LE NOZZE CON I FICHI SECCHI
di
Riccardo Achilli
Non me la sento proprio di
associarmi al coro di voci entusiaste per il discorso programmatico del nuovo
governo. Francamente, mi è sembrato un discorso vago, fatto di tante promesse,
costruito per dare un colpo al cerchio ed uno alla botte al fine di tenere
insieme le varie anime politiche che dovranno sostenerlo. Un discorso molto
simile a quello che facevano i governicchi pentapartitici della prima
repubblica, anche e soprattutto quelli di tipo balneare. Dove si promette molto,
promettere non costa niente, si sogna sulle ali di un'idea vaga di felicità per
tutti, tanto sognare non fa male. Ho avuto qualche incontro di striscio con
Enrico Letta, come tutti quelli che hanno studiato e frequentato il S. Anna di
Pisa, ed a prescindere dalle posizioni politiche ho sempre avuto l'idea di una
persona fredda, efficiente, metodica, obiettiva, con i piedi per terra,
abituata a ragionare sui dati di fatto, ostile all'emotività che pure c'è in
politica. Mi ritrovo oggi con la perfetta imitazione di un leader
democristiano, che con la sua retorica pacata ed ecumenica ci fa galleggiare
sull'etereo tessuto delle illusioni a buon mercato e delle emozioni, tessuto
che inevitabilmente si strappa alla prima tensione, e sotto il quale c'è il nulla.
Aver annunciato il blocco della
rata dell'IMU di giugno è una operazione puramente politica, nel senso
deteriore del termine, cioè mirata ad oliare l'alleanza parlamentare a sostegno
del Governo, il termine di scambio preteso da Berlusconi per far nascere
l'operazione-Letta. E come tutte le operazioni tattiche di tipo partitocratico,
tipiche della prima Repubblica, è intrinsecamente precaria ed ha effetti
stabilizzanti solo nell'immediato, non certo nel medio periodo. Incassato il
risultato, il “falco” del PDL, Brunetta, ha subito rilanciato, impegnandosi
personalmente non ad un mero blocco di una singola rata finalizzato a rivedere
il meccanismo dell'IMU, ma addirittura a cancellare del tutto l'IMU sulla prima
casa. Annunciando quindi guai di tenuta politica per il prossimo futuro, che
con la sua mossa Letta aveva pensato di scongiurare nell'immediato.
Anche solo il mero blocco della
rata di giugno costa circa 4 miliardi all'erario. Non c'è nessuna indicazione,
da parte di Letta, su come coprire il buco di gettito che si produrrà.
L'ipotesi del PDL di finanziare l'operazione con un inasprimento dell'imposta
unica sui giochi e dell'accisa sul tabacco è una coperta enormemente corta, e
Brunetta lo sa bene, tanto che, intervistato specificamente su tale punto, si
limita a scaricare sul Governo la responsabilità di trovare la copertura
finanziaria. L'accisa sui tabacchi vale già circa 14 miliardi di gettito, ed è
giunta al livello massimo di tiraggio, in un mercato in cui, peraltro, il
consumo di tabacco è in significativa e continua decrescita per via della
crisi. L'imposta unica sui giochi vale, già oggi, qualcosa come 11-12 miliardi
di gettito, ed è anch'essa arrivata al limite massimo di utilizzabilità, anche
perché, peraltro, ci sono segnali che tale imposizione fiscale stia fortemente
incentivando il giro dei giochi e delle scommesse clandestine. Evidentemente,
dall'ulteriore inasprimento di tali imposte, così come dal taglio dei costi
della politica, potranno si e no venire alcune centinaia di milioni di euro,
forse un miliardo (il tanto vituperato finanziamento pubblico ai partiti vale,
per le politiche del 2012, appena 159 milioni di euro, praticamente il costo
della realizzazione di un paio di tunnel autostradali, fra 1994 e 2012 è
costato 2,3 miliardi di euro, cioè la metà di una rata dell'IMU, ovvero la
stratosferica cifra, udite udite, di 127 milioni di euro all'anno. Per fare un
paragone, rifinanziare la CIG in deroga costerebbe 13 volte più del costo annualizzato del
finanziamento dei partiti). Tutti questi piccoli rattoppi contabili
rappresentano solo obiettivi ideologici e demagogici, in una lotta cieca e
furibonda contro i partiti e le loro classi dirigenti, e certo sono ampiamente
insufficienti per finanziare la rinuncia alla rata dell'IMU di giugno,
figuriamoci per finanziare l'abolizione totale dell'IMU sulla prima casa.
Tra l'altro, occorrerebbe
ricordare che c'è un problema di tempistica: poiché l'IMU è il principale
strumento fiscale con cui i Comuni finanziano i servizi essenziali, dall'asilo-nido
ai servizi socio-assistenziali, passando per i trasporti pubblici e la polizia
municipale, eliminare il gettito immediato che l'IMU avrebbe consentito a
giugno, per sostituirlo con future entrate alternative, che produrranno effetti
sul bilancio solo in un secondo momento, significa privare fin da subito le
amministrazioni comunali italiane di risorse fondamentali per tenere in piedi
servizi essenziali alla tenuta sociale del Paese, obbligandole a tagliare le
prestazioni, in attesa che vengano reperite le eventuali risorse sostitutive.
Ed il tutto senza tener conto dell'intrinseca iniquità di abolire il pagamento
di un'imposta sia per il poveraccio che ha 40 metri quadrati al Corviale, sia
per chi ha, come prima casa, una villa con parco e piscina in Costa Smeralda.
Quindi delle due l'una: se il patto di stabilità interno non verrà toccato (e
Letta non ha accennato alla possibilità di toccarlo) o la rata soppressa
dell'IMU sarà recuperata con un pesante taglio di spesa pubblica corrente con
effetti immediati (quindi sostanzialmente con un taglio ulteriore sui consumi
intermedi, che però ha impatti sociali negativi, basti pensare al tema dei
tanti precari nella P.A.) oppure una parte consistente del mancato gettito sarà
trasformata in un ulteriore taglio orizzontale ai già esangui servizi
essenziali che i Comuni riescono ancora a fornire, con effetti pesanti sulla
qualità della vita e la coesione sociale, specie per le classi sociali più
deboli, e per i territori meno sviluppati del Mezzogiorno.
A meno che Letta non
pensi di trovare la quadra con operazioni di privatizzazione di ciò che resta
del patrimonio imprenditoriale pubblico, ma anche in questi casi, al di là di
ovvie considerazioni circa l'ulteriore indebolimento della capacità di fare
politiche industriali di interesse nazionale che ciò comporta (Letta finge di
ignorare il fatto che il c.d. Decreto-Monti sulla golden share dà al governo
una capacità di controllo sulle imprese pubbliche privatizzate ben inferiore al
possesso della quota di capitale di controllo) le privatizzazioni producono
effetti finanziari solo dopo 9 mesi-un anno dal loro lancio (in condizioni
normali, non certo in una fase di crisi come quella attuale, in cui piazzare
sul mercato grossi pacchetti azionari è particolarmente difficile, o poco
conveniente per il venditore) mentre il taglio dell'IMU comporta effetti
finanziari immediati, che solo il taglio dei servizi pubblici locali può
compensare subito.
Più in
generale, tagliare l'IMU, reperire risorse per il taglio del costo del lavoro
sui neoassunti, ed al contempo risolvere il problema degli esodati e
rifinanziare la CIG in deroga, non parliamo poi
trovare le risorse per un reddito minimo per le famiglie bisognose, o
per i precari, il tutto salvaguardando i vincoli europei di pareggio
strutturale del bilancio, come pretende di fare Letta, richiede l'apertura di
un negoziato con la Ue per rivedere i nostri impegni, a partire dall'esigenza
di riscadenzare di almeno due anni il percorso di convergenza sugli obiettivi
di pareggio di bilancio pattuiti. Ma con un Governo che ha Saccomanni,
rappresentante delle banche, all'Economia, ed il montiano Moavero agli Affari
Europei, è più che legittimo dubitare che ci sarà una iniziativa autonoma per
rinegoziare i tempi del processo di convergenza. In concreto, il percorso di
crescita nel risanamento finanziario di cui parla Letta ci verrà imposto, nelle
forme, nei tempi e negli importi, dall'Europa, senza che il nostro governo
possa fare alcunché, tranne ringraziare per le concessioni che gli verranno
fatte, non importa se queste saranno di piccola entità, ed insufficienti a far
ripartire la nostra provata economia. Una nuova fase delle politiche europee,
più orientata alla crescita, sia pur se condizionata al mantenimento del rigore
(e quindi di per sé troppo timida, e poco efficace per riattivare la crescita
nei Paesi PIIGS come il nostro) si realizzerà semplicemente perché tutti,
tranne la destra bancaria e politica tedesca, hanno capito che senza tale
percorso l'euro e l'intera costruzione europea sono destinati a saltare per
aria. In tutto ciò, il governo di Letta
sarà soltanto un passivo spettatore, che però probabilmente porterà a casa il
dividendo politico di decisioni di ammorbidimento dell'austerità, sia pur di
scarsa significatività per il nostro paese, prese in sedi in cui l'Italia è
chiamata solo a venire per dire di sì.
Uscendo
dal campo economico, per analizzare le proposte di riforma istituzionale,
ancora una volta non si può non notare la vaghezza del percorso che dovrebbe addirittura
ridisegnare strutturalmente il nostro sistema parlamentare, superando il
bicameralismo perfetto, ed inevitabilmente analizzando proposte di
presidenzialismo che piacciono moltissimo al principale azionista del
governo-Letta, ovvero Berlusconi, e rivedendo ex novo la divisione delle
competenze e le relazioni fra Stato e Regioni. Si tratterebbe di trovare
soluzione a tali aspetti di fondo, riscrivendo da capo la parte seconda della
Costituzione, ed al contempo di trovare soluzione al tema della riforma della
legge elettorale, che si trascina senza esiti dal 2006, affidandosi ad una
convenzione parlamentare che somiglia moltissimo alla sciagurata Bicamerale di
dalemiana memoria, naufragata miseramente fra una crostata e l'altra. Tale
convenzione, poi, sarebbe addirittura guidata da Berlusconi, ovvero il soggetto
che pervicacemente, in questi anni, ha fatto saltare qualsiasi accordo di
riforma istituzionale che non fosse aderente ai suoi personalissimi interessi,
e che con una legge elettorale come il Porcellum si ritrova benissimo, perché
tale legge gli assicura, per la sua natura strutturale, e per la distribuzione
geografica del voto del centrodestra, una rappresentanza parlamentare, e
l'assenza di una maggioranza ostile al Senato, tali da farlo vincere anche
quando perde (come dimostrano le elezioni del 2006 e quelle del febbraio
scorso). Direi che come minimo le condizioni di partenza per una riforma
strutturale dello Stato e della legge elettorale siano poco promettenti. E se
poi Letta pensasse davvero di poter sostituire in corsa l'appoggio fornito dal
PDL con quello del M5S, sbaglierebbe due volte, sia perché il M5S non glielo
fornirebbe, sia perché dovrebbe poi pensare di cosa farne dei cinque ministri
pidiellini che ha in forza il suo Governo, oltretutto in ministeri-chiave.
Su
tutta questa trama di velleità senza contenuti e vaghe dichiarazioni di
principio, si innesta poi il tema della durata prevedibile di questo Governo.
Che dipende dalla tenuta dell'accordo fra Berlusconi e Napolitano, quindi
essenzialmente dalle vicende giudiziarie del Cavaliere. Fra un anno, quando le
misure propagandistiche di cancellazione dell'IMU e di “umanizzazione” del
comportamento di Equitalia avranno prodotto i loro effetti sui
cittadini-elettori, e quando Berlusconi avrà ottenuto un sufficiente
rallentamento dei suoi processi, tale da evitargli di dover andare ad una
campagna elettorale con una condanna sul groppone, il Cavaliere sarà preso
dalla tentazione inarrestabile di far saltare il tavolo del Governo-Letta, e di
andare ad elezioni per vincerle, quale che sarà la legge elettorale in vigore
(e non è del tutto peregrino pensare, per quanto detto sopra, che per allora ci
sarà ancora il Porcellum). La storia ha insegnato a Berlusconi che il miglior
modo per difendere i propri interessi personali è quello di avere la
maggioranza politica. E peraltro la caduta del governo Letta potrebbe preludere
alle dimissioni di Napolitano (che chiaramente, alle soglie dei 90 anni, rimane
in sella soltanto per garantire la continuità di Letta) aprendo un'autostrada
di collegamento diretto fra Arcore ed il Quirinale. Il tutto è troppo
allettante perché Berlusconi si acconci, per più di qualche mese, o al massimo
di un anno, ad un ruolo di comprimario, chiamato a tenere in piedi il nipotino
di Gianni a tempo indefinito, sperando nei buoni uffici di Napolitano rispetto
ai suoi processi. E se Letta non dovesse superare l'anno di governo, la maggior
parte dei suoi propositi più innovativi, a partire dal reddito minimo per
finire con la riforma dello Stato, finirebbero semplicemente nella pattumiera
della storia. Dimenticati, per molti altri anni.
Il
tempo dei democristiani è finito. Il tempo delle promesse fumose, dei sogni
vuoti, dei governi senza un programma degno di questo nome, che si reggono su
nobili dichiarazioni ed opachi accordi di corridoio, non farà avanzare il Paese
verso la Terza Repubblica. Lo terrà nella palude stigia della stagnazione
perenne.
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