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domenica 26 maggio 2013

Il dibattito sulle scuole paritarie: problema di laicità o problema di comunità? di Riccardo Achilli



Il referendum bolognese sul finanziamento pubblico alle scuole paritarie ha nuovamente infiammato un dibattito nazionale, caratterizzato da posizioni ideologiche, e non di merito. Lo scontro fondamentale non può e non deve, essere basato su malintesi conflitti fra laici e cattolici. Certamente vi è anche questo: se lo Stato è laico, evidentemente i servizi pubblici che lo Stato deve, per sua missione istituzionale, erogare (il primo dei quali è ovviamente l’istruzione) non possono essere affidati a soggetti clericali, che ovviamente, come è normale che sia, utilizzano l’istruzione, specie quella primaria, in cui le personalità dei bambini sono ancora plasmabili e influenzabili, per veicolare, anche nella più perfetta buona fede, una visione non tanto religiosa (perché non c’è niente di male nel risvegliare un interesse ed una curiosità verso la visione religiosa del mondo, in quanto questa non fa altro che risvegliare un interesse verso i temi dell’anima e lo spirito del mondo, cui poi la singola personalità darà la sua risposta, che potrà anche essere improntata al più totale ateismo) quanto, piuttosto, una visione gerarchico/clericale (è molto diverso insegnare le Sacre Scritture, con il loro potente contenuto simbolico e metaforico, talmente rilevante che i suoi simboli sono presenti nell’inconscio collettivo di qualsiasi uomo, anche di un ateo: le principali immagini archetipiche dell’inconscio collettivo universale, la Grande Madre, il Senex, il Puer in eterna rigenerazione/resurrezione, la Via, l’Ombra, l’Anima, si ritrovano nelle Sacre Scritture così come nelle religioni non cristiane, siano esse politeiste o monoteiste, ed in sistemi filosofici e di pensiero1, dall’insegnare il Catechismo, che è un esercizio di disciplina nei confronti di una interpretazione unilaterale di tale simbologia, che è quella data dalla teologia imposta dalla gerarchia ecclesiastica temporale).
Ma l’aspetto del conflitto fra laicismo e clericalismo è solo uno degli aspetti, e nemmeno il più importante. Il problema vero è un problema di modello di erogazione dei servizi pubblici essenziali. Le scuole paritarie potrebbero essere gestite da testimoni di Geova, da buddisti, da Fondazioni bancarie, da Onlus. Il punto centrale del problema non cambia. E’ accettabile che, in una ottica di sussidiarietà, lo Stato arretri nell’erogazione di alcuni servizi essenziali, che ne definiscono la stessa natura di Stato, affidandoli a privati convenzionati, i cui costi di gestione sono in parte sostenuti dallo Stato? Oppure lo Stato deve appropriarsi integralmente dell’erogazione di tali servizi, ammettendo anche la sfera privata, ma senza che questa sia finanziata con risorse pubbliche? Questo è il problema centrale, e non vale solo per la scuola, ma anche per la sanità, per i servizi socio/assistenziali, per i servizi di assistenza ai poveri, ecc.
La mia personale risposta parte, anche se solo come avvio, dalle teorie dell’efficienza dell’erogazione dei beni pubblici, così come insegnate dall’economia del welfare. Fondamentalmente, il bene pubblico è erogabile, in condizioni di efficienza, solo fino al punto in cui il beneficio marginale (cioè l’incremento di educazione di una collettività di scolari/studenti, nel caso della scuola) eguaglia il costo marginale (cioè l’incremento di costo pubblico sostenuto per incrementare al margine il beneficio sulla collettività). Oltre tale punto, l’economia non può dire più niente. Ci si trova in un punto di Pareto-efficienza, in cui non è possibile incrementare ulteriormente il beneficio marginale derivante da un ulteriore aumento di erogazione del servizio pubblico, generando al contempo risorse aggiuntive atte a ricompensare chi è danneggiato da tale incremento (nel caso di specie, il contribuente che, con le sue tasse, deve finanziare l’incremento di erogazione del servizio oltre il punto Pareto-efficiente).
Oltre tale punto, deve essere la Politica, con la “p” maiuscola, intesa cioè come la scienza e la pratica destinata a decidere cosa fare della polis, a fare scelte. E lo deve fare sulla scorta di considerazioni non economiche, ma morali. Nel senso più ampio che il termine “morale” assume. Ovvero, dalla sua etimologia, “comportamento dettato da norme, da consuetudini, da costumi”. Se il costume della collettività, democraticamente deliberante, è quello di andar oltre il punto di efficienza economica, si dovrà andare oltre. Se invece il costume morale è invece quello di rimanere entro il punto di Pareto-efficienza, occorrerà accettarlo. Se il costume morale è di compromesso, ovvero di tipo sussidiario (“andiamo oltre il punto di Pareto-efficienza, ma affidiamoci al privato convenzionato, laddove l’incremento del servizio, a totale carico pubblico, comporti un costo ingestibile per le pubbliche finanze) si dovranno accettare modelli di welfare misti pubblico/privato convenzionato.
Il filo conduttore per la scelta deve quindi, a mio avviso, essere di questo tipo: prima di tutto, il servizio pubblico deve essere spinto fino al punto di Pareto-efficienza, di eguaglianza fra i benefici marginali (che ovviamente non sono economici, ma sociali) ed il costo marginale. Perché fino a tale punto, il pubblico è l’unico soggetto in grado di assicurare universalità e non discriminazione nell’erogazione del servizio. Dopodiché, se andare oltre tale punto, e come andarci (con il pubblico, o con il privato convenzionato) deve essere una scelta politica, affidata al confronto democratico. Ancora una volta, però, anche la scelta del privato convenzionato deve ispirarsi a criteri di efficienza. Perché la convenzione è erogata con denaro pubblico. Perché devo dare i soldi pubblici alle scuole paritarie cattoliche, e non alle scuole paritarie gestite dai protestanti, che magari dimostrano di poter erogare il servizio in condizioni di migliore efficienza fra costi e benefici? Non è possibile costruire un sistema misto pubblico/privato senza rimettere in discussione posizioni di mercato acquisite, senza cioè bandi pubblici che costringano chi vuole erogare il servizio in regime paritario di dimostrare di essere il migliore nel rapporto fra costi e benefici. Anche se ovviamente, nel caso delle scuole cattoliche, tali soggetti partirebbero favoriti dal fatto di aver già sostenuto i costi di nvestimento ed avviamento dell'attività, quindi alla fine sarebbero quelli in grado di assicurare le migliori condizioni di economicità di gestione. Ma questo aspetto va comunque verificato tramite un bando.
Questo ragionamento è assente, oggi, nel referendum bolognese. Manca un ragionamento sulla massimizzazione dell’efficienza erogativa del servizio pubblico, e sul modo in cui massimizzare l’efficienza anche di un sistema misto pubblico/privato, qualora la collettività volesse andare in tale direzione. Ci si rifà al solito, sterile e di retroguardia, scontro fra laici e cattolici, che spingerà molti elettori a votare non sulla base di un ragionamento su ciò che è meglio per la propria comunità, ma in base all’appartenenza ideologica (per cui un ateo voterà contro le scuole paritarie per partito preso, idem un elettore cattolico). Si pone in essere un ragionamento generico e nebuloso sulla sussidiarietà, ma senza analisi degne di questo nome, che abbiano cioè un ocntenuto minimo di serietà. Ad esempio, sul sito istituzionale del Comune di Bologna, si afferma, come vantaggio del sistema misto, che se questo non ci fosse, il Comune dovrebbe spendere 12 Meuro per garantire la stessa disponibilità di posti con la scuola pubblica. Tuttavia, tale analisi è fallace, perché non fornisce il dato sul risparmio colettivo totale che, presuntamente, si otterrebbe tramite la scuola privata convenzionata. Infatti, il costo aggiuntivo di tale sistema, oltre il milione di euro erogato dal Comune, viene sopportato dalle famiglie, tramite il pagamento delle rette. Non c'è un'analisi comparativa che ci dica se, rispetto ai 12 Meuro aggiuntivi che, presuntamente (perché il dato viene esposto in modo apodittico, senza giustificarlo) il Comune dovrebbe spendere per avere un sistema di scuola materna interamente pubblico, il costo complessivo per la collettività, che include non solo il milione di euro erogato dal Comune, ma anche i costi sopportati dai privati per mandare i loro bambini alle scuole convenzionate, sia minore, raggiungendo quindi una condizione di migliore efficienza sociale complessiva. Si usano dati non confrontabili fra loro: ancora una volta, il Comune mette a confronto la spesa pubblica piena a bambino in una scuola comunale (6.912 euro) con il contributo medio a bambino nella scuola privata convenzionata (657 euro) quando questo contributo medio rappresenta solo una parte del costo, quella sostenuta dal bilancio comunale, il resto essendo sopportato tramite la retta pagata dai genitori. Circolano dati completamente diversi fra loro: secondo il Comune, ci sono ancora posti liberi nel sistema, mentre secondo i promotori del referendum ci sarebbero invece carenze di posti. Nessuno cerca di giustificare il dato in suo possesso. Non si andrà da nessuna parte con questo livello di povertà di analisi e di utilizzo improprio dei dati, quale che sia l’esito finale del referendum. Rimarremo un Paese senza capacità di analisi, senza serietà.

1
A puro titolo di esempio, il Puer in rigenerazione è presente nella simbologia cristiana del Cristo bambino e del Cristo risorto, così come in quella pagana del Dio Hermes/Mercurio, o, nei suoi aspetti rigenerativi, di Narciso, dal cui sangue sboccia il fiore omonimo. L’archetipo dell’Ombra è presente nel dualismo cristiano fra virtù e peccato, così come nell’aspetto integrativo del bene e del male tipico delle religioni orientali (ying e yang), ecc. ecc.

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