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venerdì 5 luglio 2013

TSUNAMI IN ARRIVO? di Norberto Fragiacomo




TSUNAMI IN ARRIVO?
di
Norberto Fragiacomo



Moreno Pasquinelli non piace mica a tutti, a sinistra.
Sul suo capo pende un’accusa infamante, anche se assai vaga: quella di “rossobrunismo”. Che cos’è un rossobruno? Un ibrido fascio comunista (o nazimaoista), ci assicurano. Ce n’è di ogni sorta[1]: i tratti distintivi sembrerebbero essere un certo patriottismo tendente al nazionalismo, la convinzione che la dicotomia destra-sinistra sia superata e una fortissima avversione per le elite straniere (quelle americana ed israeliana in primis). Il rossobruno, inoltre, ragionerebbe in termini di scontro fra nazioni, non di lotta di classe, e sarebbe un fanatico della geopolitica - un antiamericano, più che un antimperialista.
Tutti questi temi andrebbero approfonditi (esistono ancora destra e sinistra? Se mettiamo a confronto CDU e SPD, PdL e PD – cioè destre e “sinistre” maggioritarie attuali – siamo obbligati a rispondere con un secco no; se scaviamo sotto la superficie, nel campo delle idee, ci imbattiamo nel ), invece si preferisce appiccicare etichette, concentrando il “fuoco” dei flobert su nemici, in fondo, abbastanza inoffensivi. Prima di scomunicare, però, sarebbe opportuno leggere: capita che anche un sospetto dica cose vere o verisimili.


Pasquinelli, allora: sul blog Sollevazione fa/reitera una sorta di profezia (http://sollevazione.blogspot.it/2013/07/il-tempo-e-scaduto-alle-porte.html). Afferma che, dopo le elezioni tedesche di settembre, l’Italia sarà colpita da una crisi acuta, che ne determinerà rapidamente il collasso. Come avverrà? Riassumo: ci sarà, a seguito dell’ennesima tempesta bancaria, un salto in alto dello spread, che raggiungerà misure ineguagliate, e le aste dei titoli andranno deserte, o peggio. A questo punto il governo chiederà l’intervento del Fondo Salva Stati, che – per “soccorrerci” – imporrà l’usura (il termine è mio) di tagli draconiani. Blocco dei conti correnti, statali a casa, patrimoniale sui poveri, svendita dei beni pubblici, repressione a cui “non c’è alternativa”: la Grecia, insomma, in tutta la sua crudezza.
Cosa propone Pasquinelli? La mobilitazione, avvertendo il lettore che, probabilmente, è già troppo tardi. L’articolo me lo sono scorso dall’inizio alla fine, e non ci ho trovato nulla di sulfureo: solo buon senso, purtroppo, e tanto desolato realismo. Da anni, per un pubblico assai più ristretto, vado ripetendo le medesime cose. Credo anch’io che l’attacco ci sarà, e che sarà devastante (ovviamente mi auguro di sbagliare): il montismo è stato solo un disgustoso antipasto.
Le solite Cassandre, chioserà qualcuno con sufficienza. Può darsi, ma prima di essere sepolto da articoli di stampa, j’accuse e scontrini Beppe Grillo – quello che in febbraio ha preso il 26, non lo 0,26% dei voti – faceva previsioni simili. In autunno ci sarà il default, asseriva, e tutti a sghignazzargli in faccia.
Neppure Grillo raccoglie particolari simpatie a sinistra, e a me personalmente piace molto meno di Pasquinelli, che nel denunciare le porcate dell’imperialismo USA – cui qualche intellettuale spocchioso equipara, udite udite, quello italiano – è stato sempre in prima fila; tuttavia, se un medico mi diagnostica credibilmente una malattia non farò spallucce solo perché sul suo diploma di laurea c’è scritto un voto sotto il cento, o perché ha la camicia macchiata. Inoltre, le prognosi infauste cominciano ad ammucchiarsi: qualche domenica fa è risuonato, su Il Fatto Quotidiano, un allarme a tutta pagina di Stefano Feltri, e ultimamente quel giornalista onesto che risponde al nome di Curzio Maltese ha firmato, su Il Venerdì, pezzi grondanti pessimismo (e voglia di riscatto). Certo, tutta questa gente non ha diritto d’accesso a Ballarò, ma se il ministro dello sviluppo economico Flavio Zanonato (PD) dichiara che “siamo vicini al punto di non ritorno”, magari qualcosa sta davvero per accadere – qualcosa di tremendo, che chi sta ai piani alti ha modo di vedere in anticipo.
E allora? Allora toccherebbe prepararsi - ammesso che ciò sia possibile, perché una catastrofe voluta dall’uomo può essere non meno terribile di uno tsunami.
Al rientro dalle vacanze (trascorse a casa, visto che mancano i soldi) sarebbe opportuno sorprendere il governo, anziché con il solito pittoresco corteo, con uno sciopero di massa ben organizzato: un’astensione dal lavoro che duri non le canoniche due-tre ore, ma una settimana intera, ad esempio. Il la potrebbero darlo i dipendenti pubblici, che anche nel 2014 – per il quinto anno consecutivo - non vedranno un cent di aumento e che, al pari delle formiche di Gino e Michele, dovrebbero avere la decenza, nel loro piccolo, di incazzarsi; scenderebbero quindi in campo trasporti ed industria metalmeccanica, bloccando di fatto il Paese. Poi pensionati e precari marcerebbero insieme, con o senza bandiere al vento.
Per ottenere cosa? In mancanza di meglio, visibilità mediatica e ascolto; per marcare il territorio, e far risuonare un tonante: “noi a questo gioco al (nostro) massacro non ci stiamo!” Per giocare d’anticipo: non è saggio lasciare sempre l’iniziativa ad una controparte strapotente. Tutto questo senza contare che folle durevolmente mobilitate farebbero da incubatrici a idee nuove, oltre a favorire una solidarietà e una “conoscenza” reciproca (degli individui, delle categorie e dei diversi ceti) ostacolata, oggi, dalla frammentazione e dalla logica del divide et impera. A loro volta, le residue formazioni di sinistra sarebbero attratte dalla forza gravitazionale della massa, e costrette a rinunciare a settarismi e ripicche, mentre il confronto con i cittadini opererebbe una scrematura di ricette ed intellettuali, selezionando (almeno in teoria) le proposte più attuabili e gli elementi migliori.
Due grossi ostacoli: il primo è che i lavoratori, in tempi di crisi, sono restii a rinunciare anche ad una sola ora di paga. La logica del “tengo famiglia” è umanamente comprensibile, ma miope: chi tace acconsente, e l’obbedienza riceverà in premio un drastico, inimmaginabile peggioramento delle condizioni materiali e sociali. Quei sette, o dieci o quindici giorni di mobilitazione andrebbero considerati un investimento sul futuro, o una puntata su welfare, salari e diritti. Chi rinuncia alla battaglia non fa l’interesse dei propri figli: li condanna alla rovina.
C’è poi il capitolo sindacati, che dell’autunno hanno un solo colore (il giallo): le grandi e “ragionevoli” confederazioni non sosterrebbero mai una lotta decisa e determinata. Dovrebbero essere le organizzazioni autonome – quelle stesse che si tenta di mettere fuori gioco - e le minoranze in CGIL a prendere l’iniziativa, su pressione della fascia più consapevole della cittadinanza: il rischio di defezioni e di una partenza in sordina esiste, ma la sola, luttuosa alternativa è l’inazione.
Caro cittadino italiano, “non chiederti cosa il tuo Paese può fare per te (nulla, lo stai vedendo), chiediti cosa tu puoi fare per il tuo Paese”; anche se la frase è di J. F. Kennedy – quello della Baia dei Porci, altro che i presunti rossobruni! – un buon consiglio merita sempre ascolto.


[1] Quelli autentici e quelli di comodo, a parer mio: per screditare un concorrente basta una battuta, per piegarlo in un confronto dialettico sono necessari impegno, cultura e capacità.





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