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giovedì 13 marzo 2014

SOLLEVAZIONI PROSPETTICHE di Fausto Rinaldi




SOLLEVAZIONI PROSPETTICHE 

di Fausto Rinaldi




Al punto in cui è giunta la società borghese occidentale, il "che fare" non può che incentrarsi su come le masse debbano partecipare a titolo pieno nella conduzione politica, sociale ed economica di una nazione. E' necessaria una modificazione profonda degli equilibri che hanno originato l'attuale subordinazione degli interessi della collettività rispetto a quelli provenienti da minoranze elitarie, saldamente alla guida dei processi di governo nelle democrazie occidentali.
Il termine "democrazia" è un significante assurdo, il cui senso compiuto si disperde nella defezione nascosta della verità, inoculata dal potere dei media, e che si sostanzia nella sistematica falsificazione ideologica, nel ribaltamento, "ad usum Delphini", di una cosa nel suo contrario.

La belva neoliberista divora le nostre esistenze perché anestetizzati e distratti dalla pressante corruzione mentale perpetrata dalla propinazione di contenuti mediatici avvelenati e strumentali.
La non identificazione dell'individuo in una determinata classe è lo scopo manifesto della propagazione di un io racchiuso in un individualismo proprietario in grado di rendere il singolo incapace di traguardare i confini dell'interesse personale.
Perdendo il senso di appartenenza ad una classe ben delineata, abbiamo abbandonato il controllo dell'unica arma che potesse consentire ai lavoratori di mutare i rapporti di forza con la borghesia imprenditoriale capitalistica.
Aver inseguito stoltamente i valori consumistici borghesi ha prodotto la perdita di quella spinta ideale in grado di aggregare le masse lavoratrici intorno a valori di solidarietà umana, fondamentali nella costruzione di una società di eguali.
Una rivalutazione del "comune", inteso come bene collettivo da difendere dalle brame degli interessi di élites economiche, diventa ineludibile: per far ciò, la classe lavoratrice deve risorgere e compattarsi, riacquistando coscienza ed orgoglio.
La "revanche" proletaria non potrà che originarsi da una solida costruzione dei diritti di classe negati da sempre, da una presa di coscienza politica e culturale che possa condurre ad una riappropriazione dei beni collettivi, estorti da secoli di capitalismo predatorio. Sarà necessario sovvertire la scala di valori di matrice borghese che ha contaminato - attraverso la veicolazione massmediatica - le permeabili coscienze di molti; bisognerà ricostruire forti rapporti di solidarietà e cooperazione in un rinnovato clima di socializzazione ed aiuto reciproco;  slegare la percezione di sé dalla egoistica volontà competitiva e sopraffattoria; abbandonare la brama dell'appropriazione materiale.
E, attraverso la rivalutazione dei beni collettivi, ricostruire su basi etiche il rapporto tra l'uomo, il soddisfacimento delle sue necessità primarie e l'ambiente, costruendo un legame positivo tra produzione e salvaguardia ecologica. Per quanto tempo ancora vorremo assistere alla distruzione dell'ambiente con il solo risultato di veder arricchire qualche spregiudicato imprenditore, lasciando che i costi sociali siano scaricati sull'intera collettività?
Solo rianimando una solida coscienza di classe nel proletariato (la "classe per sé" marxiana) sarà possibile sperare in una società edificata su valori opposti a quelli della decadente borghesia d' Occidente..
Ma, dopotutto, esiste ancora il proletariato?
Normalmente, con proletariato si intende la massa delle classi con redditi bassi o minimi, in contrapposizione alle minoranze detentrici del potere economico; nella teoria economica marxiana, il termine designa la classe lavoratrice in quanto composta da operai salariati, cioè operai che portano sul mercato non i prodotti del lavoro, ma la stessa forza-lavoro quale merce, in quanto non detentrice dei mezzi di produzione.
Ormai perduta quell'omogeneità dei tempi in cui vaticinava Marx, la classe lavoratrice ha subito, negli anni e attraverso le polimorfiche declinazioni assunte dal capitalismo, offensive formidabili da parte delle classi egemoni, pronte a schierare tutte le armi a disposizione pur di disgregare, colonizzare, contaminare, disperdere la coscienza di classe del proletariato.
L'avvento del neoliberismo, in qualità di monocultura economica a livello planetario, pare aver assestato un colpo definitivo alla coscienza collettiva; i processi di cambiamento strutturale del capitalismo, con lo spostamento delle manifatture verso Sud geografici o economici; la definizione di sistemi premianti "ad personam" e di prebende "una tantum"; la ricusazione dei contratti collettivi di lavoro; la ghettizzazione delle sigle sindacali non acquiescenti; la definizione di micro gerarchie entro l'ambito lavorativo; hanno prodotto una segmentazione della classe lavoratrice, con la conseguente formazione di un "ceto medio" che, custode di tutta una pletora di dettami borghesi  e consumistici saldamente conficcata nel proprio immaginario valoriale, ha creduto di potersi affrancare dai propri legami sociali e tentato di "assurgere" cercando di conquistare un posto alla "destra del Padre". Obiettivo amaramente fallito.
Ora che la classe padrona agita il cribro della "selezione di ritorno", solo pochi scampati riusciranno a non scivolare lungo il crinale che conduce ai nefasti della loro condizione originaria; tutti gli altri dovranno prendere atto delle mutate condizioni e ridefinire la propria percezione dei valori sociali, allo scopo di organizzarsi per affrontare emergenze che non possono più essere espunte da un'analisi onesta della realtà.
E' sulla dicotomia sviluppo-sottosviluppo - e la conseguente espansione di istituzioni e organizzazioni internazionali (Banca Mondiale, Ong, istituti di ricerca, università globali) -  che si è plasmata la divisione internazionale del lavoro nella seconda metà del Novecento; se si vuole, la continuazione del colonialismo con altri mezzi.
Il capitalismo viene definito dall'insieme delle strutture politiche, sociali, culturali ed ideologiche che permettono - anche attraverso la loro interazione - l'egemonia del capitale; e, dunque, la continuità dei processi di valorizzazione e accumulazione.
Amaramente,  va via via sgretolandosi la speranza di giungere ad una concezione del mondo che non veda dominare aride formule di ingegneria economica sui destini delle persone; che la vita e la salute di bambini non debba dipendere dalle decisioni del consiglio di amministrazione di qualche remoto hedge fund; che i valori collettivi possano finalmente prevalere sull'interesse materiale di qualcuno.
Tristemente, oggi il capitalismo non subisce nessuna resistenza e la propagazione di teorie concorrenti - in grado, cioè, di prefigurare orizzonti che non siano schiacciati sulla plurisecolare logica dell'accaparramento delle risorse ad uso di profittabilità - viene ostacolata dalla diuturna conclamazione del pensiero unico neoliberista, ad opera di un arcipelago di "mediatori d'informazione" in grado solo di propagare notizie gradite all'"establishment". Non esiste un'opposizione sociale (per la mancanza di una classe sufficientemente coesa e dotata di un "corpus" valoriale in grado di opporsi all'imbarbarimento capitalistico), né un fronte politico capace di indicare vie alternative (destra e sinistra condividono il ruolo di ancelle al "dominus" neoliberista), né una delegittimazione filosofica (gli intellettuali sono “gramscianamente” organici ad un potere al quale forniscono - ben remunerati - modelli interpretativi ideologicamente proni agli interessi della classe dominante). A fronte di ciò, si assiste ad una propagazione planetaria incontrollata di un modello socio-economico unico, ed al contrabbando dell'idea che il sistema capitalistico sia da considerarsi come un definitivo approdo - e a cui si possa naturalmente associare il principio di "fine della storia".
Esiste la volontà in chi comanda di mutare gli equilibri, i rapporti di forza che hanno originato le attuali condizioni della nostra società?
Anche una superficiale analisi degli attuali panorami politici, ci può suggerire - parafrasando Mark Twain - che "il nemico muove alla nostra testa" e che, quindi, sia perlomeno azzardato ritenere che i cambiamenti alla presente situazione possano essere operati da coloro i quali ne sono i maggiori beneficiari. Questa concezione "ingenua" dei rapporti politico-sociali, attraverso i quali i cittadini si vedono schiacciati in una condizione di paralizzante impotenza, viene sistematicamente propalata dagli agguerriti giannizzeri del mondo dell'informazione; l'incongruenza di tale impostazione si conclama ogniqualvolta la classe politica viene chiamata a ratificare iniziative che, in qualche misura, si incarichino di modificare quei rapporti di forza e quegli equilibri in funzione dei quali si è venuta a determinare quella classe che, a buona ragione, può essere definita come una vera e propria "casta" privilegiata.
Semplicemente, la classe politica italiana (ma, più in generale, dei Paesi a capitalismo avanzato) svolge un ruolo meramente ratificatorio in relazione a decisioni e volontà assunte altrove, e che ne travalicano l'originario ruolo: la classe politica è nell'unica sua forma e funzione possibile; null'altro potrebbe originare da una pletora di servitori (ben remunerati) al servizio di potentati economici - sovranazionali e non -  alle cui dipendenze si sono e sono stati collocati ormai da decenni. Va da sé che tentare di elaborare sofisticate teorie di rigenerazione del sistema partitico sia un mero esercizio retorico - forse utile a differire l'irrinunciabile sostituzione di questa classe parassitaria con uomini e meccanismi politici in grado di assicurare una reale partecipazione della collettività alle decisioni importanti dello Stato.
Le attuali forme della pallida democrazia borghese hanno dato luogo ad inaccettabili distorsioni nella rappresentanza della volontà generale ed alla sua traduzione normativa, in grado di orientare le manifestazioni dello Stato in quanto tale.
Ma, quali sono le condizioni politiche e sociali che possano originare una così pesante sudditanza delle masse popolari nei confronti di poteri economici oligopolistici manifesti ed occulti?
Quali sono gli strumenti attraverso i quali la coercizione viene così spregiudicatamente esercitata?
Come l'egemonia (in senso gramsciano) ha potuto così efficacemente chiudere le nostre menti e spegnere i nostri cuori?
Semplicemente, tecnostruttura ed esercizio manipolatorio del potere ideologico, perpetrato attraverso l'utilizzo scientifico dei mezzi di informazione di massa.
Categorie di professionisti organici ("embedded"), schierati a difesa di un potere che si afferma, nei loro confronti, in forma "remunerativa" e, pertanto, perfettamente "legittimato" - i principi di legittimazione di un potere sono quelli attraverso i quali i dominati riconoscono la correttezza e la coerenza sociale del loro ruolo, benché subordinato, nella totale accettazione dell'autorità costituita - nelle figure sociali dei "funzionari del capitale" (intellettuali, giornalisti, docenti universitari, giuristi, avvocati, economisti, etc.).
L'immaginario capitalistico, configuratosi dopo il crollo del Muro di Berlino, si è spinto ad abbracciare ogni parte del vissuto dell'individuo, imponendo un imperio di simboli esistenziali votato ad ottenere l'assoluta acquiescenza del soggetto ai principi dell'appropriazione competitiva di merci ed oggetti feticizzati. Si assiste alla rappresentazione di una umanità che affonda nel "mare magnun" dell'offerta commerciale, in un'apoteosi di desideri e volontà indistinte e compulsive, la cui esperienza di appropriazione assurge al ruolo di unica possibile esperienza di vissuto sociale. Si giunge, per questa via, alla canonizzazione dello "status symbol", feticcio ultimo di espressione di sé nella proiezione consumistica dell'io asservito alla crudele "lex consumatoria" imposta dalla società capitalistica.
Ogni uomo appartenente ad una società deve avere come diritto inalienabile quello ad un'esistenza nella quale possa dare luogo al completamento ed alla riproduzione morale, psicologica, sociale ed affettiva della propria esistenza: che mai nessun genitore si debba trovare nell'impossibilità di assicurare la continuazione dignitosa dei propri affetti famigliari.
Per non perdere la speranza di poter consegnare alle generazioni future un mondo capace di rivolgersi alla mente e al cuore dell'uomo -  e non a suoi interessi materiali - occorre elaborare ipotesi di società composte da individui che abbiano ribaltato le priorità che secoli di capitalismo storico hanno conculcato nella mente delle masse, perseguendo valori alternativi sui quali edificare una società che si rigeneri armonizzando il rispetto per la vita delle persone con quello dell'ambiente; contemperando il rispetto per la libertà individuale - proprio della tradizione liberale - con i principi di uguaglianza e sovranità popolare propugnati dalla tradizione democratica.
Fondamentalmente, la partita si gioca - nell'ambito delle moderne società organizzate - sulla determinazione di quali equilibri debbano essere raggiunti entro il rapporto tra l'interesse privato dell'individuo imprenditore (sublimato al ruolo di "figlio migliore" della società) e quello dell'insieme degli interessi "altri", estranei al tornaconto individuato nel "profitto" ottenuto attraverso l'"impresa". La contemperazione di queste due necessità - e la determinazione del loro reciproco orientamento (convergente o divergente) - informa, da sempre, le leggi dell'economia politica.
Storicamente, questi equilibri sono sempre stati gestiti da una classe politica espressione diretta di una borghesia imprenditoriale intenzionata a non negoziare le proprie istanze di appropriazione della vita dei lavoratori e dell'ecosistema, entità ridotte a mere variabili del modo di produzione capitalistico.
Un radicale cambiamento valoriale deve essere il fulcro della crescita culturale della classe lavoratrice, diventando un approdo sicuro per la crescita intellettuale e morale delle nuove generazioni. Un insieme di valori fondanti capace di opporsi alla dissoluzione intellettuale promossa da una società guidata da chi intenda trasformare le persone - con il loro portato di storie personali, emozioni, sensibilità individuali -  in consumatori manipolabili.
Ritagliarsi spazi di autonomia intellettuale rispetto all'immanenza valoriale inoculata dal materialismo di una società votata ad una cieca produzione dedicata ad un cieco consumo; perseguire un impegno quotidiano per disinnescare la volontà dei mezzi di informazione e il mondo della pubblicità di invadere la fascia di rispetto dell'individuo, violata in ogni singolo momento della quotidianità, nel tentativo di inchiodarne la personalità alle istanze consumistiche di una società organizzata sulla base di una latitanza di quelli che dovrebbero essere i valori fondanti della persona.
Perché non tornare a sentirci intimamente e pienamente uomini, capaci, cioè, di combattere per restituire un futuro ai nostri figli?
Per farlo, occorre sbarazzarsi delle illusioni e delle blandizie che un potere interessato alla nostra obbedienza ci ammannisce (la democrazia, la libertà, la pluralità), al solo scopo di asservire il nostro cuore, la nostra anima, la nostra immaginazione.
Il superamento del sistema capitalistico e la costruzione di una società più giusta e solidale è un obiettivo che non può mancare nel bagaglio morale e culturale di un uomo che voglia dirsi migliore, di un uomo che sia in grado di consegnare ai propri figli un mondo finalmente ricostruito su basi morali ed etiche completamente affrancate dall'avidità e dall'egoismo.


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