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venerdì 13 dicembre 2013

Una riflessione sugli eventi di piazza di questi giorni, di Riccardo Achilli


di Riccardo Achilli

L’esplosione sociale che tanto è stata preconizzata, e direi anche, con scarsissimo senso di responsabilità politica, intimamente desiderata da componenti della sinistra radicale, si sta materializzando in questi stessi giorni. La classe politica evidenzia la sua distanza siderale dal Paese reale, dando cenno di non aver compreso affatto il tunnel in cui siamo entrati. Alfano etichetta il tutto sotto la voce “ordine pubblico”, Renzi discetta incomprensibilmente di protesta cattiva, quella di Milano, versus protesta buona, ovvero quella di Torino, e si illude di gettare discredito sui manifestanti che scendono a migliaia in tutta Italia ricordando la scenetta di uno dei leader del Movimento che si presenta in Jaguar. Berlusconi, in modo totalmente surreale, minaccia la rivoluzione se dovesse essere arrestato, non capendo che i sanculotti stanno già iniziando a convergere sul Palazzo, e non certo per salvare lui. Letta dà segno di non aver capito assolutamente niente di ciò che succede nel Paese, definendo lo sciopero selvaggio dei Forconi come la protesta di una fazione minoritaria di una singola categoria, quella degli autotrasportatori, quando invece si tratta di una vera e propria ondata umana che raccoglie tutte le espressioni del disastro sociale voluto dalla Trojka e imposto, fra l’altro, anche dal PD: elementi della piccola borghesia di tutti i generi (non solo autotrasportatori, imprenditori agricoli e pescatori, che costituiscono il nucleo originario dei Forconi, ma anche commercianti, ambulanti, edicolanti, persino i tassisti) insieme a disoccupati, precari, lavoratori dipendenti impoveriti, immigrati, studenti. Tutti accomunati dalla rovina sociale, dalla cancellazione delle proprie legittime aspettative di vita, dallo spettro della povertà che è oramai entrato stabilmente nelle loro case. L’altro ieri, ero a bordo di un treno di pendolari bloccato dai Forconi che occupavano i binari. Naturalmente, nessun politico ha mai viaggiato su un simile treno, e quindi nessuno si rende conto dell’umore della gente: non solo i viaggiatori non hanno protestato per la lunga attesa ed hanno atteso compostamente e tranquillamente che il treno potesse ripartire, ma una signora mi ha anche detto: “perderò la giornata di lavoro, ma non me la sento di condannare i contestatori, hanno avuto perlomeno il coraggio di scendere in piazza”. Letta, che parla di protesta minoritaria dentro il Paese, Alfano, che riduce il tutto ad una deriva ribellistica di fazioni, non hanno assolutamente il polso della situazione reale.

E al contempo, per il classico effetto di contagio che si verifica quando la situazione sociale è arrivata al punto di non ritorno, dopo la protesta dei Forconi esplode, sia pur per motivi diversi, l’Università di Roma: una vera e propria guerriglia urbana fra studenti e polizia dentro la città universitaria impedisce a Letta ed a Napolitano di presenziare ad un innocuo convegno. Il centro della capitale si trasforma in un carosello di cortei di protesta: la Fiom, i giovani medici, e chi più ne ha più ne metta. E, direi con una certa sicurezza, siamo solo all’inizio.


Quel che resta della sinistra italiana (e preciso che sto anche criticando me stesso), anziché cercare di dare una direzione politica a questa esplosione, offrendo ipotesi di soluzioni concrete di politica economica e sociale a chi protesta, cade nella più classica trappola della sinistra borghese: condanna le violenze, chiede che le manifestazioni siano pacifiche, come se fossimo in tempi normali ed ordinari, come se fosse possibile chiedere di mantenere un contegno a chi è disperato, a chi non ha futuro. E si esercita a reperire e sottolineare le visibilissime derive sansepolcriste che caratterizzano le frange più politicizzate della protesta dei Forconi: le violenze contro chi non manifesta, i libri bruciati in piazza, i richiami nazionalisti ed antieuropei, le promesse nemmeno tanto velate di “fare piazza pulita” dei “plutodemocratici”, le nostalgie di qualche bella Giunta militare. Derive sansepolcriste che sono esattamente la responsabilità di quella sinistra, che non è stata a sufficienza a contatto con il cuore sofferente del Paese, perdendo tempo a discutere di tattiche di posizionamento politico/parlamentare o di primarie del PD. Chi si proclama di sinistra dovrebbe aver letto qualcosa di Marx, e sapere che è del tutto fisiologico che la piccola borghesia, che non ha una identità di classe ben definita, oscilli, in periodi di crisi, fra un ribellismo rabbioso e rancoroso ma senza coscienza politica e il sogno di imitare in piccolo la borghesia medio-grande. E che tale oscillazione, in assenza di direzione politica da parte di una sinistra di classe, finisca inevitabilmente per svariare verso destra, contagiando anche gli spezzoni a minor cultura politica del sottoproletariato urbano e del proletariato terziarizzato e precarizzato, incapace di formarsi una coscienza di classe per il rapporto instabile con i mezzi di produzione e per la segmentazione interna al proletariato stesso, fra “stabili” e “precari”, messi artificiosamente gli uni contro gli altri.

Peraltro, invocare il rischio di una deriva fascista nell'immediato è anche une colossale errore. Sappiamo bene che il fascismo nasce sempre come autodifesa delle classi dominanti di fronte al pericolo di sovversione dei rapporti sociali di produzione. In questo momento (salvo evoluzioni successive) le classi dominanti sono soddisfatte di un Governo e di un Parlamento che fanno le politiche liberiste sulle quali sono (ancora) d'accordo. Quindi non hanno, per il momento, interesse a svoltare in senso autoritario. Inoltre, un pericolo sovversivo reale non proviene da jacqueries magmatiche, prive di solida organizzazione politica e robusta piattaforma ideologica/programmatica, come quella inscenata dai Forconi, che infatti sarà (momentaneamente) neutralizzata. Ma da forze politiche organizzate, disciplinate in modo ferreo, dotate di una forza militare o paramilitare consistente, addestrata, ben armata, con garanzie di impunità nella propria azione sovversiva.

Quale sarebbe oggi l’antagonista in grado di incamminare verso una deriva fascistoide le proteste di piazza? Il M5S? E’ bene ricordare che il M5S non ha nessuna caratteristica antagonista, è anzi il “gatekeeper” del sistema, un falso antagonista creato ad arte per tenersi in pancia una fascia di elettorato di protesta, neutralizzandolo. Non solo per quanto già esplicitamente dichiarato, più volte, da Grillo stesso (“la Casta dovrebbe ringraziarmi, perché io sono l’unico che impedisce che esploda una rivolta violenta”) ma anche per i comportamenti concreti, sistematicamente a favore del sistema costituito. Non inganni l’esortazione di Grillo ai poliziotti di unirsi ai manifestanti: si tratta in realtà di un modo per evitare che ciò accada. Chiunque conosca minimamente la storia dei colpi di Stato militari sa benissimo che una organizzazione rigida come quella militare (o come quella paramilitare dei reparti antisommossa della polizia) non viola dal basso le consegne di lealtà ricevute, ma lo fa dall’alto, se e soltanto se una parte dello Stato Maggiore, o quanto meno un gruppo di ufficiali intermedi (come avvenne nel caso della “rivoluzione dei garofani” portoghese o anche nel caso della rivoluzione bolivariana) defeziona. Ora, che fra le Forze Armate e di polizia serpeggi molto scontento per i tagli di spesa operati non vi è alcun dubbio. Tuttavia, quand’anche un proposito sovversivo dovesse aleggiare (e ne dubito moltissimo, perlomeno peri l momento) un’esortazione a rendere pubblico il proprio dissenso, come quella di Grillo, lo farebbe automaticamente rientrare. Nessuno è così stupido da esporsi in pubblico senza essere sicuro di avere alle spalle un sostegno già definito e pronto immediatamente ad agire, e questo sostegno, per formarsi, ha bisogno di lavorare dietro le quinte, in segretezza, senza qualcuno che sistematicamente punti il dito contro il pericolo di defezione, attivando quindi un faro di attenzioni speciali, e le contromisure del sistema. A ulteriore riprova, non solo Grillo non ha mai ricevuto i dirigenti dei Forconi, ma lui stesso, ed i parlamentari del suo Movimento, stanno prendendo, ad uno ad uno, le distanze dalla rivolta, denunciandola.

Ovviamente inutile parlare di Forza Italia o della Lega, che opportunisticamente stanno cercando di salire sul dorso della tigre, come possibili aggregatori di una deriva fascista: sono troppo piccoli e sputtanati per essere credibili. O del microcosmo dell’estrema destra, da Casa Pound in poi, che non ha le dimensioni critiche per aggregare le proteste attorno a sé, e che sta giocando un ruolo da comprimario, non da protagonista principale. Per il momento, quindi, non c’è nessun rischio concreto di colpo di Stato, sovversione fascista o quant’altro. Quella che si sta creando, per il momento, nelle frange più pericolose del magmatico e molto differenziato movimento dei Forconi, è soltanto l'avvio di primi segnali in direzione della creazione della base sociale di un possibile fascismo di ritorno, ma la base sociale, quand'anche si creasse effettivamente, se non è mossa da una organizzazione politica forte, di per sé non produce niente.

Il rischio, piuttosto, è un altro, ed è un rischio di medio periodo, non immediato: che la rivolta continui ad estendersi per diverso tempo, senza nessuna capacità da parte della sinistra, di SEL, di chi sta a sinistra di SEL, di fornire una risposta efficace, in termini di proposte di governo, di possibili soluzioni democratiche ai bisogni ed alla disperazione di chi protesta. E che dal pentolone in continua ebollizione, alimentato da risposte che, ovviamente, saranno progressivamente sempre più repressive, prima o poi emerga, dal basso, forgiata dal fuoco della lotta, la figura di un Viktor Orbán de’ noantri, un leader accreditato dal basso, uno “del popolo”, qualcuno in grado di prendere un oppositore di plastica come Grillo, inzupparlo nel caffellatte e mangiarselo. In grado di orientare la rivolta, di darle una direzione politica, di tipo nazionalista, demagogico, neocorporativo e violentemente antieuropeo, portando il Paese ad un bagno di sangue “purificatore”, e poi ad un modello criptofascista non dissimile da quello ungherese. Costui potrebbe trovare una saldatura fra la piazza e una parte della borghesia nazionale, oramai convintasi dell’incapacità, da parte delle istituzioni democratiche, di bloccare una protesta sociale che, proseguendo nel tempo e continuando a tenere il Paese in condizioni di semi paralisi, ne minerebbe gravemente gli interessi produttivi, e oramai talmente esasperata da essere disposta anche ad affrontare il salto nel buio di un’uscita dall’euro. Ma finché non emergerà una simile figura, finché i presunti leader si sputtanano facendosi vedere in Jaguar, niente di tutto ciò avverrà.


Ci sono quindi ancora alcuni mesi per evitare un simile scenario. SEL, in quanto forza più consistente di ciò che resta della sinistra, insieme alla Fiom, deve muoversi per prima, deve elaborare un pacchetto di proposte che dia una risposta alla disperazione, deve cercare l’interlocuzione con la parte pacifica del movimento di protesta, evitando ovviamente le frange violente e pericolose. Senza aver paura di scontrarsi con il PD, che oramai è palesemente fuori dai giochi della comprensione degli eventi. E chi sta a sinistra di SEL, se ha ancora un briciolo di coscienza, deve abbandonare atteggiamenti da puzza sotto il naso, e collaborare.  

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