di
Norberto
Fragiacomo
Il 15 settembre prossimo è annunciato, a
Trieste, un derby sui generis che, se
non richiamerà una folla paragonabile a quella che quattro decenni orsono
riempì il Grezar, promette comunque di far riassaporare alla città un rigurgito
di anni ’70.
Trieste Libera-Pro Patria: sembra davvero
un match di quarta serie, ma l’ironia – anche se lecita – giova a poco. Due
cortei attraverseranno il centro, in orari diversi: l’augurio è che non ci
siano provocazioni né scontri, anche perché gli organizzatori di evento e
contro-evento sono in feroce disaccordo su passato, presente e futuro – in
pratica, su tutto, e in tempi di esasperazione generale un’invisibile scintilla
può far divampare paurosi incendi.
Il movimento guidato da Roberto
Giurastante – più un cavaliere errante che un Masaniello – capitalizza, a parer
mio, la disperata domanda popolare di proposte e soluzioni alla crisi. Quella
di Trieste Libera è semplice e accattivante: rifacciamo il TLT, attualmente “in
sonno”, e nel frattempo, se possibile, chiediamo che l’amministrazione del
nostro territorio sia affidata all’Austria felix.
Una garanzia di “bubane” che fa presa su molti, ma risulta fondata su una ricostruzione storico-giuridica parziale e discutibile. E’ un dato di fatto che già nell’autunno ’43 l’Italia ha perduto la sovranità (di fatto e di diritto) sulle terre giuliane, e che tale perdita è stata confermata dal Trattato di Pace di Parigi, istitutivo del Territorio Libero di Trieste. Il problema, per i nuovi indipendentisti, è che a un certo punto la Zona A viene riconsegnata all’amministrazione fiduciaria del Governo Italiano e che, in un momento successivo, le potenze firmatarie del Trattato rinunciano a mettere all’ordine del giorno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU la nomina del Governatore, figura rimasta sempre sulla carta.
Una garanzia di “bubane” che fa presa su molti, ma risulta fondata su una ricostruzione storico-giuridica parziale e discutibile. E’ un dato di fatto che già nell’autunno ’43 l’Italia ha perduto la sovranità (di fatto e di diritto) sulle terre giuliane, e che tale perdita è stata confermata dal Trattato di Pace di Parigi, istitutivo del Territorio Libero di Trieste. Il problema, per i nuovi indipendentisti, è che a un certo punto la Zona A viene riconsegnata all’amministrazione fiduciaria del Governo Italiano e che, in un momento successivo, le potenze firmatarie del Trattato rinunciano a mettere all’ordine del giorno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU la nomina del Governatore, figura rimasta sempre sulla carta.
Come interpretare questa decisione? Io la
interpreto – perdonatemi il latinorum
– come un contrarius consensus per facta
concludentia, cioè una tacita abrogazione
della norma internazionale istitutiva della nuova entità. A quel punto
l’amministrazione provvisoria italiana (poco importa se dello Stato o del
Governo) diviene definitiva, indipendentemente da qualsiasi trattato, da Osimo
in poi.
Perché la restituzione di Trieste e
provincia alla sovranità italiana non è stata formalmente sancita? Perché non
ce n’era bisogno: il diritto internazionale si fonda sul principio di
effettività, oltre che su mutevoli rapporti di forza, e l’accordo tra i due principali
pretendenti alla Venezia Giulia (vale a dire Italia e Jugoslavia) mise la
parola fine alla querelle.
Anche se così non fosse (e così è), gli
amici di Trieste Libera - e i tanti entusiasti divulgatori della buona novella
che si incontrano in bus e nei bar – dovrebbero avere la compiacenza di
rispondere a una domanda: quale Stato avrebbe oggi la forza e soprattutto l’interesse a sollevare la questione
triestina in sede ONU? Si tratterebbe, infatti, nel mondo reale, di un
gravissimo sgarbo all’Italia, non privo di conseguenze.
Tante perplessità sul messaggio
indipendentista, dunque, ma questo non significa sostenere le insostenibili
“ragioni” di Pro Patria.
Questo gruppo raccogliticcio, formato per
lo più da esponenti della nociva destra locale, rinuncia a contestazioni di
tipo giuridico, e persino a ricordare che, dal ’18 in poi, Trieste è sempre
stata economicamente assistita dall’Italia, persino negli anni del GMA. A detta
obiezione si potrebbe ribattere che questo è vero, ma che strappandola all’Austria
il Regno sabaudo ha privato Trieste di linfa vitale, retroterra e ragion
d’essere (Angelo Vivante l’aveva previsto, il nazionalista Timeus ovviamente
no), che il nostro porto è stato sacrificato alle esigenze degli scali della
penisola, che i soldi destinati dai vari governi nazionali alla Venezia Giulia
hanno l’odore di quelle rette pagate da un genitore indifferente all’istituto
che ospita un figlio non desiderato e un po’ imbarazzante. In fondo – mi
concedo un piccolissimo esempio – lo ammettono pure i “regnicoli” che l’Italia
ferroviaria finisce a Mestre…
Insomma, su tali questioni poteva aprirsi un dibattito persino stimolante, ma Pro Patria preferisce fare appello ai soliti argomenti, triti e ritriti, della destra locale: l’irredentismo, il sacrificio di centinaia di migliaia di soldati italiani ecc. ecc.
Francamente, questa retorica a costo zero
(hanno già pagato i morti!) mi dà un enorme fastidio: quei poveri contadini e
operai non creparono sul Carso perché smaniavano di diventare eroi, ma perché
mandati al massacro da una borghesia cinica e ingorda, nell’ambito di una
guerra di aggressione imperialista – banalissima verità, questa, che chi vive
di rendita sulla menzogna dell’italiano “civilizzatore” (chiedere a libici ed
etiopi, oltre che ai vicini sloveni) non ammetterà mai, vuoi perché
elettoralmente non gli conviene, vuoi perché non spreca il suo prezioso tempo a
leggere libri di Storia degni di questo nome.
Trieste Libera contro pro Patria, dunque:
illusione contro stantia retorica nazionalista. Confesso che mi ripugna assai
più la seconda.
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