SOLLEVAZIONI PROSPETTICHE
di Fausto Rinaldi
Al punto in cui è giunta la società borghese occidentale, il "che
fare" non può che incentrarsi su come le masse debbano partecipare a
titolo pieno nella conduzione politica, sociale ed economica di una nazione. E'
necessaria una modificazione profonda degli equilibri che hanno originato
l'attuale subordinazione degli interessi della collettività rispetto a quelli
provenienti da minoranze elitarie, saldamente alla guida dei processi di
governo nelle democrazie occidentali.
Il
termine "democrazia" è un significante assurdo, il cui senso compiuto
si disperde nella defezione nascosta della verità, inoculata dal potere dei
media, e che si sostanzia nella sistematica falsificazione ideologica, nel
ribaltamento, "ad usum Delphini", di una cosa nel suo contrario.
La belva
neoliberista divora le nostre esistenze perché anestetizzati e distratti dalla
pressante corruzione mentale perpetrata dalla propinazione di contenuti
mediatici avvelenati e strumentali.
La non
identificazione dell'individuo in una determinata classe è lo scopo manifesto
della propagazione di un io racchiuso in un individualismo proprietario in
grado di rendere il singolo incapace di traguardare i confini dell'interesse
personale.
Perdendo
il senso di appartenenza ad una classe ben delineata, abbiamo abbandonato il
controllo dell'unica arma che potesse consentire ai lavoratori di mutare i
rapporti di forza con la borghesia imprenditoriale capitalistica.
Aver
inseguito stoltamente i valori consumistici borghesi ha prodotto la perdita di
quella spinta ideale in grado di aggregare le masse lavoratrici intorno a
valori di solidarietà umana, fondamentali nella costruzione di una società di
eguali.
Una
rivalutazione del "comune", inteso come bene collettivo da difendere
dalle brame degli interessi di élites economiche, diventa ineludibile: per far
ciò, la classe lavoratrice deve risorgere e compattarsi, riacquistando
coscienza ed orgoglio.
La
"revanche" proletaria non potrà che originarsi da una solida
costruzione dei diritti di classe negati da sempre, da una presa di coscienza
politica e culturale che possa condurre ad una riappropriazione dei beni
collettivi, estorti da secoli di capitalismo predatorio. Sarà necessario
sovvertire la scala di valori di matrice borghese che ha contaminato -
attraverso la veicolazione massmediatica - le permeabili coscienze di molti;
bisognerà ricostruire forti rapporti di solidarietà e cooperazione in un
rinnovato clima di socializzazione ed aiuto reciproco; slegare la
percezione di sé dalla egoistica volontà competitiva e sopraffattoria;
abbandonare la brama dell'appropriazione materiale.
E,
attraverso la rivalutazione dei beni collettivi, ricostruire su basi etiche il
rapporto tra l'uomo, il soddisfacimento delle sue necessità primarie e
l'ambiente, costruendo un legame positivo tra produzione e salvaguardia
ecologica. Per quanto tempo ancora vorremo assistere alla distruzione
dell'ambiente con il solo risultato di veder arricchire qualche spregiudicato
imprenditore, lasciando che i costi sociali siano scaricati sull'intera
collettività?
Solo rianimando una solida coscienza di classe nel proletariato (la "classe per sé" marxiana) sarà possibile sperare in una società edificata su valori opposti a quelli della decadente borghesia d' Occidente..
Solo rianimando una solida coscienza di classe nel proletariato (la "classe per sé" marxiana) sarà possibile sperare in una società edificata su valori opposti a quelli della decadente borghesia d' Occidente..
Ma,
dopotutto, esiste ancora il proletariato?
Normalmente,
con proletariato si intende la massa delle classi con redditi bassi o minimi,
in contrapposizione alle minoranze detentrici del potere economico; nella
teoria economica marxiana, il termine designa la classe lavoratrice in quanto
composta da operai salariati, cioè operai che portano sul mercato non i
prodotti del lavoro, ma la stessa forza-lavoro quale merce, in quanto non
detentrice dei mezzi di produzione.
Ormai
perduta quell'omogeneità dei tempi in cui vaticinava Marx, la classe
lavoratrice ha subito, negli anni e attraverso le polimorfiche declinazioni
assunte dal capitalismo, offensive formidabili da parte delle classi egemoni,
pronte a schierare tutte le armi a disposizione pur di disgregare, colonizzare,
contaminare, disperdere la coscienza di classe del proletariato.
L'avvento
del neoliberismo, in qualità di monocultura economica a livello planetario,
pare aver assestato un colpo definitivo alla coscienza collettiva; i processi
di cambiamento strutturale del capitalismo, con lo spostamento delle
manifatture verso Sud geografici o economici; la definizione di sistemi
premianti "ad personam" e di prebende "una tantum"; la
ricusazione dei contratti collettivi di lavoro; la ghettizzazione delle sigle
sindacali non acquiescenti; la definizione di micro gerarchie entro l'ambito
lavorativo; hanno prodotto una segmentazione della classe lavoratrice, con la
conseguente formazione di un "ceto medio" che, custode di tutta una pletora
di dettami borghesi e consumistici saldamente conficcata nel proprio
immaginario valoriale, ha creduto di potersi affrancare dai propri legami
sociali e tentato di "assurgere" cercando di conquistare un posto
alla "destra del Padre". Obiettivo amaramente fallito.
Ora che
la classe padrona agita il cribro della "selezione di ritorno", solo
pochi scampati riusciranno a non scivolare lungo il crinale che conduce ai
nefasti della loro condizione originaria; tutti gli altri dovranno prendere
atto delle mutate condizioni e ridefinire la propria percezione dei valori
sociali, allo scopo di organizzarsi per affrontare emergenze che non possono
più essere espunte da un'analisi onesta della realtà.
E' sulla
dicotomia sviluppo-sottosviluppo - e la conseguente espansione di istituzioni e
organizzazioni internazionali (Banca Mondiale, Ong, istituti di ricerca,
università globali) - che si è plasmata la divisione internazionale
del lavoro nella seconda metà del Novecento; se si vuole, la continuazione del
colonialismo con altri mezzi.
Il
capitalismo viene definito dall'insieme delle strutture politiche, sociali,
culturali ed ideologiche che permettono - anche attraverso la loro interazione
- l'egemonia del capitale; e, dunque, la continuità dei processi di valorizzazione
e accumulazione.
Amaramente,
va via via sgretolandosi la speranza di giungere ad una concezione del mondo
che non veda dominare aride formule di ingegneria economica sui destini delle
persone; che la vita e la salute di bambini non debba dipendere dalle decisioni
del consiglio di amministrazione di qualche remoto hedge fund; che i valori
collettivi possano finalmente prevalere sull'interesse materiale di qualcuno.
Tristemente,
oggi il capitalismo non subisce nessuna resistenza e la propagazione di teorie
concorrenti - in grado, cioè, di prefigurare orizzonti che non siano
schiacciati sulla plurisecolare logica dell'accaparramento delle risorse ad uso
di profittabilità - viene ostacolata dalla diuturna conclamazione del pensiero
unico neoliberista, ad opera di un arcipelago di "mediatori
d'informazione" in grado solo di propagare notizie gradite
all'"establishment". Non esiste un'opposizione sociale (per la
mancanza di una classe sufficientemente coesa e dotata di un "corpus"
valoriale in grado di opporsi all'imbarbarimento capitalistico), né un fronte
politico capace di indicare vie alternative (destra e sinistra condividono il
ruolo di ancelle al "dominus" neoliberista), né una delegittimazione
filosofica (gli intellettuali sono “gramscianamente” organici ad un potere al
quale forniscono - ben remunerati - modelli interpretativi ideologicamente
proni agli interessi della classe dominante). A fronte di ciò, si assiste ad
una propagazione planetaria incontrollata di un modello socio-economico unico,
ed al contrabbando dell'idea che il sistema capitalistico sia da considerarsi
come un definitivo approdo - e a cui si possa naturalmente associare il
principio di "fine della storia".
Esiste la
volontà in chi comanda di mutare gli equilibri, i rapporti di forza che hanno
originato le attuali condizioni della nostra società?
Anche una
superficiale analisi degli attuali panorami politici, ci può suggerire -
parafrasando Mark Twain - che "il nemico muove alla nostra testa" e
che, quindi, sia perlomeno azzardato ritenere che i cambiamenti alla presente
situazione possano essere operati da coloro i quali ne sono i maggiori
beneficiari. Questa concezione "ingenua" dei rapporti
politico-sociali, attraverso i quali i cittadini si vedono schiacciati in una
condizione di paralizzante impotenza, viene sistematicamente propalata dagli
agguerriti giannizzeri del mondo dell'informazione; l'incongruenza di tale
impostazione si conclama ogniqualvolta la classe politica viene chiamata a
ratificare iniziative che, in qualche misura, si incarichino di modificare quei
rapporti di forza e quegli equilibri in funzione dei quali si è venuta a
determinare quella classe che, a buona ragione, può essere definita come una
vera e propria "casta" privilegiata.
Semplicemente,
la classe politica italiana (ma, più in generale, dei Paesi a capitalismo
avanzato) svolge un ruolo meramente ratificatorio in relazione a decisioni e
volontà assunte altrove, e che ne travalicano l'originario ruolo: la classe
politica è nell'unica sua forma e funzione possibile; null'altro potrebbe
originare da una pletora di servitori (ben remunerati) al servizio di potentati
economici - sovranazionali e non - alle cui dipendenze si sono
e sono stati collocati ormai da decenni. Va da sé che tentare di elaborare
sofisticate teorie di rigenerazione del sistema partitico sia un mero esercizio
retorico - forse utile a differire l'irrinunciabile sostituzione di questa
classe parassitaria con uomini e meccanismi politici in grado di assicurare una
reale partecipazione della collettività alle decisioni importanti dello Stato.
Le
attuali forme della pallida democrazia borghese hanno dato luogo ad
inaccettabili distorsioni nella rappresentanza della volontà generale ed alla
sua traduzione normativa, in grado di orientare le manifestazioni dello Stato
in quanto tale.
Ma, quali
sono le condizioni politiche e sociali che possano originare una così pesante
sudditanza delle masse popolari nei confronti di poteri economici
oligopolistici manifesti ed occulti?
Quali
sono gli strumenti attraverso i quali la coercizione viene così
spregiudicatamente esercitata?
Come
l'egemonia (in senso gramsciano) ha potuto così efficacemente chiudere le
nostre menti e spegnere i nostri cuori?
Semplicemente,
tecnostruttura ed esercizio manipolatorio del potere ideologico, perpetrato
attraverso l'utilizzo scientifico dei mezzi di informazione di massa.
Categorie
di professionisti organici ("embedded"), schierati a difesa di un
potere che si afferma, nei loro confronti, in forma "remunerativa" e,
pertanto, perfettamente "legittimato" - i principi di legittimazione
di un potere sono quelli attraverso i quali i dominati riconoscono la
correttezza e la coerenza sociale del loro ruolo, benché subordinato, nella
totale accettazione dell'autorità costituita - nelle figure sociali dei
"funzionari del capitale" (intellettuali, giornalisti, docenti
universitari, giuristi, avvocati, economisti, etc.).
L'immaginario
capitalistico, configuratosi dopo il crollo del Muro di Berlino, si è spinto ad
abbracciare ogni parte del vissuto dell'individuo, imponendo un imperio di
simboli esistenziali votato ad ottenere l'assoluta acquiescenza del soggetto ai
principi dell'appropriazione competitiva di merci ed oggetti feticizzati. Si
assiste alla rappresentazione di una umanità che affonda nel "mare
magnun" dell'offerta commerciale, in un'apoteosi di desideri e volontà
indistinte e compulsive, la cui esperienza di appropriazione assurge al ruolo
di unica possibile esperienza di vissuto sociale. Si giunge, per questa via,
alla canonizzazione dello "status symbol", feticcio ultimo di
espressione di sé nella proiezione consumistica dell'io asservito alla crudele
"lex consumatoria" imposta dalla società capitalistica.
Ogni uomo
appartenente ad una società deve avere come diritto inalienabile quello ad
un'esistenza nella quale possa dare luogo al completamento ed alla riproduzione
morale, psicologica, sociale ed affettiva della propria esistenza: che mai
nessun genitore si debba trovare nell'impossibilità di assicurare la
continuazione dignitosa dei propri affetti famigliari.
Per non
perdere la speranza di poter consegnare alle generazioni future un mondo capace
di rivolgersi alla mente e al cuore dell'uomo - e non a suoi
interessi materiali - occorre elaborare ipotesi di società composte da
individui che abbiano ribaltato le priorità che secoli di capitalismo storico
hanno conculcato nella mente delle masse, perseguendo valori alternativi sui
quali edificare una società che si rigeneri armonizzando il rispetto per la
vita delle persone con quello dell'ambiente; contemperando il rispetto per la
libertà individuale - proprio della tradizione liberale - con i principi di
uguaglianza e sovranità popolare propugnati dalla tradizione democratica.
Fondamentalmente,
la partita si gioca - nell'ambito delle moderne società organizzate - sulla
determinazione di quali equilibri debbano essere raggiunti entro il rapporto
tra l'interesse privato dell'individuo imprenditore (sublimato al ruolo di
"figlio migliore" della società) e quello dell'insieme degli
interessi "altri", estranei al tornaconto individuato nel
"profitto" ottenuto attraverso l'"impresa". La
contemperazione di queste due necessità - e la determinazione del loro
reciproco orientamento (convergente o divergente) - informa, da sempre, le
leggi dell'economia politica.
Storicamente,
questi equilibri sono sempre stati gestiti da una classe politica espressione
diretta di una borghesia imprenditoriale intenzionata a non negoziare le
proprie istanze di appropriazione della vita dei lavoratori e dell'ecosistema,
entità ridotte a mere variabili del modo di produzione capitalistico.
Un
radicale cambiamento valoriale deve essere il fulcro della crescita culturale
della classe lavoratrice, diventando un approdo sicuro per la crescita
intellettuale e morale delle nuove generazioni. Un insieme di valori fondanti
capace di opporsi alla dissoluzione intellettuale promossa da una società
guidata da chi intenda trasformare le persone - con il loro portato di storie
personali, emozioni, sensibilità individuali - in consumatori
manipolabili.
Ritagliarsi
spazi di autonomia intellettuale rispetto all'immanenza valoriale inoculata dal
materialismo di una società votata ad una cieca produzione dedicata ad un cieco
consumo; perseguire un impegno quotidiano per disinnescare la volontà dei mezzi
di informazione e il mondo della pubblicità di invadere la fascia di rispetto
dell'individuo, violata in ogni singolo momento della quotidianità, nel tentativo
di inchiodarne la personalità alle istanze consumistiche di una società
organizzata sulla base di una latitanza di quelli che dovrebbero essere i
valori fondanti della persona.
Perché
non tornare a sentirci intimamente e pienamente uomini, capaci, cioè, di
combattere per restituire un futuro ai nostri figli?
Per
farlo, occorre sbarazzarsi delle illusioni e delle blandizie che un potere
interessato alla nostra obbedienza ci ammannisce (la democrazia, la libertà, la
pluralità), al solo scopo di asservire il nostro cuore, la nostra anima, la
nostra immaginazione.
Il
superamento del sistema capitalistico e la costruzione di una società più
giusta e solidale è un obiettivo che non può mancare nel bagaglio morale e
culturale di un uomo che voglia dirsi migliore, di un uomo che sia in grado di
consegnare ai propri figli un mondo finalmente ricostruito su basi morali ed
etiche completamente affrancate dall'avidità e dall'egoismo.
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