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sabato 13 luglio 2013

IL SEQUESTRO DI EVO MORALES: GRAVE VIOLAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE


di Massimo Buccheri


Quanto accaduto mercoledì 3 luglio al presidente dello Stato Plurinazionale di Bolivia, Evo Morales, è di una gravità assoluta. L’aereo dell’aeronautica militare boliviana con il quale Morales stava rientrando in patria dopo una visita a Mosca è stato costretto ad atterrare a Vienna, a causa del divieto di sorvolo da parte di Francia, Spagna, Portogallo e ITALIA, che avevano ricevuto istruzioni precise da “qualcuno” convinto che la talpa del Datagate, Edward Snowden, si trovasse a bordo del velivolo.
Questo sequestro rappresenta la mancanza di rispetto nei confronti di un intero popolo e un atto di razzismo vero e proprio, dato che dimostra inequivocabilmente che, trattandosi di boliviani, è possibile tranquillamente violare una norma internazionale con totale impunità. Immaginatevi infatti cosa sarebbe successo se fosse avvenuta la stessa cosa ad Obama, in terra Sud Americana o in qualsiasi altro Paese del mondo. Come avrebbero reagito gli Stati Uniti, prima potenza militare mondiale, di fronte al sequestro del proprio presidente? Quanto tempo sarebbe passato prima di radere al suolo un’intera nazione per rappresaglia?
Naturalmente la stampa italiana non ha parlato del fatto, o ne ha parlato solo di sfuggita e in modo fazioso, con la solita menzogna di cui ormai siamo abituati e abbondantemente nauseati.
Violare le norme internazionali sequestrando l’aereo presidenziale di un Paese, calpestare la dignità di un presidente che rappresenta un popolo intero, con tale prepotenza ed arroganza lascia davvero sgomenti. Soprattutto per il significato simbolico che questo atto rappresenta: una sorta di avvertimento degno di una banda di gangsters, una maniera neanche tanto velata per dire: “hey amico, stai attento che ti becchiamo quando vogliamo!”
Ed è questo che il blocco capitalista (USA)Europeo ha voluto esprimere, perchè se da una lato è impegnato nel massacro sociale e nella totale restaurazione del potere capitalista com’era prima delle conquiste sociali del secolo scorso (per quanto scarne e non risolutive), dall’altro punta al ridimensionamento di quei popoli che stanno osando alzare la testa e liberarsi dal giogo del colonialismo, di quei paesi che rivendicano valori sociali ancestrali, forme di socialismo genuino assolutamente incompatibili con il mostruoso modello (USA)europeo, che ha saputo solo devastare il pianeta, violentare la natura e calpestare la vita, compresa quella umana. Un socialismo ancestrale che esisteva migliaia di anni prima della stampa del Capitale. L’espressione di un modello di vita che toglie l’uomo dal centro dell’universo e lo pone giustamente come parte di esso, inserito in un sistema complesso di relazioni con il resto della natura. Un modello che mira alla vera sostenibilità ambientale, non come le squallide menzogne spiattellate dai teorici della green economy e dell’ecocapitalismo, che solo dipingono di verde ecologico il saccheggio ambientale di sempre. Sostenibilità, ecologia, tutela dell’ambiente: parole svuotate di significato, nel nostro mondo stupido, sovraccarico di informazioni (e dunque privo di informazione), rimescolate come carte da gioco, completamente snaturate e spesso ridicolizzate, infine scaraventate in faccia ad un pubblico stordito ed inconsapevole. Così come è successo per certi vocaboli che storicamente hanno recato principi e ideali fondamentali per l’uomo, come “libertà” e “giustizia”, ideali che sono propri della sinistra e per cui hanno combattuto e sono morti donne e uomini di varie generazioni; ed ora sono diventati slogan del capitalismo che li ha fatti suoi, benchè ne rappresenti la negazione in termini, e li usa a proprio uso e consumo, in maniera così odiosa da rievocare la macabra “Arbeit macht frei”.
I valori e la visione della vita dei popoli dell’America Latina, spesso sintetizzati nell’espressione “buen vivir”, rappresentano per il capitalismo una spina nel fianco, un’anomalia nel contesto (USA)Europeo dove predomina il pensiero unico, l’incapacità non solo di realizzare un cambiamento di modello, ma anche solo di concepirlo. E questo vale anche per molte donne e uomini che si dichiarano “di sinistra” che, magari in buona fede, reagiscono alle ingiustizie del sistema ricercando soluzioni all’interno del sistema stesso e non riescono a vedere che è il sistema il problema e che le soluzioni vanno ricercate al di fuori di esso. Il blocco imperialista USA-EU sta reagendo a queste anomalie. La morte di Chàvez e il declino di Cuba, lentamente traghettata verso il capitalismo, offrono l’opportunità di spazzare via le ultime fiaccole di socialismo nel mondo. Si agirà nel solito modo, riesumando tecniche dal piano Condor, previo solita propaganda per convincere l’opinione pubblica che le bombe e i fucili USA-EU sono sempre dalla parte del bene e, d’altra parte, l’aver messo un “papa buono” sud americano rientra nello schema, ricordandoci un po’ l’avvento di Wojtyla prima dello sfacelo dell’Unione Sovietica, anche se naturalmente la vecchia URSS e l’America Latina di oggi sono due realtà completamente imparagonabili!
E mentre assistiamo impotenti ad un delitto annunciato, il dibattito, quando c’è, è ancora improntato su rivendicazioni parziali, sempre bloccate in retroguardia, a difendere quel posto di lavoro o quel misero diritto sindacale, ancora a ricercare i colpevoli: un giorno Berlusconi, quello seguente Monti...e non si riesce a vedere al di là del sistema di riferimento che ci hanno convinto a chiamare mondo. Non si riesce a comprendere che se esiste una soluzione, una via d’uscita alla crisi globale (ambientale, energetica, alimentare, economica, sociale), questa può aver luogo solo dall’incontro di esperienze socialiste europee con il millenario socialismo dei popoli nativi dell’America Latina, che in questo periodo storico, sono i soli a lottare davvero contro lo strapotere del capitalismo mondiale.

Auspico che i compagni si rendano conto che per costruire (da zero) il socialismo a casa nostra è fondamentale il ruolo giocato dall’America Latina, che in questo momento rappresenta, pur coi suoi limiti e contraddizioni, il modello di riferimento valoriale da cui partire. Ecco perchè l’aggressione subita dalla Bolivia ci riguarda davvero da vicino.


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