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giovedì 28 marzo 2013

PER UN (POSSIBILE) SOCIALISMO DEL XXI SECOLO??? di Riccardo Achilli





PER UN (POSSIBILE) SOCIALISMO DEL XXI SECOLO???
di Riccardo Achilli


Il quadro che emerge dall'ultima tornata elettorale, con l'affermazione, di dimensioni straordinarie, del M5S, lo squagliamento definitivo degli ultimi rimasugli di sinistra rifondarola/movimentista bertinottiana nella sua ultima versione (Rc di Ingroia), il risultato non certo esaltante di SEL, che supera la soglia per portare una pattuglia di parlamentari solo in virtù dell'appartenenza ad una coalizione, l'ormai definitivo superamento di qualsiasi residua ambizione di ricostituire un polo politico cattolico in grado di ricostruire una egemonia sulla nostra società (gli scorati commenti dell'Osservatore Romano rispetto al risultato elettorale di Monti e il declino inarrestabile di qualsiasi precedente tentativo di radicamento di poli centristi cattolici ne sono la prova) è qualcosa su cui riflettere profondamente, e che forse segna il superamento della dicotomia tradizionale, novecentesca, fra destra e sinistra. E che probabilmente richiede anche un profondo cambiamento del lessico con cui siamo abituati ad identificare le diverse posizioni politiche. 

Il movimento grillino non è inquadrabile come movimento di sinistra o di destra, e nemmeno rispetto alle categorie tradizionali di riformisti sociali, più o meno radicali, riformisti liberali oppure conservatori, più o meno corporativi o autoritari. Emerge qualcosa rispetto a cui dobbiamo ancora trovare le definizioni giuste, frutto di un blocco sociale eterogeneo che rompe definitivamente gli ultimi blocchi novecenteschi cui le nostre analisi poggiavano. Questo qualcosa di nuovo è probabilmente il frutto dell'emergere impetuoso, ma privo di rappresentanza politico/sindacale adeguata, di un proletariato del general intellect, le cui modalità di riproduzione e di sfruttamento non passano più tramite la "spremitura" di una energia lavorativa, con modalità di organizzazione del lavoro standardizzate e ripetitive, come succedeva all'operaio fordista, ma anche all'impiegato "di concetto" novecentesco (basta guardare un qualsiasi film di Fantozzi per vedere come, nel secolo scorso, anche il ceto impiegatizio fosse sottoposto ad una forma peculiare di taylorismo). Le modalità di sfruttamento di questo nuovo proletariato del general intellect passano per il tramite dello sfruttamento della propria intelligenza, della propria preparazione culturale e della propria capacità di elaborare in modo creativo e comunicare in modo efficace informazioni e conoscenze. Lo sfruttamento di questo nuovo proletariato deve quindi passare tramite organizzazioni del lavoro diametralmente opposte rispetto a quelle neofordiste novecentesche, che ne flessibilizzino gli orari ed i tempi di lavoro e di consegna del prodotto richiesto dal datore di lavoro, e che trovino l'equilibrio ideale fra autonomizzazione del singolo lavoratore intellettuale ed esigenza crescente di interazione di gruppo, unica forma attraverso la quale la creatività del singolo può trovare una espressione compiuta in un "prodotto intellettuale" perfettamente definito ed idoneo alla valorizzazione di mercato. Tutto ciò passa per una crescente integrazione dei segmenti "superiori" di tale proletariato (dotati cioè di conoscenze particolarmente pregiate e preziose) dentro meccanismi lavorativi apparentemente di tipo autoimprenditoriale (ma spesso totalmente di tipo subordinato, si pensi al rapporto fra franchisee e franchisor, fra falsa partita Iva, o del professionista in monocommittenza o con committenza principale e suo datore di lavoro unico o primario) e il confinamento de segmenti "più facilmente sostituibili" dentro il girone infernale del precariato a vita. In questo senso, anche i tradizionali confini fra questo nuovo proletariato e settori importanti della piccola borghesia produttiva tendono ad essere sempre più labil: il franchisee, il padroncino di un motopoesca o di un camion hanno oramai solo l'illusione di essere piccoli imprenditori autonomi, mentre sempre più dipendenti, dal franchisor, oppure dal consorzio/azienda con cui hanno stiulato un accordo di associazione in partecipazione, o di joint venture meramente fittizio, e che in realtà finiscono per essere dei dipendenti a tutti gl ieffetti, e peraltro molto sfruttati. 

Questo ceto sociale emergente, a metà fra proletariato e piccola borghesia impoverita e depotenziata, in campo politico, non ha più identificazione ideologica o identitaria, perché le sue modalità lavorative gli impediscono di identificare con chiarezza un "nemico di classe", totalmente diverso da sè, rispetto al quale autodefinire i propri interessi e la propria identità, e quindi una forma di solidarietà di lotta collettiva. Non ha, a differenza dei nuovi proletariati del general intellect degli altri grandi Paesi europei (Francia, Spagna, Germania, Olanda, Gran Bretagna) una capacità di lettura complessiva del quadro politico, e quindi una capacità di riconoscere i propri interessi nei programmi del socialismo democratico,  perché questa capacità di lettura, nel caso specifico dell'Italia, è stata minata da 20 anni di II Repubblica, con la demagogia corporativa sociale ed anche territoriale di Berlusconi e della Lega, un postcomunismo e postsocialismo incapaci di differenziare la propria offerta politica rispetto al centrodestra (ed addirittura molto spesso all'inseguimento dei temi del centrodestra, si pensi all'adozione del federalismo per cercare di depotenziare la Lega) e capaci solo di identificarsi in uno sterile e moralistico antiberlusconismo e con una sinistra radicale da operetta, prona al fascino della poltrona e incapace di andare culturalmente oltre un movimentismo di base condito da riferimenti ideologici oramai superati dalla storia.

Questo ceto emergente del general intellect, senza storia politica, senza capacità di lettura politica d'insieme né esperienza di mobilitazione e lotta unitaria, non si riconosce più nel tradizionale dualismo sinistra/destra, ma in una serie di richieste concrete, spesso incoerenti l'una con l'altra, nel senso che, ad esempio, richieste di maggiore giustizia sociale (p. es. il RMG) si scontrano con un giustizialismo qualunquista contro categorie comunque relativamente "deboli" (l'impiegato pubblico che è per definizione un parassita, il pensionato odiato perché si sa che non si potrà mai più riottenere una pensione decente, ad un'età ancora ragionevole), oppure perché richieste di maggiore partecipazione democratica dal basso si accompagnano con una crescente fascinazione per un leaderismo caciccaro sudamericano, che di democratico e partecipativo non ha assolutamente niente, anzi ne è il contrario.

Emerge quindi una piattaforma politica confusa, che non può nemmeno considerarsi sia pur confusamente di sinistra, ideologicametne ibrida, piena di incoerenze e contraddizioni, accompagnata da rabbia istintiva, di per sè poco suscettibile di ragionamento e di capacità di percepire le sfumature, le differenze, la profondità delle questioni. Si tratta quindi di una tendenza politico/sociale di fondo che, in queste sue fasi iniziali, se non adeguatamente governata e diretta, può forse anche dare luogo a derive pericolose, socialmente e violente ed autoritarie. Sulla sostanza, però, in questa confusione emergono richieste di giustizia sociale, nel senso di una avversione per privilegi politico/amministrativi stratificatisi nella fase welfaristica e statalista del capitalismo del secondo dopoguerra, che ha ovviamente condotto, in modo direi fisiologico, alla formazione di una burocrazia politico/amministrativa/sindacale autoreferenziale, e non di rado corrotta (tale deriva, a ben vedere, si verifica in ogni capitalismo di Stato). Vi sono poi esigenze redistributive, che assumono la forma di una richiesta di riforma del sistema del welfare pubblico su misura di questo nuovo ceto segnato da precarietà ed instabilità (un welfare che è ancora modellato sugli schemi stabili della vecchia società fordista, che nelle proposte grillesche viene superato/arricchito da elementi come il reddito minimo garantito accompagnato da strumenti di formazione permanente, riqualificazione e reinserimento lavorativo, opure come il salario minimo garantito, tipici di società a alto livello di flessibilità ed instabilità socio-lavorativa), una richiesta di allentamento dell'ortodossia dell'austerità, che in un mercato del lavoro altamente flessibilizzato diventa una tragedia sociale immane, ed al contempo di maggiore partecipazione dal basso (a questi ultimi elementi io collego l'ostilità all'euro che attraversa numerosi grillini, in una società, come quella italiana, che è tradizionalmente fra le più europeiste di Europa e da sempre esterofila, specie nelle sue componenti più scolarizzate costituenti il nucleo del proletariato del general intellect che sostiene Grillo: in realtà, nella mente di molti elettori o militanti di base grillini l'euro diventa il simbolo di un'Europa dirigista, tecnocratica e segnata dal rigore monetarista e liberista, non di una ostilità all'idea di Europa di per sè).

In altri Paesi, come la Francia, queste istanze sono governate dal socialismo, più o meno moderato, che infatti, sia nelle proposte programmatiche e nelle politiche del Psf e di Hollande che, in parte, in quelle del Front de Gauche, riprende temi come la lotta alla burocrazia di Stato, la revisione del welfare per rispondere alla società del general intellect e dell'instabilità, ecc. In Italia, in assenza di un socialismo democratico, queste istanze sono portate avanti da un pericoloso pagliaccio, innervato da tentazioni autoritarie e, lasciatemelo dire, anche sovversive del quadro politico/istituzionale della nostra democrazia, come Grillo, ed il suo "game boy", ovvero il lungocrinito Casaleggio. E ovviamente questi due personaggi, per certi versi improvvisati, per altri versi tragici, danno alle istanze dei ceti emergenti del general intellect una direzione per molti versi pericolosa, o addirittura idiota: il RMG si finanzia tagliando salari, dipendenti pubblici ed addirittura la CIG (pur essendo questa pagata da lavoratori ed imprese, non dalla fiscalità generale), per ridare efficienza all'economia si pensa di introdurre la disastrosa Agenda 2010 imposta dall'allora cancelliere Schroeder (e non a caso esaltata di recente dall'iperliberista Hans-Werner Sinn, capo economista dell'IFO), i difetti e le lungaggini del nostro parlamentarismo si risolvono liquidando fasi e procedure che hanno il ruolo di difendere guarentigie e diritti super partes, addirittura con un linguaggio non molto diverso da quello della "demoplutocrazia" di mussoliniana memoria (come il pessimo Crimi, che dice "finalmente abbiamo svegliato il vecchietto", riferendosi alle consultazioni di Napolitano). 

Il compito della ricostruzione del socialismo in Italia passa quindi per dare rappresentanza alle richieste del ceto emergente del "general intellect", correggendo e cancellando le contraddizioni antidemocratiche, autoritarie o demagogiche, giustizialiste, qualunquiste o stupidamente antieuropee che pure risiedono dentro il corpo elettorale del M5S, e che i due capelloni informatizzati che lo dirigono non fanno niente per correggere (anzi, le esaltano). Sapendo che in questo nuovo quadro, in futuro, l'avversario non sarà più la destra corporativa, istintuale e rozza di Berlusconi/Bossi (che le inchieste sulla composizione sociale del voto vedono sempre più isolata in categorie sociali marginali e declinanti, le casalinghe, i pensionati a basso livello di scolarizzazione e reddito, alcuni gruppi che vivono prevalentemente di vecchio assistenzialismo con i tradizionali meccanismi di voto di scambio e consociativismo politico, specie nelle regioni più povere del Sud, meccanismi però che l'esaurimento delle risorse finanziarie pubbliche per mantenere in piedi il circuito di spesa assistenziale/consenso stanno distruggendo, l'operaio del Nord che vede nella globalizzazione il suo nemico, e che si illude che il ritorno al Borgo Medievale proposta dalla Lega sia una difesa). I "ceti medi produttivi", la piccola borghesia della piccola impresa, dell'artigianato, del commercio, delle libere professioni, infatti, abbandona Berlusconi (di cui è stata per anni il pilastro) e si rivolge sempre più a Grillo. Il vero avversario politico del futuro sarà il liberismo oligarchico e tecnocratico delle élite finanziarie globali, e di quei segmenti della borghesia nazionale ad esse asservite, in particolare l'élite dirigente della grande finanzia e di ciò che resta della grande industria. 

L'avversario politico del futuro, secondo me, avrà quindi più la faccia di Monti che quella di Berlusconi, e la contrapposizione politica fondamentale del XXI secolo sarà probabilmente fra riformisti pragmatici e democratici del general intellect e conservatori oligarchici della grande finanza. E per favore liberiamoci del dibattito da piccolo pollaio di Paese Europa si/Europa no. Oggi l'unica speranza di ricostruire il socialismo sta in Europa. L'unica speranza di combattere la finanza speculativa ed aggressiva (la stessa che peraltro ha finanziato, con proventi spesso di origine malavitosa, la stessa economia cipriota, con le conseguenze che sono sotto i nostri occhi) sta in un'Europa che mutualizzi i debiti, si dia regole comuni di politica fiscale e di bilancio, si dia una regolamentazione restrittiva sui mercati finanziari, che elimini o disincentivi molti dei giochetti e degli strumenti speculativi tossici che hanno generato l'attuale crisi. Se ce ne stiamo tutti quanti chiusi dentro le nostre piccole frontiere nazionali, ci facciamo fregare uno dopo l'altro, perché sarebbe come voler conquistare il Governo nazionale con una lotta politica tutta quanta mirata a conquistare e governare il Comune di Castelluccio inferiore.



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