Il referendum bolognese
sul finanziamento pubblico alle scuole paritarie ha nuovamente
infiammato un dibattito nazionale, caratterizzato da posizioni
ideologiche, e non di merito. Lo scontro fondamentale non può e non
deve, essere basato su malintesi conflitti fra laici e cattolici.
Certamente vi è anche questo: se lo Stato è laico, evidentemente i
servizi pubblici che lo Stato deve, per sua missione istituzionale,
erogare (il primo dei quali è ovviamente l’istruzione) non possono
essere affidati a soggetti clericali, che ovviamente, come è normale
che sia, utilizzano l’istruzione, specie quella primaria, in cui le
personalità dei bambini sono ancora plasmabili e influenzabili, per
veicolare, anche nella più perfetta buona fede, una visione non
tanto religiosa (perché non c’è niente di male nel risvegliare un
interesse ed una curiosità verso la visione religiosa del mondo, in
quanto questa non fa altro che risvegliare un interesse verso i temi
dell’anima e lo spirito del mondo, cui poi la singola personalità
darà la sua risposta, che potrà anche essere improntata al più
totale ateismo) quanto, piuttosto, una visione gerarchico/clericale
(è molto diverso insegnare le Sacre Scritture, con il loro potente
contenuto simbolico e metaforico, talmente rilevante che i suoi
simboli sono presenti nell’inconscio collettivo di qualsiasi uomo,
anche di un ateo: le principali immagini archetipiche dell’inconscio
collettivo universale, la Grande Madre, il Senex, il Puer in eterna
rigenerazione/resurrezione, la Via, l’Ombra, l’Anima, si
ritrovano nelle Sacre Scritture così come nelle religioni non
cristiane, siano esse politeiste o monoteiste, ed in sistemi
filosofici e di pensiero1,
dall’insegnare il Catechismo, che è un esercizio di disciplina nei
confronti di una interpretazione unilaterale di tale simbologia, che
è quella data dalla teologia imposta dalla gerarchia ecclesiastica
temporale).
Ma l’aspetto del
conflitto fra laicismo e clericalismo è solo uno degli aspetti, e
nemmeno il più importante. Il problema vero è un problema di
modello di erogazione dei servizi pubblici essenziali. Le scuole
paritarie potrebbero essere gestite da testimoni di Geova, da
buddisti, da Fondazioni bancarie, da Onlus. Il punto centrale del
problema non cambia. E’ accettabile che, in una ottica di
sussidiarietà, lo Stato arretri nell’erogazione di alcuni servizi
essenziali, che ne definiscono la stessa natura di Stato, affidandoli
a privati convenzionati, i cui costi di gestione sono in parte
sostenuti dallo Stato? Oppure lo Stato deve appropriarsi
integralmente dell’erogazione di tali servizi, ammettendo anche la
sfera privata, ma senza che questa sia finanziata con risorse
pubbliche? Questo è il problema centrale, e non vale solo per la
scuola, ma anche per la sanità, per i servizi socio/assistenziali,
per i servizi di assistenza ai poveri, ecc.
La mia personale risposta
parte, anche se solo come avvio, dalle teorie dell’efficienza
dell’erogazione dei beni pubblici, così come insegnate
dall’economia del welfare. Fondamentalmente, il bene pubblico è
erogabile, in condizioni di efficienza, solo fino al punto in cui il
beneficio marginale (cioè l’incremento di educazione di una
collettività di scolari/studenti, nel caso della scuola) eguaglia il
costo marginale (cioè l’incremento di costo pubblico sostenuto per
incrementare al margine il beneficio sulla collettività). Oltre tale
punto, l’economia non può dire più niente. Ci si trova in un
punto di Pareto-efficienza, in cui non è possibile incrementare
ulteriormente il beneficio marginale derivante da un ulteriore
aumento di erogazione del servizio pubblico, generando al contempo
risorse aggiuntive atte a ricompensare chi è danneggiato da tale
incremento (nel caso di specie, il contribuente che, con le sue
tasse, deve finanziare l’incremento di erogazione del servizio
oltre il punto Pareto-efficiente).
Oltre tale punto, deve
essere la Politica, con la “p” maiuscola, intesa cioè come la
scienza e la pratica destinata a decidere cosa fare della polis, a
fare scelte. E lo deve fare sulla scorta di considerazioni non
economiche, ma morali. Nel senso più ampio che il termine “morale”
assume. Ovvero, dalla sua etimologia, “comportamento dettato da
norme, da consuetudini, da costumi”. Se il costume della
collettività, democraticamente deliberante, è quello di andar oltre
il punto di efficienza economica, si dovrà andare oltre. Se invece
il costume morale è invece quello di rimanere entro il punto di
Pareto-efficienza, occorrerà accettarlo. Se il costume morale è di
compromesso, ovvero di tipo sussidiario (“andiamo oltre il punto di
Pareto-efficienza, ma affidiamoci al privato convenzionato, laddove
l’incremento del servizio, a totale carico pubblico, comporti un
costo ingestibile per le pubbliche finanze) si dovranno accettare
modelli di welfare misti pubblico/privato convenzionato.
Il filo conduttore per la
scelta deve quindi, a mio avviso, essere di questo tipo: prima di
tutto, il servizio pubblico deve essere spinto fino al punto di
Pareto-efficienza, di eguaglianza fra i benefici marginali (che
ovviamente non sono economici, ma sociali) ed il costo marginale.
Perché fino a tale punto, il pubblico è l’unico soggetto in grado
di assicurare universalità e non discriminazione nell’erogazione
del servizio. Dopodiché, se andare oltre tale punto, e come andarci
(con il pubblico, o con il privato convenzionato) deve essere una
scelta politica, affidata al confronto democratico. Ancora una volta,
però, anche la scelta del privato convenzionato deve ispirarsi a
criteri di efficienza. Perché la convenzione è erogata con denaro
pubblico. Perché devo dare i soldi pubblici alle scuole paritarie
cattoliche, e non alle scuole paritarie gestite dai protestanti, che
magari dimostrano di poter erogare il servizio in condizioni di
migliore efficienza fra costi e benefici? Non è possibile costruire
un sistema misto pubblico/privato senza rimettere in discussione
posizioni di mercato acquisite, senza cioè bandi pubblici che
costringano chi vuole erogare il servizio in regime paritario di
dimostrare di essere il migliore nel rapporto fra costi e benefici.
Anche se ovviamente, nel caso delle scuole cattoliche, tali soggetti
partirebbero favoriti dal fatto di aver già sostenuto i costi di
nvestimento ed avviamento dell'attività, quindi alla fine sarebbero
quelli in grado di assicurare le migliori condizioni di economicità
di gestione. Ma questo aspetto va comunque verificato tramite un
bando.
Questo ragionamento è
assente, oggi, nel referendum bolognese. Manca un ragionamento sulla
massimizzazione dell’efficienza erogativa del servizio pubblico, e
sul modo in cui massimizzare l’efficienza anche di un sistema misto
pubblico/privato, qualora la collettività volesse andare in tale
direzione. Ci si rifà al solito, sterile e di retroguardia, scontro
fra laici e cattolici, che spingerà molti elettori a votare non
sulla base di un ragionamento su ciò che è meglio per la propria
comunità, ma in base all’appartenenza ideologica (per cui un ateo
voterà contro le scuole paritarie per partito preso, idem un
elettore cattolico). Si pone in essere un ragionamento generico e
nebuloso sulla sussidiarietà, ma senza analisi degne di questo nome,
che abbiano cioè un ocntenuto minimo di serietà. Ad esempio, sul
sito istituzionale del Comune di Bologna, si afferma, come vantaggio
del sistema misto, che se questo non ci fosse, il Comune dovrebbe
spendere 12 Meuro per garantire la stessa disponibilità di posti con
la scuola pubblica. Tuttavia, tale analisi è fallace, perché non
fornisce il dato sul risparmio colettivo totale che, presuntamente,
si otterrebbe tramite la scuola privata convenzionata. Infatti, il
costo aggiuntivo di tale sistema, oltre il milione di euro erogato
dal Comune, viene sopportato dalle famiglie, tramite il pagamento
delle rette. Non c'è un'analisi comparativa che ci dica se, rispetto
ai 12 Meuro aggiuntivi che, presuntamente (perché il dato viene
esposto in modo apodittico, senza giustificarlo) il Comune dovrebbe
spendere per avere un sistema di scuola materna interamente pubblico,
il costo complessivo per la collettività, che include non solo il
milione di euro erogato dal Comune, ma anche i costi sopportati dai
privati per mandare i loro bambini alle scuole convenzionate, sia
minore, raggiungendo quindi una condizione di migliore efficienza
sociale complessiva. Si usano dati non confrontabili fra loro: ancora
una volta, il Comune mette a confronto la spesa pubblica piena a
bambino in una scuola comunale (6.912 euro) con il contributo medio
a bambino nella scuola privata convenzionata (657 euro) quando questo
contributo medio rappresenta solo una parte del costo, quella
sostenuta dal bilancio comunale, il resto essendo sopportato tramite
la retta pagata dai genitori. Circolano dati completamente diversi
fra loro: secondo il Comune, ci sono ancora posti liberi nel sistema,
mentre secondo i promotori del referendum ci sarebbero invece carenze
di posti. Nessuno cerca di giustificare il dato in suo possesso. Non
si andrà da nessuna parte con questo livello di povertà di analisi
e di utilizzo improprio dei dati, quale che sia l’esito finale del
referendum. Rimarremo un Paese senza capacità di analisi, senza
serietà.
A puro titolo di esempio, il Puer in
rigenerazione è presente nella simbologia cristiana del Cristo
bambino e del Cristo risorto, così come in quella pagana del Dio
Hermes/Mercurio, o, nei suoi aspetti rigenerativi, di Narciso, dal
cui sangue sboccia il fiore omonimo. L’archetipo dell’Ombra è
presente nel dualismo cristiano fra virtù e peccato, così come
nell’aspetto integrativo del bene e del male tipico delle
religioni orientali (ying e yang), ecc. ecc.
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