BREVIARIO CAPITALISTICO
di Fausto Rinaldi
Nella definizione di Werner Sombart, il capitalismo è
"un'organizzazione economica di scambio, in cui collaborano, uniti dal
mercato, due gruppi diversi della popolazione, i proprietari dei mezzi di
produzione (...) ed i lavoratori nullatenenti, e che è dominata dal principio
del profitto e del razionalismo economico".
Secondo Max Weber "il capitalismo si identifica
con l’aspirazione al guadagno nell’impresa capitalistica razionale e
continuativa, e ad un guadagno sempre rinnovato, ossia alla redditività.
Il capitalismo è un sistema economico in cui la
produzione di beni e servizi viene prevalentemente svolta da imprese private,
le quali scambiano questi beni e servizi sulla base di un sistema di prezzi che
si forma (almeno in base alla teoria) liberamente sul mercato, in ragione del
rapporto esistente tra domanda e offerta. Nel modo di produzione
capitalistico, il mercato è al centro degli equilibri di sistema (pur non
rappresentandone la condizione ultima: quindi, necessaria ma non sufficiente);
gli scambi sono regolati dalla legge della domanda e dell’offerta; i fattori di
produzione (compresa la forza lavoro) sono pagati in moneta, la quale diventa
un elemento fondamentale per il funzionamento dell’economia capitalistica e per
il relativo calcolo razionale di costi e ricavi (la ratio contabile).
Nondimeno, l’insieme delle meccaniche che conducono al
buon funzionamento di un sistema capitalistico devono essere innestate in un
tessuto sociale che ne favorisca lo sviluppo e la continuazione; questa
commistione tra la necessità economica di un sistema produttivo e la sua
contemperazione con gli equilibri sociali e civile di una collettività, ha dato
luogo allo “Stato capitalistico” (definizione che, nella società attuale viene
declinata, a fini edulcoratori, in “democrazia”).
L’obiettivo di creare una società capitalistica si
persegue attraverso la creazione di condizioni giuridico-istituzionali che
garantiscano e tutelino i “diritti di proprietà” (elemento centrale nel
processo di costituzione dello Stato borghese) e garantendo alla “volontà
di impresa” la più ampia libertà, in tutti i campi e in tutte le direzioni.
Perciò, il capitalismo necessita di un “habitat normativo” che ne favorisca lo
sviluppo e la continuazione, anche per mezzo di sistemi che limitino le
possibili interferenze da parte del potere politico o di qualunque altro
soggetto sociale.
Unità atomica del capitalismo è l’impresa. Le
imprese, che sul mercato perseguono la creazione del massimo profitto, entrano
tra loro in un conflitto basato sulla competitività e sulla concorrenza.
Brevemente, le imprese possono essere intese come sottosistemi organizzati
gerarchicamente che combinano conoscenza tecnologica, gestione economica dei
fattori produttivi e razionalizzazione dei processi di produzione per ottenere
una merce o un servizio da immettere sul mercato con l’intenzione di trarre da
ciò un profitto sufficiente a generare una ricreazione del processo produttivo.
All’impresa, e alla figura dell’imprenditore innovatore, Schumpeter attribuisce
una funzione decisiva nello sviluppo delle dinamiche del mercato capitalistico.
Almeno nella forma di impresa originaria, la figura dell’imprenditore è quella
che racchiude in sé lo spirito generatore del capitalismo, attraverso la
copertura di molteplici ruoli, quale quello direttivo e amministrativo del
lavoro, reclutamento della forza lavoro, assunzione del “rischio d’impresa” sia
sotto il profilo economico che quello giuridico.
Un’altra caratteristica peculiare del capitalismo è
che il lavoro, attraverso cui il capitalista giunge alla creazione di un
profitto, non è più parte di una particolare relazione sociale, in cui un uomo
lavora per un altro in cambio di una qualche forma di sussistenza (come, ad
esempio, nei rapporti di servitù tipici del periodo feudale), bensì, diventa
una merce da collocare sul mercato come qualsiasi altra.
Come detto, il sistema capitalistico è,
essenzialmente, un sistema sociale che si è affermato attraverso la
penetrazione di un modello culturale propagatosi grazie alla identificazione
del profitto come unico punto di riferimento per il progresso della convivenza
civile, e che si è sviluppato nel corso dei secoli, soppiantando le diverse
forme di società tradizionali (sulla datazione delle origini del sistema
capitalistico esistono posizioni differenti: Smith fa risalire la fase iniziale
all’XI secolo, Pirenne al XII, Wallerstein al XV, Marx e Weber nel XVII).
Sulle condizioni che hanno prodotto la germinazione e
l’espansione del capitalismo hanno dibattuto diversi pensatori; un’interpretazione classica viene fornita da Max Weber nel suo “L’etica
protestante e lo spirito del capitalismo”, in cui attribuisce una
significativa corrispondenza tra la credenza in certi valori religiosi, quelli
propugnati dall’etica protestante di ispirazione calvinista, e lo “spirito del
capitalismo”; cioè, di una particolare condotta economica volta alla ricerca di
profitti sempre maggiori, grazie all’utilizzo razionale dei mezzi di
produzione. Pertanto, il calvinismo, improntato a una visione del mondo
favorevole a condotte economiche razionali, ha rivestito un ruolo decisivo come
fattore culturale capace di dare una propulsione decisiva, in Occidente e non
altrove, all’ espandersi dei valori propri dell’ accumulazione capitalistica.
In particolare, è la dottrina calvinista della “predestinazione” (in base alla
quale l’ uomo sia salvato o dannato in funzione di un insondabile e misterioso
decreto divino, e che nulla possa essere compiuto in terra dall’uomo per
mutare la volontà di Dio) che, sospingendo il singolo individuo in una sorta di
isolamento interiore, la cui incertezza riguardo la propria salvezza, porterà a
fare dell’ ascetismo la sola risposta sul piano della condotta morale alla
dottrina della predestinazione. Pertanto, una condotta di vita laboriosa e
morigerata, onde non finire tra i peccatori e avere una speranza di essere tra
i prescelti; un‘ ascesi “intramondana” da conquistarsi attraverso il lavoro e
il conseguimento di una “Beruf”, una posizione nel mondo, nel’ ambito di una
professione. Rispetto ad altre forme di capitalismo sviluppatesi altrove (Cina,
Egitto, nell’ antichità greco-latina), le caratteristiche del capitalismo
occidentale di matrice protestante sono da individuarsi nell’ estrema
razionalità dell’ organizzazione, con una forza lavoro gestita attraverso
manodopera libera, grande ricettività nei confronti dell’ innovazione
tecnologica, estensione dei mercati e una contabilità perfezionata.
Per contro, Werner Sombart, riteneva che il
puritanesimo, con il suo rifiuto per gli aspetti mondani e profani dell’
esistenza, fosse un fiero nemico dell’ etica capitalistica e che, invece,
fossero cristianesimo ed ebraismo ad avere svolto un ruolo propulsore per l’
affermazione del capitalismo. Nel cattolicesimo, la Chiesa condannava la
ricchezza proveniente dal prestito ma non quella proveniente dall’ investimento
di capitali; mentre, nel Giudaismo, la morale di fondo è favorevole anche a una
ricchezza fondata anche sul prestito a usura.
Entrambi questi autori spostavano l’ attenzione delle
origini del capitalismo su fattori eminentemente culturali, contrariamente a
quanto aveva fatto Marx nel XXIV° capitolo de “Il Capitale”, in cui faceva
risalire la nascita del capitalismo a un fattore economico, la cosiddetta
“accumulazione originaria del capitale”; ossia, la concentrazione di ricchezza
nelle mani di una minoranza (la borghesia capitalistica) ai danni di una gran
massa di individui dotati unicamente della propria “forza-lavoro” (proletariato).
Quindi, una concezione legata al “materialismo storico”, secondo cui la cultura
è un derivato della struttura economica e dei rapporti di forza tra le classi
sociali che, entro questo ambito, si sviluppano. Relativamente all’
Inghilterra, Marx identifica l’ origine dell’ accumulazione del capitale con l’espulsione dei contadini dalle terre, tra la fine del XV° secolo e l’ inizio
del XVIII°, mediante le “enclosures”, con cui si avvia avvia "il processo
storico di separazione del produttore dai mezzi di produzione". A seguito
della nuova riforma agricola inglese, normata dagli “Enclosures Act”, vengono
chiusi i cosiddetti “open fields” (campi adibiti al libero sfruttamento) e i
latifondi vengono consegnati ai nobili, che si ritrovano a gestire in forma
monopolistica il settore agricolo. Alla base dell’ intero processo c’è, quindi,
l’ espropriazione delle terre, requisite ai coltivatori per essere trasformate
in pascoli per le pecore che producevano la lana destinata all’ industria
manifatturiera. Da un’ agricoltura feudale, che aveva avuto un carattere
collettivo, basato sulla coltivazione di terre comuni, i contadini, allontanati
dalle terre da cui ricevevano l’unica sussistenza, sono costretti a fluire
entro le periferie delle aree urbane, dando origine a ghetti e mettendo a
disposizione dei capitalisti una larga base di manodopera a bassissimo costo.
Questa espropriazione ha determinato il rafforzamento della classe dei ricchi
fittavoli, non più solamente interessati alla rendita fondiaria quanto a trarre
un profitto dalla terra, quindi intesa come un capitale. Perciò, secondo Marx,
i prodromi del capitalismo vanno collocati entro le trasformazioni che si sono
prodotte all' interno della struttura economica feudale.
Quindi, è dall’analisi delle condizioni economiche che bisogna fare riferimento per
comprendere le origini del capitalismo.
Un'ulteriore interpretazione sulla genesi del
capitalismo ci viene fornita da Adam Smith, il quale, ne “La ricchezza delle
Nazioni” del 1776, riconduce le origini del capitalismo alle condizioni di
“anarchia feudale” che si sviluppò in Europa dopo la caduta dell’ Impero
romano. Intorno all’ anno Mille, il conflitto tra il potere temporale dell’
Impero e quello spirituale della Chiesa, aveva consentito alle città-Stato di
approfittare del vuoto di potere, generato da questo conflitto, per costruire
una struttura politico-amministrativa che prevedeva un proprio consiglio
cittadino, un corpo di magistrati, un proprio governo e una propria milizia. La
contemporanea assunzione di diritti politici da parte dei cittadini, condusse
alla garanzia che i proventi del loro lavoro non sarebbero stati espropriati
indebitamente e che, gli stessi, si sarebbero potuti tramandare per successione
testamentaria. Le città-Stato diventarono, quindi, gli unici luoghi in cui i
piccoli capitali accumulati da parte di industriosi individui potessero essere
garantiti; conseguentemente, per molti divenne conveniente spostarsi in questi
rifugi, a garanzia dei loro capitali. Di fatto, in questo modo, veniva
istituzionalizzata la “proprietà privata” e create le condizioni per la nascita
di un’ “economia di mercato”, regolata dalla legge della domanda e dell’
offerta e mossa dalla costante ricerca di un profitto. Sempre secondo Smith, se
le città mercantili e manifatturiere fossero state sconfitte nella loro lotta
secolare per l’ autonomia e , quindi, se il potere fosse rimasto in mano a un
governo dispotico come in Oriente, il capitalismo non sarebbe mai nato in
Occidente. Pertanto, è dalle particolari condizioni politico-istituzionali
sviluppatesi nel Basso medioevo che devono essere ricondotte le origini del
capitalismo moderno. Caratterizzato dalla innovazione tecnologica e dell’organizzazione dell’impresa; portatore di profonde trasformazioni sociali e
culturali; fondato sulla “libera” cessione da parte dei lavoratori della
propria forza-lavoro; il capitalismo, negli ultimi decenni, ha subito una
profonda trasformazione (sulle cui cause il dibattito è aperto e vivace) che ne
ha profondamente modificato l’ orientamento: da capitalismo industriale
(prevalentemente dedicato alla produzione materiale) a capitalismo finanziario
(maggiormente dedito alla speculazione finanziaria).
Nel capitalismo industriale l’obiettivo è quello
dell’ accumulazione di capitale per mezzo dell’attività produttiva, mentre la
dimensione più propriamente finanziaria riguarda la fase intermedia di raccolta
del denaro, necessario a gestire l’ attività produttiva (macchinari, assunzione
dei lavoratori, altri beni capitali).
Nel capitalismo finanziario, il profitto si fa
rendita, laddove la preferenza negli investimenti viene trasferita al mercato
speculativo che, anche grazie a una ampia liberalizzazione normativa attuata, a
livello mondiale, dal potere politico, permette un’ alta redditività dei
capitali investiti , senza prevedere le occorrenze organizzative necessarie per
dare corso al ciclo produttivo.
Una delle cause di questa trasformazione affonda le
radici nella trasformazione che, sul finire del XIX° secolo, si determinò sulla
struttura e sull’ assetto proprietario della forma organizzativa dominante
dell’ impresa moderna: la “Società per Azioni”. Con le S.p.A., la vecchia forma
di proprietà legata ad assetti familiari decade; al suo posto, viene a
costituirsi una struttura anonima, dove la proprietà frazionata in più soggetti
(determinata in base al possesso di “azioni”), anche non direttamente coinvolti
nell’ attività di impresa, consente una raccolta più ampia di capitali e di
ridurre la responsabilità dei soci, che si limita a riguardare il solo valore
delle azioni sottoscritte.
Lo spostamento di sempre più ingenti risorse dalla
produzione alla speculazione finanziaria ha, da un lato, modificato gli
equilibri invalsi nelle logiche del sistema capitalistico, portando con sé il
rischio di un inceppamento nei meccanismi di produzione(a causa della
sottrazione di risorse destinate ai processi produttivi); mentre, dall’ altro,
ha messo in moto processi di concentrazione di ricchezza (dal “parco buoi” ai
grandi investitori istituzionali), dando origine a processi di
“finanziarizzazione” esiziali per le povere risorse dei piccoli risparmiatori
(dalla creazione di credito “facile”, alla spinta agli investimenti di Borsa
attraverso la piattaforma Internet, per arrivare agli investimenti speculativi
dei fondi pensione).
nessun riferimento a come mai dal profitto produttivo il moderno capitalismo è approdato alla rendita finanziaria. Quali sono state le ragioni, i motivi materiali che hanno reso possibile, necessario questa trasmutazione?
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