MANIPOLAZIONE DI GUERRA
Lo strano caso dell’Osservatorio Siriano per i diritti dell’uomo
di Olga Tamburini
Una persona che vive a Londra, segue le vicende via web e attraverso un cellulare, ha relazioni con il ministro degli esteri inglesi ed è finanziato da un fondo a Dubai, è in contatto con i Fratelli Musulmani e Ong alle dipendenze del Congresso degli Stati Uniti. Cosa c’entra con la Siria? È la principale fonte di informazione dei media italiani e occidentali, tra accuse e smentite mai arrivate di notizie propagandistiche e operazioni di manipolazione mediatica. Un solo nome: Osservatorio Siriano per i diritti dell’uomo.
Un anno fa, nel gennaio 2012, il giornalista Johnatan Steele lanciava dalle colonne del “The Guardian” una riflessione sullo stato dell’informazione proveniente dall’area siriana, sottolineando come “la copertura dei media” occidentali fosse diventata “un'arma di propaganda contro la Siria”. Una voce fuori dal coro nella stampa inglese, che analizzava in maniera critica l’approccio di parte dei media anglosassoni al conflitto siriano (facilmente estendibile a tutta l’area occidentale), soffermandosi sull’omissione di notizie importanti o quanto meno non trascurabili, come le manifestazioni pro Assad svoltesi in quel periodo e un sondaggio commissionato dal Qatar in cui la maggioranza della popolazione siriana si diceva apertamente contraria alla destituzione di Bashar, pubblicato solo da “Muslim News”. Erano ancora vive le memorie della Libia e – con un piccolo balzo nel passato – quelle dell’Iraq; si riavvolgeva il nastro sulle varie fasi dei conflitti in cui ci si nascondeva sotto l’etichetta usurata dell’ “esportazione della democrazia” o della lotta manichea contro il terrorismo, conflitti indotti e preceduti da guerre non convenzionali attentamente orchestrate. Complici le associazioni per i diritti umani - completamente cieche di fronte alle voci dei dissidenti in altre parti del mondo meno comode o di irrilevante interesse strategico - la stampa e le reti di attivisti in grado di rilasciare relazioni che riportavano altre testimonianze senza il minimo riscontro sul campo.
Tutta questa serie di incongruenze, soprattutto dopo l’esperienza libica, hanno spostato l’attenzione di una parte della stampa occidentale sulle possibili manipolazioni di guerra in Siria, tentando di dare rilievo a notizie in genere omesse o considerate irrilevanti dal circuito tradizionale dei media (i legami dei ribelli con la Cia e i finanziamenti, la massiccia infiltrazione di gruppi di Al Qaeda, la provenienza dei mercenari – ricordiamo per il 95% non siriana e legata a gruppi integralisti -, le incongruenze rilevate in numerose occasioni, dalla strage di Hula a quella del pane, la posizione dei cristiani in Siria). Un tentativo di rompere il muro creato da un’informazione non solo di parte (non a caso la parte sostenuta dall’Occidente), ma inattendibile e senza verifica delle notizie. Come dire: tutte le informazioni cruciali e le notizie sulla guerra (numero dei morti, partecipazione alle manifestazioni antigovernative, feriti), informazioni che dovrebbero essere riscontrate o avere quanto meno osservatori diretti, passano ancora oggi attraverso canali tutt’altro che fondati. Nel caso della Siria, i dubbi sono stati sollevati da diverse parti ma difficilmente alcune notizie hanno superato il filtro della cosiddetta informazione. Ancora oggi capita di ascoltare notizie o leggere articoli dove si cita come fonte attendibile quella che potrebbe sembrare un’organizzazione dal nome suggestivo, Osservatorio siriano per i diritti dell’uomo (OSDH, Observatoire Syrien des Droits de l’Homme), che rimanderebbe, nell’immaginario collettivo, a una capillare e fitta rete di agenzie informative ma in realtà fa capo a un solo uomo, Rami Abdel Rahman, ufficialmente un imprenditore, che “non possiede né formazione giornalistica né giuridica e neppure istruzione secondaria”. Questo personaggio - il cui vero nome è Osama Ali Suleiman - vive a Coventry e da solo riuscirebbe a gestire la moltitudine di informazioni provenienti dall’area del conflitto utilizzando come canali la televisione, il telefono, skype e il web. Un raccoglitore di informazioni insomma, cosa ancora più anomala non provenienti da giornalisti accreditati (nessuna ombra di quelli di guerra e indipendenti) ma da circa 200 attivisti dei diritti umani che raccolgono testimonianze di seconda mano e le trasmettono successivamente a Londra.
Fonte attendibile? Autonoma? L’Osservatorio non è registrato come Ong, opera in maniera informale ed è finanziato da un fondo di Dubai in cui l’Arabia Saudita ha versato 130 miliardi di dollari per favorire le famigerate primavere arabe. Ha stretti legami con il Ministero degli esteri britannico, con Ong che dipendono direttamente dal Congresso degli Stati Uniti e con i Fratelli Musulmani (come dimostrato ampiamente da Tony Cartalucci in diversi articoli e nel volume Obiettivo Siria). L’osservatorio è stato ritenuto poco attendibile dagli stessi ribelli: Marinella Correggia si è soffermata sulla presa di distanza degli stessi da Abel Rahman: “Il famoso Osservatorio siriano per i diritti umani ha due teste ora platealmente in lotta fra loro e due siti con “notizie” divergenti. I due siti sono www.syriahr.org e www.syriahr.net (o anche syriahr.com). Il primo si definisce “sito ufficiale dell’Osservatorio”. Il secondo… anche, precisando di essere “l’unico sito ufficiale”. Sulla qualità dei video e delle notizie del cosiddetto esercito libero, persino il gruppo di intelligence degli Stati Uniti mainstream “Stratfor” già nel settembre 2011 metteva in guardia sulla grossolanità e l’esagerazione dei ribelli, chiara prova, secondo gli analisti, della debolezza dell’opposizione siriana. Per noi chiara prova di un’informazione a tratti surreale, in cui i media propongono quotidianamente come fonte attendibile un solo uomo che vive a Londra legato direttamente e indirettamente agli Stati che appoggiano da anni un inasprimento del conflitto mediorientale su base regionale (guarda caso le altre fonti attendibili sarebbero al-Jazeera e al-Arabiya, i megafoni del Qatar e degli Emirati Arabi). Questioni abbastanza semplici e ovvie in quelle che amiamo ancora definire democrazie. Forse, quando l'ennesima missione“umanitaria” avrà fine, rimarrà profonda una riflessione sullo stato dell’informazione occidentale.
NOTE
Bell'articolo, complimenti! :-)
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