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giovedì 22 agosto 2013

UN NUOVO IRAK di Riccardo Achilli




UN NUOVO IRAK
di Riccardo Achilli



E' davvero molto presto per poter dare informazioni oggettive su quanto avvenuto la scorsa mattina, in un distretto di Damasco est occupato dai ribelli. Che si sia verificato un atto di gravissima violenza sulla popolazione civile è fuor di dubbio, che tale atto sia stato un attacco con armi chimiche sulla popolazione civile è estremamente probabile, stanti le fotografie ed i video di cadaveri privi di ferite da armi da fuoco, e le testimonianze dirette di operatori di Paesi diversi, ma soprattutto (se si vogliono accusare gli operatori di essere al soldo dei nemici di Assad) di singoli residenti di quell'area affetti dai sintomi dell'intossicazione da gas Sarin (bruciore agli occhi, vomito, incontinenza, difficoltà respiratorie) ivi compresi bambini che certo difficilmente possono essere indottrinati a raccontare bugie sofisticate. Non voglio in nessun modo difendere o giustificare Bashar al-Assad, a mio avviso un brutale tiranno sanguinario, che oggi, con la sua proterva volontà di rimanere attaccato al potere, blocca qualsiasi ipotesi di pacificazione nazionale, che dovrebbe necessariamente passare per un governo di transizione in cui i principali protagonisti, ivi compreso lui, dovrebbero fare un passo indietro. 

Il problema è un altro. Il problema è che l'Occidente, alle prese con la più grave crisi economica dell'ultimo secolo, ha la necessità, tipica del capitalismo in grave crisi, di tentare avventure militari per dare utilizzo a capitale inutilizzato, riavviando cicli di accumulazione basati sull'industria militare, oltre che al fine di distrarre le opinioni pubbliche dai problemi economici e sociali interni. In questo momento, l'obiettivo più succulento potrebbe essere quello di una guerra globale, sia militare che politica, alle espressioni politiche della componente sciita dell'Islam. Una guerra santa contro gli sciiti, infatti, consentirebbe di unire le forze dell'Occidente a quelle dei regimi e delle petromonarchie, di stampo sunnita, tradizionalmente alleati dell'imperialismo occidentale (non è un caso se i primi a gettarsi sulla presunta reponsabilità delle forze governative siriane nell'attacco chimico siano stati i sauditi). L'attacco alla Siria, infatti, sarebbe solo il primo passo per dotarsi della base logistica indispensabile per minacciare di un possibile attacco l'Iran, vero obiettivo dell'imperialismo USA da anni, giustificato di fronte alle opinioni pubbliche agitando un (allo stato attuale ancora improbabile) spauracchio nucleare imminente. L'obiettivo è chiaramente quello di minacciare, e quindi indurre a più miti consigli, l'unico attore regionale che ha la forza di contrastare la politica imperialistica occidentale sull'intero scacchiere mediorientale, tenendo sotto costante minaccia Israele tramite Hezbollah (finanziata e supportata dal governo degli ayatollah) e supportando il regime alawita di Assad e il controllo sciita nel sud dell'Irak, tramite le forze che fanno riferimento a Moqtada Al Sadr. 

Mettere la museruola allo sciismo politico potrebbe ripristinare il controllo USA su quell'area nevralgica per gli interessi economici, energetici e politici globali, oggi reso estremamente precario dai fallimenti "de facto" in Irak ed Afghanistan. Il controllo del territorio siriano è però essenziale per qualsiasi credibile minaccia contro l'Iran. Come infatti sostengo nell'articolo http://bentornatabandierarossa.blogspot.it/2012/01/i-rischi-non-calcolati-dello-scacchiere.html attaccare l'Iran, che è una potenza militare di buon livello, seppur ancora convenzionale, senza passare dalla Siria, costringerebbe gli occidentali a penetrare dallo Shatt el Arab, zona paludosa fra Irak ed Iran meridionale, passando quindi per un terreno estremamente favorevole a chi lo deve difendere, confidando su una retrovia posta nell'instabile ed infido territorio iracheno, che non è minimamente sotto controllo dei governanti di Baghdad amici degli USA, e quindi rischiando una sconfitta. Il passaggio dal nord curdo è impraticabile, sia per il territorio impervio, che per l'insostenibile cambiale politica che andrebbe riconosciuta ai curdi. L'unico modo per rendere credibile una minaccia di possibile attacco terrestre all'Iran è quindi quello di controllare la Siria. Inoltre, il controllo della Siria taglierebbe i ponti logistici e di rifornimento fra Teheran ed Hezbollah, che passa proprio dalla Siria, isolando gli sciiti libanesi e rendendoli molto vulnerabili, come Israele chiede da anni. 

Il problema è che il tentativo di acquisire il controllo della Siria senza intervento militare diretto è sostanzialmente fallito, con la sempre più evidente incapacità dei "ribelli" siriani di rovesciare un regime militarmente sempre più saldo, e politicamente ancora in grado di attirare consenso da strati ampi della società. E per un intervento militare diretto nel Paese, serve una scusa, buona sia per le opinioni pubbliche interne, sia per acquietare le fortissime resistenze di Russia e Cina nei confronti di una simile ipotesi. Poiché la fantasia non è una delle virtù dei nostri governanti, ecco che riappare, come in Irak nel 2003, l'alibi delle armi di distruzione di massa, degli arsenali chimici. 

Che si tratti di un alibi è evidente: quand'anche l'attacco chimico di ieri mattina fosse stato realmente condotto dall'esercito governativo, il problema è che anche i "ribelli" difesi dalle potenze imperialistiche occidentali hanno armi chimiche, e ne fanno uso. Come dimostra la Rete Voltaire, i ribelli utilizzano grossi arsenali di precursori per produrre armi chimiche (cfr.http://www.voltairenet.org/article179389.html) e, d'altra parte, l'ex capo degli arsenali chimici del governo siriano, generale Adnan Sillu, è passato dalla parte dei ribelli già nel 2012, consegnando ai ribelli la mappa precisa dell'ubicazione di tutti i depositi di armi chimiche del Paese (47.libero.it/focus/22544622/0/siria-l-ex-capo-dell-arsenale-chimico-passa-con-i-ribelli/). Diventa quindi molto difficile sostenere la possibilità "morale" di un attacco ad Assad, basata sull'uso delle armi chimiche, quando anche il direttorio dei ribelli, ufficialmente riconosciuto e protetto dalla Ue e dagli USA, utilizza a sua volta tali armi. E poi naturalmente è ancora da verificare che l'attacco chimico di ieri sia stato effettivamente condotto dalle forze armate governative. Il fatto che il segretario generale dell'ONU non abbia ancora deciso l'avvio di una inchiesta, pur avendola preannunciata, potrebbe forse indicare il timore di darsi la zappa sui piedi, "scoprendo" che a eseguire l'attacco non è stato affatto l'esercito di Assad, ma magari la sua controparte, o magari qualche servizio segreto esterno al Paese. La Russia infatti pretenderebbe una inchiesta oggettiva, e non "propagandistica". D'altra parte, attaccare un sobborgo della capitale situato a pochi chilometri in linea d'aria da dove sono alloggiati gli ispettori ONU incaricati di indagare sull'utilizzo delle armi chimiche nel conflitto sembra essere una provocazione talmente imbecille, che si fa fatica a credere che Assad,  astuto politicante, possa averla ordita. 


Il punto politico è che occorre opporsi nel modo più intransigente possibile all'utilizzo strumentale, da parte del Governo USA e dei nostri Governi, di eventi come il tragico bombardamento chimico di un quartiere di Damasco di ieri, dei quali non sappiamo abbastanza in ordine allo svolgimento effettivo dei fatti e delle responsabilità delle parti  in causa. Infatti, tale utilizzo strumentale è finalizzato ad ordire una trama bellica di tipo imperialistico cui occorre opporsi fermamente.



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