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martedì 4 giugno 2013

L'IDEOLOGIA DEL GRILLO STRAPARLANTE di Norberto Fragiacomo


L’IDEOLOGIA DEL GRILLO STRAPARLANTE
di
Norberto Fragiacomo
 
Errare humanum est, perseverare est diabolicum – ammonivano saggiamente i latini. Peggio, aggiungo io: in certi casi, la persistenza nell’"errore" è chiaro sintomo di dolo.
All’indomani del naufragio elettorale, Beppe Grillo – cui ho dedicato un pezzo la settimana scorsa – è tornato ad inveire contro l’Italia A (lui la chiama così), quella dei "privilegiati”. Chi fossero costoro ce l’aveva già spiegato in febbraio, in un post allucinante dal titolo “Gli italiani non votano mai a caso” (cfr. http://bentornatabandierarossa.blogspot.it/2013/03/gli-italiani-non-votano-mai-caso-di.html): politici, evasori,dipendenti pubblici e pensionati. Dall’incrocio delle dichiarazioni – replicate in questi giorni in Sicilia[1] – ricaviamo un quadro chiaro: quella del guru non è una stizzosa sfuriata, bensì una convinzione profonda. Chi ha il posto fisso e una pensione, magari misera, è nemico del cambiamento, “rema contro” – mentre le imprese piccole e medie stanno dalla parte del bene.
Tralasciamo il fatto che l’analisi grillina è grossolanamente errata (moltissimi funzionari pubblici, in febbraio, han votato per lui, lo certificano le statistiche, e chi ha “tradito” a maggio ha scelto l’astensione): il nostro, in fondo, è un comico, e i comici se ne infischiano di dati, flussi elettorali e paccottiglia simile – gli basta lo sberleffo strappa applausi. Merita invece rilevare che la distinzione tra A e B prescinde dal conforto della realtà, essendo di natura schiettamente ideologica. Malgrado le apparenze, Beppe Grillo professa infatti un’ideologia ben precisa.
L’accusa che un po’ stancamente gli viene mossa da sinistra è quella di essere un “fascista”. Perché? Per il suo atteggiarsi a capopopolo, a leader carismatico ("Italiani!"); per la violenza verbale e certi contatti (in verità, casuali) con gli attivisti di CasaPound; infine, per gli attacchi quotidiani portati alla stampa nazionale e ai talk show. Onestamente, trovo che questi allarmi risuonino a vuoto: le intemperanze verbali connotano il personaggio da sempre, e risultano molto meno inquietanti di certi datati incitamenti bossiani a prendere i fucili. Beppe Grillo non ha mai istigato le masse alla violenza (la rivoluzione non si fa con pernacchie e vaffanculo!); quanto al leaderismo, non bisogna dimenticare che il M5S è una sua creatura, e l’organizzazione tipo astronave Borg funzionale al raggiungimento di obiettivi (la maggioranza parlamentare) che, in sé, non hanno nulla di sinistro.
Certo non hanno neppure nulla di sinistra – e qui sta il punto. Se proprio si vuole individuare una componente “fascista” nel pensiero di Grillo, tocca prestare meno attenzione alle invettive, e concentrarsi sui concetti espressi. La divisione in Italia A e Italia B adombra una concezione senz’altro neocorporativa della società, che esalta il ruolo dei produttori attivi senza preoccupazioni di classe. In quest’ottica il titolo di cittadino e i conseguenti diritti spettano solo a chi produce (beni, piuttosto che servizi, ed è sorprendente che a pensarla così sia un individuo che ha fatto fortuna con l’immateriale): gli elementi sani della società – l’Italia B – si chiudono a riccio contro le minacce esterne, e per conservare la quiete sociale fanno cadere qualche briciola destinata ai “parassiti”. In questa ricostruzione – lo ammetto – molte tessere del puzzle restano nel sacchetto: i contatti di Grillo con l’ambasciata americana, l’accorciamento dell’orario di lavoro ecc.; tuttavia, l’alleanza dei produttori nostrani rappresenta, nella visione veicolata dal guru, la panacea di tutti i mali. Perché non ci piace? Perché un’alleanza fra diseguali arreca benefici solo al più forte, visto che la comunanza di interessi tra padrone (piccolo o medio che sia) e operaio verrebbe inevitabilmente meno al momento del ritiro dell’esercito assediante. La lotta di classe non è, difatti, uno slogan, ma un’interpretazione realistica della realtà basata sull’osservazione di fenomeni storici.
Il neocorporativismo di Beppe Grillo è una ricetta dannosa e sbagliata: occupiamoci di un tema come questo, anziché delle smargiassate sui giornalisti che destano la finta preoccupazione dei Formigli e vengono giustamente retrocesse a boutade dal sempre acuto Freccero.
Intanto assistiamo a una novità: i cittadini/parlamentari grillini (ieri Di Maio a Otto e mezzo e Morra a Piazzapulita) scendono nell’agone televisivo, e – ruvidamente intervistati - fanno persino bella figura! Saranno davvero così sprovveduti come li hanno dipinti in questi mesi, oun tantino di prevenzione da parte dei media c’era sul serio?
Chiudo con una notazione: Grillo ha ragione quando dice che l’autunno potrebbe essere gelido, e che gli italiani non devono illudersi di salvare chiappe e portafogli nascondendo la testa sotto la sabbia. Troppi ricci schiacciati sulla carreggiata ci ricordano, però, che mettersi sulla difensiva è inutile, quando passa un’automobile: nessun patto tra servi e padroncini può sottrarre l’Italia a un destino già scritto e sottoscritto in alto loco.
Occorre ben altro: la mobilitazione dei cittadini europei, l’unità di intenti, l’approdo al Socialismo. Dentro al capitalismo e le anguste frontiere di un singolo Paese non c’è salvezza.
 


[1] E smentite in diretta tv da un militante con le palle, che ha gridato: “Non è vero quello che dici! Io sono un libero professionista, mia sorella un’insegnante, mia madre una pensionata, e tutti abbiamo votato per te!”

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