LA ROSS@ PRIMAVERA DI GIORGIO L’IRRIDUCIBILE
Cremaschi a Trieste: se la sinistra fa la destra, vuol dire che è destra
di
Norberto Fragiacomo
Ai primi d’un ottobre nato d’inverno e sbocciato in primavera, Giorgio Cremaschi ha fatto tappa a Trieste, città alla quale, per ragioni familiari, si dice assai legato.
Una giornata intensa, la sua, da sindacalista vecchio stampo: nel pomeriggio una riunione coi compagni triestini della Rete 28 Aprile (ciò che resta dell’opposizione in CGIL, dopo il riallineamento “critico” di Maurizio Landini); la sera, poi, sfidando il vento e la stanchezza, la presentazione di Rossa@ (Resistenza, Organizzazione, Socialismo, Solidarietà, @nticapitalista), movimento politico/non partitico sorto pochi mesi fa, nella Bologna che un tempo aveva quel colore.
Quanti eravamo ad ascoltarlo nella saletta della Scuola interpreti e traduttori di via Filzi? Tra i trenta e i cinquanta, a seconda dei momenti; ma sono certo che nessuno degli intervenuti ha rimpianto il televisore acceso e il tepore di casa, perché Cremaschi è un oratore coinvolgente, straordinario, e solo in quella stupida scatola che abbiamo in soggiorno può essere messo sotto dai cloni malriusciti di Santoro che, senza curarsi di argomentare, abusano dell’immenso potere concesso al conduttore (allineato). Democrazia televisiva, appunto. Una democrazia da “Mondo nuovo” (Huxley).
L’introduzione della serata spetta a Fabio Feri, colonna del Movimento No Debito giuliano (che ha organizzato l’evento). Parla con la sobrietà e la compostezza di un professore di fisica, traccia il bilancio (positivo) di un’esperienza collettiva, rivendica la giustezza delle scelte fatte in un altro autunno, quello del 2011: “oggi in Italia pare esserci meno disponibilità alla lotta rispetto a due anni fa. Anche Berlusconi si piega alla BCE. Resta l’invito a creare un’area di sinistra credibile. La nostra bussola deve essere l’interesse della classe lavoratrice.”
Cremaschi annuisce, un mezzo sorriso sul volto alla Jannacci; poi, venuto il suo turno, comincia con una domanda (“chi ce lo fa fare?”), e si/ci risponde: “lo facciamo perché ne sentiamo la necessità. Provo disgusto per la giornata di oggi… ma vi rendete conto che la UE ha scoperto che Giovanardi è uno statista? Alfano, Quagliariello, Sacconi: salvatori della patria!” Una smorfia di disgusto, largamente condivisa.
L’inizio è soft, a paragone del prosieguo: per Cremaschi (e non solo per lui) Berlusconi e il PD sono la stessa cosa, “litigano di giorno e rubano insieme di notte. Governano assieme perché sono d’accordo” su ciò che conta davvero: l’asservimento alle oligarchie europee, la privatizzazione strisciante di ciò che resta dell’impresa italiana, una politica di austerità finalizzata a ridistribuire il reddito a beneficio delle classi abbienti. I duelli rusticani tra politicanti furbi e inadeguati sono “una gigantesca finzione, che assorbe e devasta la politica, occultando le cose vere… e intanto, nel complice silenzio dei media, l’IVA è aumentata.”
Come fermarli?, si chiede; ma prima di darsi e darci una risposta riassume gli sconquassi degli ultimi tre decenni. “Da trent’anni siamo stati abituati a considerarci delle merci che si vendono al mercato.” L’ex presidente della FIOM ne ha pure per i sindacati, compresa l’amata-odiata Cgil: bolla la loro richiesta di un governo vero come “ridicola”, surreale – perché questo governo è “verissimo”, nel senso che persegue obiettivi non dichiarati né dichiarabili, ma ben definiti.
L’oratore si accalora, strappa applausi e sospiri, esprime giudizi sferzanti che potrebbero dispiacere a qualche osservante di sinistra: basta con questa litania dei politici che rubano! È stata solo una scusa per dare “tutto ai banchieri.” Di Grillo dice, molto giustamente, che “non è affatto il demonio, ma come possono credere, lui e i suoi, che tagliando gli stipendi dei parlamentari usciremo dalla crisi? Se razionalizzassimo, tagliassimo gli F35, abbandonassimo l’Afghanistan e il vergognoso progetto della TAV risparmieremmo dieci miliardi l’anno… cosa sono dieci miliardi a fronte degli ottanta che versiamo annualmente alle banche a titolo di interesse?” Il pareggio di bilancio in Costituzione, poi, è un’autentica follia, una follia di cui nessuna trasmissione tv “di sinistra” ha parlato. “Disinformano sempre”, chiosa, e poi carica lancia in resta: “la Costituzione non la sta attaccando solo Berlusconi. Ci sono anche il PD e il monarca Napolitano. La Costituzione si difende lottando contro Napolitano!” Sono cose di cui siamo consapevoli, ma è bello sentirle gridare da un sindacalista - da un uomo – che mai ha mendicato le briciole del sottopotere.
Torna, Cremaschi, su quegli ottanta miliardi, cerca di tradurre il concetto evanescente, astratto in effetti concreti, toccabili con mano: “se devo pagare quella cifra in condizioni di pareggio di bilancio, occorre tagliare le spese. Questo succede già in Grecia: è l’austerità all’infinito, l’austerità che si autoalimenta. Ma di queste cose in Italia non si parla”, aggiunge sconsolato, e non finisce qui: grazie al Fiscal Compact, dal 2015 quegli ottanta miliardi diventeranno centoventi. “Finiremo come la Grecia. In Grecia non c’è più uno Stato; le banche, dopo aver comprato tutto quel che c’era da comprare, hanno fatto un concordato. Noi siamo di fronte a questo. La disoccupazione cresce perché è voluta, al pari dei danni collaterali nelle guerre.”
Non colpa, dunque, bensì dolo intenzionale – un preciso disegno di “normalizzazione” delle relazioni economico-sociali in senso gerarchico, favorito da una crisi che, di conseguenza, non deve terminare anzitempo.
Non soltanto massimi sistemi: anche “piccole” vicende di cronaca. Il caso EXPO: Cgil, Cisl e Uil hanno stretto un accordo con la giunta milanese, quella arancione di Pisapia, esaltato come speranza della sinistra (l’oratore ride amaro). Il risultato? 19.200 posti di lavoro gratis, in deroga – pensate un po’! – alla famigerata Legge Fornero, che i sindacati e certi progressisti per finta ritengono, evidentemente, troppo favorevole ai lavoratori. “Hanno ripescato l’articolo 8 di Sacconi! La disoccupazione di massa serve a creare lavoro gratis”: è l’esercito di riserva che si schiera, senza uniformi né armi, e – soprattutto – senza potere contrattuale. Camusso, Berlusconi, Letta, Pisapia, Renzi: carte da gioco estratte da un unico mazzo.
Cremaschi prende fiato, poi riserva un’ironica frecciata al Movimento Trieste Libera (business is business: una Trieste indipendente potrebbe diventare un grande centro di raffineria delle droghe per conto del Cartello di Medellin!), ma le questioni che gli stanno a cuore sono evidentemente altre: “senza una critica anticapitalistica, senza una lotta va in crisi la democrazia. Deve dirci il Papa che se passa l’idea di produttività a tutti i costi si scartano le persone? Il c.d. merito è usato per dire che uno deve «meritarsi» lavoro, istruzione, sanità… ti devi meritare i diritti, e persino di vivere. Quanto vogliamo andare avanti con una politica così? Stanno usando la crisi per cambiarci la vita. Oggi i redditi in Italia sono in picchiata, mentre i duemila più ricchi del Paese hanno visto aumentare il loro reddito del 7%.”
La soluzione? Rompere con questa Europa, che ci sta schiavizzando, per ricostruirla dalle fondamenta - e, naturalmente, ritornare a fare paura ai ricchi, come cinquant’anni fa. “Ci vuole una rottura”, sottolinea, dopo aver elogiato a sorpresa quell’Enrico Berlinguer che, vedendo lontano, aveva avversato l’ingresso dell’Italia nello SME: “se fosse vissuto più a lungo, Berlusconi non avrebbe vinto manco un’elezione.”
Ross@ è un percorso, non una meta o un partito: l’unica possibilità che ci resta è “riunire le forze antagoniste”, senza rincorrere – come fanno Landini e Rodotà – l’irredimibile PD.
Cremaschi si avvia a concludere: “un’ultima cosa ci insegna Berlinguer, la coerenza personale. Anche i livelli di reddito di chi fa politica a sinistra devono cambiare. Non bastano le idee: ci vuole la pratica. Se la sinistra fa la destra, vuol dire che è destra.”
L’indomabile sindacalista si siede, e sorseggia un bicchiere d’acqua. I rimasti si levano in piedi ad applaudire, con calore e mestizia insieme, una delle ultimissime voci della sinistra italiana.
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