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martedì 30 aprile 2013

LE NOZZE CON I FICHI SECCHI di Riccardo Achilli





LE NOZZE CON I FICHI SECCHI
 di
Riccardo Achilli


Non me la sento proprio di associarmi al coro di voci entusiaste per il discorso programmatico del nuovo governo. Francamente, mi è sembrato un discorso vago, fatto di tante promesse, costruito per dare un colpo al cerchio ed uno alla botte al fine di tenere insieme le varie anime politiche che dovranno sostenerlo. Un discorso molto simile a quello che facevano i governicchi pentapartitici della prima repubblica, anche e soprattutto quelli di tipo balneare. Dove si promette molto, promettere non costa niente, si sogna sulle ali di un'idea vaga di felicità per tutti, tanto sognare non fa male. Ho avuto qualche incontro di striscio con Enrico Letta, come tutti quelli che hanno studiato e frequentato il S. Anna di Pisa, ed a prescindere dalle posizioni politiche ho sempre avuto l'idea di una persona fredda, efficiente, metodica, obiettiva, con i piedi per terra, abituata a ragionare sui dati di fatto, ostile all'emotività che pure c'è in politica. Mi ritrovo oggi con la perfetta imitazione di un leader democristiano, che con la sua retorica pacata ed ecumenica ci fa galleggiare sull'etereo tessuto delle illusioni a buon mercato e delle emozioni, tessuto che inevitabilmente si strappa alla prima tensione, e sotto il quale c'è il nulla.

Aver annunciato il blocco della rata dell'IMU di giugno è una operazione puramente politica, nel senso deteriore del termine, cioè mirata ad oliare l'alleanza parlamentare a sostegno del Governo, il termine di scambio preteso da Berlusconi per far nascere l'operazione-Letta. E come tutte le operazioni tattiche di tipo partitocratico, tipiche della prima Repubblica, è intrinsecamente precaria ed ha effetti stabilizzanti solo nell'immediato, non certo nel medio periodo. Incassato il risultato, il “falco” del PDL, Brunetta, ha subito rilanciato, impegnandosi personalmente non ad un mero blocco di una singola rata finalizzato a rivedere il meccanismo dell'IMU, ma addirittura a cancellare del tutto l'IMU sulla prima casa. Annunciando quindi guai di tenuta politica per il prossimo futuro, che con la sua mossa Letta aveva pensato di scongiurare nell'immediato.

Anche solo il mero blocco della rata di giugno costa circa 4 miliardi all'erario. Non c'è nessuna indicazione, da parte di Letta, su come coprire il buco di gettito che si produrrà. L'ipotesi del PDL di finanziare l'operazione con un inasprimento dell'imposta unica sui giochi e dell'accisa sul tabacco è una coperta enormemente corta, e Brunetta lo sa bene, tanto che, intervistato specificamente su tale punto, si limita a scaricare sul Governo la responsabilità di trovare la copertura finanziaria. L'accisa sui tabacchi vale già circa 14 miliardi di gettito, ed è giunta al livello massimo di tiraggio, in un mercato in cui, peraltro, il consumo di tabacco è in significativa e continua decrescita per via della crisi. L'imposta unica sui giochi vale, già oggi, qualcosa come 11-12 miliardi di gettito, ed è anch'essa arrivata al limite massimo di utilizzabilità, anche perché, peraltro, ci sono segnali che tale imposizione fiscale stia fortemente incentivando il giro dei giochi e delle scommesse clandestine. Evidentemente, dall'ulteriore inasprimento di tali imposte, così come dal taglio dei costi della politica, potranno si e no venire alcune centinaia di milioni di euro, forse un miliardo (il tanto vituperato finanziamento pubblico ai partiti vale, per le politiche del 2012, appena 159 milioni di euro, praticamente il costo della realizzazione di un paio di tunnel autostradali, fra 1994 e 2012 è costato 2,3 miliardi di euro, cioè la metà di una rata dell'IMU, ovvero la stratosferica cifra, udite udite, di 127 milioni di euro all'anno. Per fare un paragone, rifinanziare la CIG in deroga costerebbe  13 volte più del costo annualizzato del finanziamento dei partiti). Tutti questi piccoli rattoppi contabili rappresentano solo obiettivi ideologici e demagogici, in una lotta cieca e furibonda contro i partiti e le loro classi dirigenti, e certo sono ampiamente insufficienti per finanziare la rinuncia alla rata dell'IMU di giugno, figuriamoci per finanziare l'abolizione totale dell'IMU sulla prima casa.
Tra l'altro, occorrerebbe ricordare che c'è un problema di tempistica: poiché l'IMU è il principale strumento fiscale con cui i Comuni finanziano i servizi essenziali, dall'asilo-nido ai servizi socio-assistenziali, passando per i trasporti pubblici e la polizia municipale, eliminare il gettito immediato che l'IMU avrebbe consentito a giugno, per sostituirlo con future entrate alternative, che produrranno effetti sul bilancio solo in un secondo momento, significa privare fin da subito le amministrazioni comunali italiane di risorse fondamentali per tenere in piedi servizi essenziali alla tenuta sociale del Paese, obbligandole a tagliare le prestazioni, in attesa che vengano reperite le eventuali risorse sostitutive. Ed il tutto senza tener conto dell'intrinseca iniquità di abolire il pagamento di un'imposta sia per il poveraccio che ha 40 metri quadrati al Corviale, sia per chi ha, come prima casa, una villa con parco e piscina in Costa Smeralda. Quindi delle due l'una: se il patto di stabilità interno non verrà toccato (e Letta non ha accennato alla possibilità di toccarlo) o la rata soppressa dell'IMU sarà recuperata con un pesante taglio di spesa pubblica corrente con effetti immediati (quindi sostanzialmente con un taglio ulteriore sui consumi intermedi, che però ha impatti sociali negativi, basti pensare al tema dei tanti precari nella P.A.) oppure una parte consistente del mancato gettito sarà trasformata in un ulteriore taglio orizzontale ai già esangui servizi essenziali che i Comuni riescono ancora a fornire, con effetti pesanti sulla qualità della vita e la coesione sociale, specie per le classi sociali più deboli, e per i territori meno sviluppati del Mezzogiorno. 
A meno che Letta non pensi di trovare la quadra con operazioni di privatizzazione di ciò che resta del patrimonio imprenditoriale pubblico, ma anche in questi casi, al di là di ovvie considerazioni circa l'ulteriore indebolimento della capacità di fare politiche industriali di interesse nazionale che ciò comporta (Letta finge di ignorare il fatto che il c.d. Decreto-Monti sulla golden share dà al governo una capacità di controllo sulle imprese pubbliche privatizzate ben inferiore al possesso della quota di capitale di controllo) le privatizzazioni producono effetti finanziari solo dopo 9 mesi-un anno dal loro lancio (in condizioni normali, non certo in una fase di crisi come quella attuale, in cui piazzare sul mercato grossi pacchetti azionari è particolarmente difficile, o poco conveniente per il venditore) mentre il taglio dell'IMU comporta effetti finanziari immediati, che solo il taglio dei servizi pubblici locali può compensare subito.
Più in generale, tagliare l'IMU, reperire risorse per il taglio del costo del lavoro sui neoassunti, ed al contempo risolvere il problema degli esodati e rifinanziare la CIG in deroga, non parliamo poi  trovare le risorse per un reddito minimo per le famiglie bisognose, o per i precari, il tutto salvaguardando i vincoli europei di pareggio strutturale del bilancio, come pretende di fare Letta, richiede l'apertura di un negoziato con la Ue per rivedere i nostri impegni, a partire dall'esigenza di riscadenzare di almeno due anni il percorso di convergenza sugli obiettivi di pareggio di bilancio pattuiti. Ma con un Governo che ha Saccomanni, rappresentante delle banche, all'Economia, ed il montiano Moavero agli Affari Europei, è più che legittimo dubitare che ci sarà una iniziativa autonoma per rinegoziare i tempi del processo di convergenza. In concreto, il percorso di crescita nel risanamento finanziario di cui parla Letta ci verrà imposto, nelle forme, nei tempi e negli importi, dall'Europa, senza che il nostro governo possa fare alcunché, tranne ringraziare per le concessioni che gli verranno fatte, non importa se queste saranno di piccola entità, ed insufficienti a far ripartire la nostra provata economia. Una nuova fase delle politiche europee, più orientata alla crescita, sia pur se condizionata al mantenimento del rigore (e quindi di per sé troppo timida, e poco efficace per riattivare la crescita nei Paesi PIIGS come il nostro) si realizzerà semplicemente perché tutti, tranne la destra bancaria e politica tedesca, hanno capito che senza tale percorso l'euro e l'intera costruzione europea sono destinati a saltare per aria.  In tutto ciò, il governo di Letta sarà soltanto un passivo spettatore, che però probabilmente porterà a casa il dividendo politico di decisioni di ammorbidimento dell'austerità, sia pur di scarsa significatività per il nostro paese, prese in sedi in cui l'Italia è chiamata solo a venire per dire di sì.

Uscendo dal campo economico, per analizzare le proposte di riforma istituzionale, ancora una volta non si può non notare la vaghezza del percorso che dovrebbe addirittura ridisegnare strutturalmente il nostro sistema parlamentare, superando il bicameralismo perfetto, ed inevitabilmente analizzando proposte di presidenzialismo che piacciono moltissimo al principale azionista del governo-Letta, ovvero Berlusconi, e rivedendo ex novo la divisione delle competenze e le relazioni fra Stato e Regioni. Si tratterebbe di trovare soluzione a tali aspetti di fondo, riscrivendo da capo la parte seconda della Costituzione, ed al contempo di trovare soluzione al tema della riforma della legge elettorale, che si trascina senza esiti dal 2006, affidandosi ad una convenzione parlamentare che somiglia moltissimo alla sciagurata Bicamerale di dalemiana memoria, naufragata miseramente fra una crostata e l'altra. Tale convenzione, poi, sarebbe addirittura guidata da Berlusconi, ovvero il soggetto che pervicacemente, in questi anni, ha fatto saltare qualsiasi accordo di riforma istituzionale che non fosse aderente ai suoi personalissimi interessi, e che con una legge elettorale come il Porcellum si ritrova benissimo, perché tale legge gli assicura, per la sua natura strutturale, e per la distribuzione geografica del voto del centrodestra, una rappresentanza parlamentare, e l'assenza di una maggioranza ostile al Senato, tali da farlo vincere anche quando perde (come dimostrano le elezioni del 2006 e quelle del febbraio scorso). Direi che come minimo le condizioni di partenza per una riforma strutturale dello Stato e della legge elettorale siano poco promettenti. E se poi Letta pensasse davvero di poter sostituire in corsa l'appoggio fornito dal PDL con quello del M5S, sbaglierebbe due volte, sia perché il M5S non glielo fornirebbe, sia perché dovrebbe poi pensare di cosa farne dei cinque ministri pidiellini che ha in forza il suo Governo, oltretutto in ministeri-chiave.
Su tutta questa trama di velleità senza contenuti e vaghe dichiarazioni di principio, si innesta poi il tema della durata prevedibile di questo Governo. Che dipende dalla tenuta dell'accordo fra Berlusconi e Napolitano, quindi essenzialmente dalle vicende giudiziarie del Cavaliere. Fra un anno, quando le misure propagandistiche di cancellazione dell'IMU e di “umanizzazione” del comportamento di Equitalia avranno prodotto i loro effetti sui cittadini-elettori, e quando Berlusconi avrà ottenuto un sufficiente rallentamento dei suoi processi, tale da evitargli di dover andare ad una campagna elettorale con una condanna sul groppone, il Cavaliere sarà preso dalla tentazione inarrestabile di far saltare il tavolo del Governo-Letta, e di andare ad elezioni per vincerle, quale che sarà la legge elettorale in vigore (e non è del tutto peregrino pensare, per quanto detto sopra, che per allora ci sarà ancora il Porcellum). La storia ha insegnato a Berlusconi che il miglior modo per difendere i propri interessi personali è quello di avere la maggioranza politica. E peraltro la caduta del governo Letta potrebbe preludere alle dimissioni di Napolitano (che chiaramente, alle soglie dei 90 anni, rimane in sella soltanto per garantire la continuità di Letta) aprendo un'autostrada di collegamento diretto fra Arcore ed il Quirinale. Il tutto è troppo allettante perché Berlusconi si acconci, per più di qualche mese, o al massimo di un anno, ad un ruolo di comprimario, chiamato a tenere in piedi il nipotino di Gianni a tempo indefinito, sperando nei buoni uffici di Napolitano rispetto ai suoi processi. E se Letta non dovesse superare l'anno di governo, la maggior parte dei suoi propositi più innovativi, a partire dal reddito minimo per finire con la riforma dello Stato, finirebbero semplicemente nella pattumiera della storia. Dimenticati, per molti altri anni.

Il tempo dei democristiani è finito. Il tempo delle promesse fumose, dei sogni vuoti, dei governi senza un programma degno di questo nome, che si reggono su nobili dichiarazioni ed opachi accordi di corridoio, non farà avanzare il Paese verso la Terza Repubblica. Lo terrà nella palude stigia della stagnazione perenne. 



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