RISCHI IMMEDIATI E RISCHI PIU' LONTANI DI UNA CRISI IRRISOLTA
di Riccardo Achilli
Più volte è stato evocato il rischio dell'esplosione di una nuova bolla finanziaria sui mercati, nel prossimo futuro di questa infinita crisi. E' del tutto evidente che le politiche economiche e monetarie messe in atto in questi anni sono state tutte quante mirate a ripristinare il captialismo finanziarizzato che ci ha messi nei guai. Di fatto, l'intero corpo delle politiche monetarie e sul mercato creditizio è stato mirato a ripulire i portafogli bancari dagli asset più tossici, a restituire liquidità che stava drammaticamente venendo meno (la massa di M3 nell'area-euro cresce del 3,9% fra 2011 e terzo trimestre 2013, M2, nel mercato monetario statunitense, cresce addirittura del 13,7% fra gennaio 2012 e dicembre 2013, grazie alle misure di espansione moentaria messe in piedi dalla Fed), a ripristinare credibilità delle banche sui mercati, anche tramite regolamenti molto più prudenziali del passato (Basilea 3) e nell'insieme a coprire il sistema bancario da un tracollo sistemico, anche tollerando una stretta creditizia senza precedenti (basti pensare che, nell'area-euro, il totale del credito è sceso del 2% fra 2009 e terzo trimestre del 2013).
Le stesse politiche di austerity dei bilanci pubblici nazionali e le famigerate "riforme strutturali" dei mercati nazionali del lavoro, dei sistemi formativi, del livello di intervento pubblico in economia, servono, da un lato, a ripristinare il valore delle quotazioni dei titoli del debito pubblico in pancia alle banche, riducendo il rollover risk e dolorose svalutazioni patrimoniali, e dall'altro, a ripristinare condizioni di ripresa, sia pur momentanea, del tasso di profitto generale, al fine di far ripartire la domanda di investimenti e di credito, oggi ancora languente, evitando che il valore azionario e finanziario superi di troppi multipli il valore reale sottostante di imprese e produzioni, facendo quindi ripartire la grande giostra dell'investimento finanziario.
Ciò ha di fatto replicato il sistema che ha creato la crisi, senza (quasi) aggiustamenti (se non alcune marginali correzioni di rotta rispetto ad un maggior monitoraggio preventivo dei rischi sistemici sui mercati, ad una maggiore trasparenza dei dati dei mercati over-the-counter, ad una maggiore informazione per il piccolo risparmiatore, a regole più coordinate di vigilanza bancaria transnazionale, ad una modesta e poco ambiziosa lotta ai paradisi fiscali e bancari, a qualche minimo ripensamento sulla confusione fra attività commerciale e speculativa delle banche, che per ora riguarda solo gli USA, a qualche inefficace rivendicazione di inefficaci tasse sulle transazioni finanziarie). Credo che basti un dato solo: secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, l'ammontare totale del valore dei derivati scambiati su mercati over-the counter, nel 2012, raggiunge i 633 mila miliardi di dollari (circa 9 volte il PIL totale mondiale) superando l'ammontare che circolava all'inizio della crisi (che a fine 2007 era di 600 mila miliardi).
E quindi la probabilità di una nuova disastrosa bolla finanziaria, che ci riporterà indietro di altri cinquant'anni nel benessere collettivo, è pari al 100%. Rimane solo da capire quando arriverà. Io credo che non arriverà subito. Gli indici di borsa, benché sotto tensione per via dei rapidi incrementi registrati su tutte le principali piazze finanziarie occidentali in questi ultimi mesi, sono ancora entro livelli normali. Ad esempio, il Dow Jones, al 17 gennaio, registra ancora una variazione negativa (-0,7%) sull'anno precedente, nonostante i recenti rapidi rialzi; il Nasdaq, tipicamente mercato molto speculativo, è cresciuto solo dello 0,5% annuo, Londra dell'1,2%, Zurigo del 3,4%, Tokyo è ancora in calo dello 0,7%. Inoltre, è del tutto prevedibile che il tapering messo in programma dai nuovi vertici della Fed ridurrà la velocità di crescita delle transazioni finanziari, riducendo la liquidità. Infine, se è vero che il valore totale dei derivati Otc è leggermente superiore a quello di inizio crisi, l'esposizione creditizia lorda, cioè il rischio sistemico di default unilaterale fra le controparti di un contratto derivato, è in discesa, dal 23% dei valori di mercato lordi di metà 2007, al 15% a fine 2012.
Ci vorrà quindi ancora qualche tempo prima che un'altra grossa bolla esploda (provo a buttarla lì "nasometricamente": forse altri 10 anni? Sicuramente non meno di 5 anni). Vi sono però rischi molto più immediati, che potrebbero verificarsi molto prima, e vanificare quella sorta di mini-ripresa, più simile ad una malinconica stagnazione, che si sta materializzando nell'area-euro, ed azzerare la ben più robusta ripresa economica degli USA e la vitale, anche se per alcuni versi rallentante, crescita giapponese. Molto sinteticamente tali rischi (che possono ovviamente combinarsi l'uno con l'altro simultaneamente, oltre che presentarsi singolarmente) sono:
- l'esplosione del problema del bilancio federale degli USA: benché l'accordo bipartisan conceda agli USA, per il 2014 ed il 2015, una elevazione consistente del tetto del debito federale, oramai il debito pubblico aggregato (ovvero comprensivo di agenzie federali, statali e locali) raggiunge il 125,5% del PIL, è in crescita sempre più rapida ed è probabile che, dal 2017, una nuova amministrazione repubblicana intenda mettere mano alla questione, con effetti devastanti, perché il debito privato è pari al 250% del PIL, quindi non c'è risparmio privato mobilizzabile per compensare il debito pubblico, e quindi l'ombra di una austerity a Stelle e Strisce, con effetti recessivi per l'intera economia mondiale, non è tanto incoraggiante. Alcuni assaggi di ciò che significherebbe ci sono già stati: lo shutdown, con migliaia di dipendenti pubblici a casa senza salario, la dichiarazione di bancarotta di una grande metropoli come Detroit, con il taglio diretto di servizi pubblici essenziali:
- il riaggiustamento, già in atto, del disavanzo commerciale USA, condito anche dal tapering, che già sta avendo effetti devastanti su numerose economie emergenti, che in questi anni hanno funzionato da "buffer di sicurezza" per le economie europee alle prese con il calo della domanda interna, con i lrischio di produrre un calo del commercio internazionale che si sovrappone, in Europa, ad una domanda domestica ancora languente; senza contare gli effetti di un dollaro rafforzato, per via della stretta monetaria incombente, sui prezzi delle materie prime energetiche;
- l'esplosione del mercato bancario europeo. Nonostante anni di politiche di sostegno, il sistema bancario europeo manifesta ancora rischi di tipo sistemico irrisolti. Un recente studio indipendente del Ceps rivela che il sistema bancario europeo avrebbe bisogno di 50-60 miliardi di nuove ricapitalizzazioni, in linea con quanto afferma la Bce, solo nel caso in cui non si verificassero nuovi shock. Se, ad esempio, le attuali sofferenze bancarie dovessero essere classificate fra i crediti irrecuperabili, tale esigenza supererebbe di gran lunga i 200 miliardi, arrivando, nel caso estremo, fino a 435 miliardi. Se poi vi fosse un nuovo calo degli indici di borsa, l'esigenza di capitalizzazione arriverebbe a quasi 580 miliardi, in caso di calo del 40% in sei mesi. Si tratta di cifre non recuperabili dai mercati o dagli esistenti strumenti finanziari della Ue.
Di fronte a tale rischio, l'attuale meccanismo di unione bancaria appare largamente inadeguato, perché ritarda in modo insopportabile la creazione del fondo europeo di backstop, lasciando per altri 10 anni la questione nelle mani delle meno ingenti e meno efficaci finanze nazionali, perché affida la guida del sistema di risoluzione delle crisi bancarie ai veti reciproci nazionali del Consiglio europeo, perché esclude dal suo raggio di intervento importanti spezzoni del sistema bancario europeo, ad esempio il sistema delle Sparkassen tedesche, che ha effetti sistemici sull'intero mercato creditizio. In fondo, si è rinunciato a perseguire la strada delle nazionalizzazioni dei sistemi bancari, che, attraverso operazioni di M&A e fusioni oculate fra banche in crisi e banche in attivo, sotto la guida del decisore pubblico, avrebbe condoto ad una ristrutturazione complessiva del sistema bancario europeo, l'unica strada perseguibile per uscire dal rischio, ancora presente, di collasso sistemico, con effetti devastanti, nemmeno lontanamente immaginabili.
In conclusione, ci troviamo di fronte ad una situazione ancora esplosiva, densa di minacce, costituita dal fatto che non è stato fatto alcun significativo progresso strutturale per risolvere i nodi gordiani di una crecita alimentata dalla finanza, e non possiamo in alcun modo considerarci "in uscita" dal tunnel. Questi anni di pesanti sofferenze sociali rischiano di essere stati spesi invano.
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