divaricazione tra “il rigore scientifico dell’analisi marxiana sulle radice
economiche della società, sulla struttura del capitalismo e dei suoi rapporti
di produzione, sulle ragioni basilari della lotta di classe tra operai e
capitalisti, sull’origine – il cuore geniale del marxismo – del plusvalore, del
profitto e dell’accumulazione del capitale” e un idealismo utopico in fondo figlio dell’idealismo hegeliano e
oseremo dire anche di quello platonico il quale inficia l’analisi materialista
di Marx ed Engels e che nasconde soltanto gli auspici, i desideri e le speranze
di questi grandi rivoluzionari.
Per Bernocchi il proletariato non era e non è una realtà
unica e cosciente di sé e dei propri compiti storici. Una coscienza che è
depositata in un’avanguardia comunista la cui intellighenzia proviene non dal proletariato, ma da quello
strato sociale che viene denominato piccola
borghesia.
Ma cosa s’intende per piccola borghesia?
Ora se noi definiamo Borghesia
capitalistica quella classe sociale che possiede i mezzi di produzione e il
capitale e Proletariato quella classe
proprietaria soltanto della propria forza-lavoro rimane un ampio strato della
popolazione, peraltro di gran lunga maggioritario, che definito in modo
dispregiativo piccola borghesia
include vasti e differenti ceti sociali intermedi. Ma dalla piccola-borghesia,
come sostiene giustamente Bernocchi, andrebbero esclusi tutti quei
“lavoratori/trici senza potere e senza
proprietà, né di mezzi di produzione o altro, i quali – nel lavoro
impiegatizio, in quello intellettuale dipendente ed anche in una larga serie di
professioni autonome – non si appropriano né del lavoro altrui, né di
plusvalore, né accumulino, valorizzandolo, un proprio capitale grazie al lavoro
salariato di una massa di dipendenti: il ché vale per la verità pure per molti
contadini o commercianti/negozianti o esercizi pubblici a conduzione
famigliare.”
Tale avversione che il marxismo ha nei confronti della
piccola-borghesia nasconde in fondo un meccanismo di rimozione psicologica proprio
perché è da questo strato sociale che vengono reclutati tutti i quadri
rivoluzionari.
E non si può non sottolineare negli scritti di Marx ed
Engels, in fondo uomini del XIX secolo, non solo il riconoscimento della
funzione rivoluzionaria e progressista della borghesia, ma anche il profondo
eurocentrismo che come fa notare Bernocchi nasconde un velato razzismo oltre a
sottovalutare i disastri ambientali e naturali che la “rivoluzionaria”
borghesia stava preparando:
“Con il rapido miglioramento di tutti gli strumenti di
produzione, con le comunicazioni infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civiltà anche le nazioni più barbare (…)
Essa costringe tutte le nazioni ad adottare le forme della produzione borghese
se non vogliono perire, e ad introdurre nei loro paesi la cosiddetta civiltà,
cioè a farsi borghesi (…) La borghesia ha assoggettato la campagna al dominio
della città. Ha creato città enormi, ha grandemente accresciuto la popolazione
urbana in confronto con quella rurale, e così ha strappato una parte notevole della popolazione all’idiotismo della
vita rustica. Come ha assoggettato la campagna alla città, così ha reso dipendenti dai popoli civili
quelli barbari e semibarbari, i popoli contadini dai popoli borghesi,
l’Oriente dall’Occidente”. (Il manifesto del partito comunista)
Il crollo incombente del capitalismo pronosticato dal Manifesto non è avvenuto nonostante che
siano passati quasi due secoli dalla sua stesura, anzi si è esteso in tutto il
mondo. Una vitalità questa del capitalismo che ci fa rendere pessimisti sul
futuro dell’umanità.
D’altronde non vi è niente di scientifico nell’affermare che
la lotta di classe conduca “necessariamente alla dittatura del proletariato” e
che tale dittatura (un orrendo vocabolo per l’umanità che
ha vissuto le tragedie del XX secolo) sia “il
passaggio alla soppressione di tutte le classi e a una società senza classi”.
E’ una tesi questa totalmente illuminista nella quale vi è un ottimismo
infondato sulla natura umana con la convinzione che mutando l’organizzazione
sociale terminerebbe lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo mentre molto più
realisticamente bisogna ammettere che i conflitti sociali tra gli individui non
spariranno mai. Ricordiamo, senza scomodare Jared Diamond, che a differenza di
qualsiasi specie animale l’uomo non solo è in grado di uccidere immotivatamente
e con inutile crudeltà, ma che è l’unica specie che ha inventato e pratica con
piacere la tortura.
La concezione marxista del proletariato destinato a fondare
questo paradiso in terra e che viene visto come una entità unica, dotato di una
coscienza politica collettiva dallo sviluppo capitalistico porterà fatalmente
alle tragedie che caratterizzeranno tutta la storia del movimento comunista a
partire dalla Rivoluzione russa. Ed è questa concezione che farà nascere un
altro mito quello del Partito-Unico, del Partito-Stato, del Partito-Custode
vero ed unico detentore della verità
socialista e degli interessi del proletariato. Una concezione questa del
predominio e della centralità del partito che è presente già nello stesso Marx
prima ancora della degenerazione staliniana e che neanche la grande Rosa Luxemburg
metteva in discussione.
D’altronde non si può non citare la famosa tesi di Roberto Massari,
che condivido pienamente, che il celebre partito bolscevico non fu un partito
rivoluzionario, ma un partito centrista il quale sotto la pressione di
avvenimenti storici eccezionali, si trovò a codirigere un’autentica rivoluzione
sociale, operaia e comunista. Infatti prima del ritorno di Lenin nell’aprile del 1917 i dirigenti bolscevichi “agivano non come
rappresentanti di un partito proletario che si prepari ad iniziare con la
propria autorità una lotta per il potere, ma come l’ala sinistra della
democrazia che, proclamando i suoi principi, si dispone per un periodo di tempo
indeterminato a sostenere la parte di una leale opposizione.” Il 2 marzo al
Soviet di Pietrogrado “su circa quattrocento deputati solo diciannove votarono
contro la trasmissione del potere alla borghesia, mentre la frazione bolscevica
aveva già quaranta delegati. E anche questi voti contrari passarono completamente
inosservati, con una procedura formalmente parlamentare, senza chiare
controproposte da parte dei bolscevichi, senza lotta e senza una qualsiasi
agitazione sulla stampa bolscevica.” (Trotsky- Storia della Rivoluzione
Russa).
Questo a conferma che prima
dell’Aprile 1917 il Partito bolscevico aveva una linea centrista, come
testimonia Trotsky nel suo celebre testo, che viene abbandonata dopo che Lenin
fa passare non senza difficoltà le celebri Tesi di Aprile riorientando così il
Partito bolscevico in senso rivoluzionario.
Ma a partire dal dicembre 1917 i bolscevichi ritornano su
posizioni centriste che si trasformarono in poco tempo in posizioni sempre più
reazionarie, fino a diventare un vero e proprio partito controrivoluzionario,
anticomunista ed antilibertario. D’altronde nella storia non sono mai esistiti
partiti autenticamente rivoluzionari.
Infatti il Partito bolscevico sostenne solo per pochi mesi la
parola d’ordine “tutto il potere ai soviet” e la teoria della Rivoluzione
Permanente. Lo stesso Lenin, prima ancora della degenerazione stalinista,
cominciò a lottare contro i Comitati di Fabbrica, contro i Soviet e contro
tutti i partiti russi che insieme a quello bolscevico avevano diretto la
Rivoluzione Russa.
Lo stalinismo completò in modo più
organizzato e sistematico tale degenerazione e con onestà intellettuale bisogna
ammettere che il grande Trotsky capì molto poco di questa situazione in tutti gli
anni ’20 facendosi complice politico del massacro di Kronštadt.
Perciò non è un caso che la dittatura del proletariato in tutti i paesi che hanno prodotto una
rivoluzione socialista (dalla Russia alla Cina fino a Cuba) si sia tradotta nei fatti nella dittatura sul proletariato esercitato da
una burocrazia comunista lontana dagli interessi dei lavoratori.
Una burocrazia che si è caratterizzata nella costruzione non
del socialismo, ma di un capitalismo di
stato vero ed infernale regime monocratico responsabile dei più disgustosi genocidi che
la storia umana ricordi paragonabili solo a quelli nazisti. Regimi diretti da
un Partito-Unico il quale è proprietario dei mezzi di produzione e che impedisce
qualsiasi sia pur minima libertà democratica come si può ben osservare oggi in Cina
in modo più netto rispetto all’Est europeo novecentesco.
E di quanto consenso popolare godevano tali regimi lo
abbiamo potuto osservare nel 1989 con il crollo del muro di Berlino che ha
visto la rapida disintegrazione di questi regimi e dei loro apparati politici.
Tutta questa concezione viene prevista e messa in
discussione dal più geniale rivale di Marx cioè Michajl Bakunin che nel suo
celebre Stato e anarchia (1874) ne metteva in evidenza le
contraddizioni:
“Lassale e Marx
raccomandano ai lavoratori la fondazione di uno stato popolare che come hanno
spiegato, non sarebbe altro che “il proletariato elevato al rango di casta
dominante”. Se il proletariato diverrà la casta dominante sopra chi dominerà?
Ciò significa che rimarrà ancora un altro proletariato sottomesso a questa
nuova dominazione, a questo nuovo Stato (…) Che cosa vuol dire il proletariato
organizzato in casta dominante? E mai possibile che l’intero proletariato si
ponga alla testa del governo? Che tutto il popolo governi e non ci siano governati? Questo dilemma è risolto
semplicisticamente nella teoria marxiana, Con governo popolare essi intendono
il governo del popolo da parte di un piccolo numero di rappresentanti eletti..
L’universale diritto di elezione dei sedicenti rappresentanti del popolo e dei
governanti dello Stato è una bugia che nasconde il dispotismo di una minoranza
dirigente tanto più pericolosa in quanto si presenta come l’espressione della
cosiddetta volontà del popolo. Così da qualsiasi parte si esamini la questione
si arriva sempre allo stesso spiacevole risultato: al governo da una parte di
una minoranza privilegiata sull’immensa maggioranza delle masse popolari. (…)
il cosiddetto Stato popolare non sarà altro che il governo dispotico sulla
massa del popolo da parte di un’aristocrazia nuova e molto ristretta di veri o
Pseudo scienziati. (…).
E così per emancipare
le masse popolari si dovrà prima di tutto soggiogarle (…) Affermano che solo la
dittatura, la loro naturalmente, può creare la libertà del popolo; rispondiamo
che nessuna dittatura può avere altro fine che quello della propria
perpetuazione e che essa è capace solo di generare e di coltivare la schiavitù
del popolo che la subisce.”
Parole profetiche queste di Bakunin che se accolte avrebbero
evitato le illusioni, le tragedie e i genocidi che il socialismo del XX secolo
ha provocato.
Invece come sappiamo questo causò la scissione del 1872-74
dell’Associazione Internazionale dei lavoratori cioè della Prima
Internazionale. Una scissione dalle conseguenze nefaste le cui responsabilità
sono da attribuire totalmente a Marx e che ha spalancato le porte alla prima
vera e tragica divisione del movimento operaio.
Il ceto politico
Ma se nei paesi del cosiddetto socialismo reale abbiamo
avuto ed abbiamo (Cina e Cuba) un Partito-Stato che ha espropriato i cittadini
dei loro diritti e della loro forza-lavoro,confermando, se ce ne fosse bisogno
che non può esistere socialismo senza democrazia come non può esistere
democrazia senza socialismo anche nei paesi occidentali la democrazia politica non
gode di buona salute come sappiamo benissimo.
Infatti abbiamo funzionari del capitale nazionale che pur
non godendo di forme giuridiche di proprietà individuale sulla ricchezza
pubblica nei fatti posseggono il capitale nazionale decidendo l’impiego e la
distribuzione della ricchezza prodotta. E come fa notare Bernocchi “anche nei
paesi europei a pluripartitismo istituzionale l’imposizione di leggi elettorali
bipolari ha progressivamente spazzato
via dalle istituzioni un effettivo pluralismo, creando qualcosa non solo assai
vicino al bipartitismo tra eguali del
modello Usa,ma anche simile ai Partiti-Stato, differenziandosi in correnti,
degli ex Paesi ‘socialisti’ ”.
Si è costruito così nei paesi occidentali un ceto politico sempre più omologato ed
interscambiabile sul modello statunitense e grazie in Italia a un falso
bipartitismo si è accelerato
l’unificazione di questo ceto politico vero gestore della ricchezza
nazionale in stretta connessione con il Capitale privato. Una struttura così onnipresente
(dalla Circoscrizioni al Parlamento, dalle industrie di Stato alle Banche) che
costituisce nei fatti una vera e propria borghesia
di stato la quale gestisce senza nessun controllo l’immenso capitale
nazionale “pubblico”. E a questa borghesia di stato bisogna aggiungere la
burocrazia sindacale che costituisce un’altra parte della Casta politica.
E quando si parla a torto della crisi irreversibile della
forma-partito non si comprende che tale forma certamente è mutata non solo con
il cambio del nome e della ragione sociale facendo però restare immutato il suo
personale politico. La professionalizzazione della politica e la trasformazione
in Casta del suo personale se ne hanno modificato i programmi non hanno fatto
perire questa forma per gli interessi
concreti dei loro professionisti.
Tale mutazione non toglie nulla quindi alla validità di
questa forma che rimane utile non più tanto per la difesa di una parte degli
interessi e obiettivi di una parte della società, ma proprio per la difesa
dell’interesse capitalistico nazionale.
Insomma un vero e proprio gioco delle parti dove nessuno
tocca il Sistema e con un personale politico e sindacale di provenienza
comunista e socialista e che è pienamente inserito nella gestione complessiva
del capitale “pubblico” nazionale.
Mentre la cosiddetta sinistra
radicale istituzionale (Sel,Pdci,Prc) non solo è subordinata a questo
sistema, ma ne dipende cronicamente per la sua stessa esistenza.
Così abbiamo Sel che costituisce un’alleanza elettorale con
il Partito democratico e il Psi, un fantasma di partito più inesistente del
celebre Cavaliere di Calvino, per prepararsi ad un governo con Monti e i
democristiani di Casini. E dall’altra parte assistiamo alla confusa nascita
della lista Rivoluzione Civile che vede
la partecipazione di forze estremamente eterogenee fra di loro che vanno dai
vecchi Forchettoni Rossi di Rifondazione /PdCI fino a forze borghesi come l’IdV. Una lista guidata
dal magistrato Ingroia, politicamente parlando un perfetto sconosciuto, il
quale viene visto da molti militanti della sinistra radicale come il nuovo
salvatore della patria facendoci ricordare la celebre frase di Bertold Brecht:
“Guai a quel paese che ha bisogno di eroi.”
La forma-Movimento
Ma con il 1968 nasce il movimento politico di massa una
nuova forma in grado contrariamente ai movimenti precedenti dell’ottocento di
potere camminare da solo senza l’onnipotente guida del partito essa infatti
“assumeva in sé le funzioni di coscienza e di autoconsapevolezza, senza
delegarle più all’esterno. Persino i sostenitori del ruolo ineliminabile e
cruciale del Partito-coscienza dovettero ammettere (o comunque bon gré mal
gré, accettare) che il Movimento potesse compiere un cammino completo di auto
emancipazione, giungendo progressivamente ad avere una strategia per
l’esistente, trovando cammin facendo alleanze, obiettivi organici e generali,
programmi antisistema.”
E il ’68 ebbe in Italia il merito di smantellare le ammuffite
strutture studentesche ed universitarie, mettendo in crisi la sinistra
riformista del Pci e Psi, del sindacato e la stessa sinistra radicale dell’epoca
modificando e cambiando in meglio tutta la società. La successiva
frammentazione in vari gruppi e gruppetti politici ne attenuò l’impatto,
tuttavia la forma-Movimento conservò la sua forza effettiva e simbolica tra il
’69 e ’77, terminando con il rapimento di Aldo Moro.
Come osserva Bernocchi i COBAS, nati nel 1987 da un grande
movimento di massa dei lavoratori della Scuola pubblica che non era mai
comparso sulla scena italiana precedendo tra l’altro il Movimento della Pantera del ‘90, in fondo sono un prodotto di
questi due movimenti e costituiscono una originale forma sindacale-politica che
non ha riscontri in altri paesi europei. Ricordiamo che questo sindacato non ha
funzionari pagati, ma vive solo dell’impegno volontario dei suoi aderenti.
Ma ritornando alla forma-Movimento essa si è sviluppata a
livello internazionale con caratteristiche antiliberiste e anticapitaliste a
partire dal Wto di Seattle del dicembre 1999 da cui è nato il Movimento dei
Forum mondiali e che rappresenta oggi una delle poche vere speranze per opporsi
alle barbarie di un capitalismo incapace di offrire una alternativa alla
distruzione del nostro pianeta.
Basti pensare alla contraddizione tra l’enorme sviluppo
tecnico e scientifico di tutto il novecento che potrebbe permettere all’umanità
di liberarsi dalla schiavitù del lavoro che lo stesso Keynes aveva previsto
quando nel lontano 1930 prospettò un futuro in cui tre ore al giorno sarebbero
state sufficienti per una produzione sufficiente per il benessere della
società:
“ Il problema
economico non è il problema permanente della razza umana. Gli indefessi
creatori di ricchezza potranno portarci tutto, al loro seguito, in seno
all’abbondanza economica. (…) Per
ancora molte generazioni l’istinto del vecchio Adamo rimarrà così forte in noi
che avremo bisogno di qualche lavoro per essere soddisfatti. Turni di tre ore
al giorno e settimana lavorativa di quindici ore possono tenere a bada il problema per un buon periodo di tempo
(…) Quando l’accumulazione di ricchezza
non rivestirà più un significato sociale importante, interverranno profondi
mutamenti nel codice morale. L’amore per il denaro come possesso, e non come
mezzo per godere i piaceri della vita, sarà considerato una passione morbosa,
un po’ ripugnante, una di quelle propensioni a metà criminali e a metà
patologiche che si consegnano con un brivido allo specialista di malattia
mentali (…) Rivaluteremo i fini sui
mezzi e preferiremo i beni sull’utile. (J.M. Keynes – Prospettive economiche sui nostri
nipoti, 1930)
Oggi è quindi più che mai attuale la celebre espressione di
Rosa Luxemburg “Socialismo o Barbarie”
che sono effettivamente le due uniche alternative che il futuro può riservare
all’umanità.
Con una crescita demografica senza precedenti (7 miliardi di
abitanti nel nostro pianeta vale a dire 35 volte le presenze di 25 secoli fa)
con una previsione di 9 miliardi a metà di questo secolo la distruzione della
vita sulla Terra è una ipotesi maledettamente realistica.
A maggior ragione se
si considera che lo sviluppo barbarico del capitalismo sta distruggendo tutto
il nostro ecosistema senza considerare la possibilità, che purtroppo non è
fantascientifica, di un olocausto nucleare. Infatti dopo la chiusura del
“secolo breve” con il crollo del muro di Berlino si può affermare che con la 1°
Guerra del Golfo del 1991 è iniziata una fase di guerra permanente e globale
che non può renderci ottimisti per il futuro dell’umanità.
Il libro di Bernocchi come si può tranquillamente vedere da questa presentazione spazia veramente a 360°, è un libro per i temi che tratta estremamente complesso, ma che merita di essere letto con attenzione da tutti coloro che vogliono cambiare lo stato di cose esistente.
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