L’AVVENTO DEL TOTALITARISMO “DEMOCRATICO” NELLA PROFEZIA DI ALDOUS HUXLEY (1958)
di
Norberto Fragiacomo
Il grande saggista e scrittore inglese Aldous Huxley morì cinquant’anni fa, lo stesso giorno dell’assassinio di John F. Kennedy a Dallas.
Malgrado il suo pessimismo di fondo sulla natura umana (si legga, a riprova, l’opera principale “I diavoli di Loudun”, in cui i veri diavoli sono gli esseri umani tutti), Huxley era un democratico convinto e piuttosto tradizionalista, che considerava comunismo e capitalismo alla stregua di ideologie totalitarie e perniciose: non a caso i protagonisti del suo “Mondo nuovo” (1932) hanno cognomi come Marx, Bakunin, Rothschild, e nomi come il buffissimo Lenina dell’avvenente miss Crowne. La trovata, tanto spiritosa quanto rivelatrice delle idiosincrasie dell’autore, è stata presa a prestito da Altieri per il suo Magdeburg, ma il lascito di Aldous Huxley non è solamente ideologico-letterario. Il nostro è, infatti, un attento e preoccupato osservatore dell’animo umano che, alla maniera di uno psicostorico (figura inventata dal suo quasi collega Isaac Asimov), anticipa le tendenze evolutive della società, tracciando un quadro cupo ma attendibile del futuro.
Nell’ultimo capitolo – significativamente intitolato “Che fare?” - di “Ritorno al mondo nuovo”, del ’58, Huxley scrive: “Crescendo senza controllo popolazione e organizzazione, è probabile che nei paesi democratici noi assisteremo al rovescio del processo che fece dell’Inghilterra una democrazia, serbando intatte le forme esteriori della monarchia. (…) crescendo l’efficacia dei mezzi per la manipolazione dei cervelli, le democrazie muteranno natura; le antiche, ormai strane, forme rimarranno: elezioni, parlamenti, Corti Supreme eccetera. Ma la sostanza, dietro di esse, sarà un nuovo tipo di totalitarismo non violento. Tutti i nomi tradizionali, tutti i vecchi slogan resteranno, esattamente com’erano ai bei tempi andati. Radio e giornali continueranno a parlare di democrazia e libertà, ma le due parole non avranno più senso. Intanto l’oligarchia al potere, con la sua addestratissima élite di soldati, poliziotti, fabbricanti del pensiero e manipolatori del cervello, manderà avanti lo spettacolo a suo piacere.”
Ebbene, a cinquantacinque anni di distanza dalla pubblicazione del saggio la “profezia” si è integralmente realizzata, nel senso che ci viviamo dentro. “Rimarranno elezioni, parlamenti…”: seguitiamo, infatti, a tracciare crocette e a pagare gli “eletti dal Popolo”: ma a che pro? L’irrilevanza delle une e degli altri è sotto gli occhi di quasi tutti, oggi, perché l’annichilente crisi economica ha funto da lente di ingrandimento. In certi casi l’inutilità dell’istituzione è sancita dalle norme vigenti: si pensi al Parlamento Europeo formato, per l’appunto, da 736 parlatori, che insieme non possono decidere nulla e singolarmente non hanno neppure la facoltà di iniziativa legislativa. Quanto all’approvazione delle norme, conta la volontà del Consiglio dei Ministri, rigorosamente non elettivo. Residuerebbe, è vero, il potere di censurare l’operato della Commissione, costringendola alle dimissioni, ma le stesse regole di funzionamento dell’assemblea lo rendono de facto non esercitabile. Chi comanda, allora? Comandano i tecnocrati, che di nascosto (=non in seduta pubblica) emanano le norme concrete destinate ad impattare sull’esistenza dei cittadini europei. A cosa servono allora le elezioni europee che si tengono ogni cinque anni? Almeno in Italia, a tastare il polso dell’esecutivo in carica e a sistemare qualche decina di “trombati” alle politiche. Il Parlatorio europeo è una finzione scenica, le votazioni uno stanco rito.
Non che nei singoli Stati ex sovrani le cose vadano in maniera differente. Assistiamo, in tutto il continente, al formarsi di grandi (Germania, Austria, Olanda ecc.) o piccole coalizioni, di direttori che prescindono dalla volontà popolare ritualmente espressa. Le assemblee legislative sono ormai del tutto esautorate: i governi impongono la loro visione a colpi di fiducia e decreti legge, incassando la sottomissione dei parlamentari di maggioranza ed ostracizzando le sparute opposizioni dal gioco normativo, quando non addirittura dalle aule. La teoria dell’elettore mediano ha ispirato la corsa al bipolarismo/bipartitismo, che penne asservite spacciano per garanzia di governabilità, laddove lo scopo segretamente perseguito era ed è quello di dar vita a forze politiche apparentemente alternative, in realtà accomunate dalla prona accettazione dei dogmi liberalcapitalisti (rinverditi, nei ruggenti anni ’80, da Laffer&co). Quelle fondamentali, che il banchiere JP Morgan vorrebbe abrogate perché troppo “socialiste”, sono carte che non cantano più: nell’era della post-democrazia formale è fisiologico che un Presidente della Repubblica travalichi quotidianamente le sue funzioni, senza curarsi di quella Costituzione che dovrebbe difendere. Guai però a chi ardisce chiedergli conto delle sue azioni: “radio e giornali (e naturalmente la tv) continueranno a parlare di democrazia e libertà”, rovesciando tonnellate di sterco sui pochi oppositori, additati come fascisti, populisti, eversori ecc. “Democrazia e libertà”: ricordate quel che scrivevo una settimana fa, a proposito delle primarie del PD? Milioni di elettori condizionati si avvolgono nel sostantivo “democrazia” o nell’aggettivo “democratico” come in una coperta di Linus, esorcizzando col nuovo abracadabra il totalitarismo avanzante. “Fabbricanti del pensiero e manipolatori del cervello” ci ammanniscono uno spettacolo senza interruzioni; contro i refrattari (e i disperati) l’oligarchia al potere schiera la sua “addestratissima élite di soldati e poliziotti”, pronta a disperdere (per adesso!) a manganellate i contestatori più coscienti e determinati.
Aldous Huxley ha dunque previsto tutto? Sì e no. Paradossalmente il suo affresco (anzi, i suoi due affreschi: quello del ’32 e il successivo del ’58) è meno drammatico del presente in cui annaspiamo: il pensatore inglese riteneva che, in cambio del controllo assoluto, l’élite oligarchica avrebbe concesso ai governati un livello sufficiente di benessere. Panem et circenses, ma pure case confortevoli, viaggi e servizi. L’errore di valutazione non stupisce: Huxley scrive in pieno keynesismo, non può prevedere l’evoluzione subita, nei decenni successivi, dalla teoria economica, il ritorno in auge della mano invisibile, la curva truffaldina di mr. Laffer. Il Governatore Mustafà Mond, ne “Il mondo nuovo”, non sottopone i membri delle classi inferiori a ritmi massacranti: bastano sette-otto ore di lavoro poco impegnativo, poi ci sono il soma (la droga inebriante) e lo svago. Per i reggitori in carne ed ossa del nostro mondo questo non è sufficiente: oltre al potere vogliono la ricchezza, tutta la ricchezza. Siccome hanno studiato Marx (la testimonianza è di Eric Hobsbawm), sanno che per estrarre maggior plusvalore dalle maestranze è necessario farle lavorare di più, sempre di più – e che, d’altra parte, perché il sistema capitalista non vada in malora occorre costringerle a spendere. Se le meraviglie dell’i-pad non seducono l’impiegato in bolletta c’è un unico modo per drenare i suoi residui risparmi: privatizzando i servizi essenziali – sanità, istruzione dei figli, acqua, trasporti pubblici. Il cittadino fissa impietrito bollette stratosferiche, fatica a pagare i tributi (in continua crescita); i più sfortunati perdono la casa, i “privilegiati” faticano per quattro soldi, e intanto i media di regime continuano a sproloquiare di “democrazia, libertà” e altre balle.
Si produce improvvisamente un cortocircuito: l’indottrinamento è sopraffatto dal crollo repentino del tenore di vita, e al primo richiamo l’uomo comune accorre in piazza. Dev’essere un richiamo del branco, rozzo e primordiale, un grido di rivolta lanciato al cielo: questo spiega il successo degli ambigui “forconi”, che sbraitano ma non propongono alcunché di concreto, e alla prima occasione si azzuffano tra loro. Un po’ di paura ai governanti la fanno, anche perché la scadentissima, mal cooptata élite italiana è impreparata a tutto – e tuttavia la repressione violenta sembra riservata agli studenti che cantano “Bella ciao”. Per quale ragione? Secondo me, perché i giovani – a torto o a ragione – sono percepiti dall’oligarchia come più motivati, combattivi, istruiti (malgrado il sacco della scuola pubblica)… e dunque come potenziali “rivoluzionari”. Tumulti locali e jacquerie sono più facilmente gestibili di un fermento rivoluzionario, e rappresentano il pretesto ideale per un giro di vite repressivo, per il passaggio da un totalitarismo morbido ad uno muscolare (sempre in nome della democrazia, cui anche il neofranchista Rajoy formalmente si inchina ). Questo in teoria, poiché la realtà è prevedibile solo all’ingrosso: il sistema potrebbe persino collassare, in un Armageddon finiano che nessuno si augura.
In un contesto sfuggente e caotico ma indiscutibilmente “nuovo”, la Sinistra potrebbe provare a uscire dal pantano utilizzando la prossima campagna elettorale europea per sensibilizzare i lavoratori del continente alle mistificazioni su cui si regge il progetto UE, agli interessi e agli obiettivi dell’élite… per cercare non di assecondare una rabbia disperata, ma di incanalarla in una direzione precisa e fruttifera. Tocca spezzare il cerchio magico, o perire.
Mi rendo conto che questi sono soltanto generici buoni propositi, ma il tramonto della democrazia formale è oramai un doloroso dato di fatto con cui non possiamo non confrontarci.
bell'articolo, ripubblicato sul mio blog. Mantenere la forma e svuotare la sostanza, infatti.
RispondiEliminaNella parte finale non mi ci vedo molto, comunque ok.
Hanno costruito questo bel marchingegno usando parole d'ordine di sinistra: la pace dei popoli, contro i nazionalismi, moneta comune, ecc...
Con queste parole - e altre - danno da intendere che l'europa è una cosa buona e di sinistra, che attaccarla sarebbe di destra, quando tu stesso scrivi che il parlamento europeo è una finzione o suppergiù. Capito il trucco?
Ma se questa finzione toglie la democrazia, volere di nuovo la democrazia sarebbe un ritorno al nazionalismo becero. Ci fregano con le parole. Usano l'appartenenza ideologica delle persone per manipolarle.