L’obiettivo dichiarato del Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip) è quello di costruire la più grande area di libero scambio al mondo attraverso l’eliminazione delle barriere, tariffarie e non, che ancora limitano i flussi commerciali tra Europa e Usa. Le previsioni ufficiali in merito ai presunti benefici associati al Ttip non sembrano però esaltare, a fronte della brusca deregolamentazione di cui il Trattato è foriero. È già riscontrabile una divaricazione tra quanto affermano i report ufficiali e gli studi commissionati dalle lobby interessate (la Commissione ha recentemente ridimensionato i dati già forniti ad uno 0.1% di crescita del Pil per entrambe le parti coinvolte nell’accordo, che equivarrebbe ad una crescita risibile dello 0.01% annuo su di un orizzonte di dieci anni.
Ciò che preoccupa maggiormente però è l’assenza, a parte alcune meritorie eccezioni come Attac!, S2B Network e la rete Sbilanciamoci, di una intensa campagna che informi in merito alle conseguenze sociali ed ambientali che un trattato come questo potrebbe produrre. L’obiettivo dei negoziatori è quello di armonizzare le rispettive regolamentazioni in materia di commercio internazionale. Il riferimento nient’affatto implicito è alle differenze che tuttora intercorrono tra Ue ed Usa nelle regole in materia di protezione sanitaria, alimentare, di diritto d’autore e del lavoro. Parlare semplicisticamente di “armonizzazione”, tuttavia, può apparire perlomeno riduttivo se si adotta una prospettiva che identifica in quei “..costi e ritardi non necessari e dannosi per le imprese..” delle conquiste di civiltà irrinunciabili per chi ambisce ad un mondo più giusto e sostenibile dal punto di vista ambientale. È noto infatti come in molti ambiti gli standard Ue, basati sul principio di precauzione, siano più stringenti di quelli Usa ed uno scivolamento verso i livelli di deregolamentazione americani diverrebbe la conseguenza più naturale del Ttip. Si starebbero in questo modo realizzando le ambizioni che le organizzazioni di impresa hanno ripetutamente manifestato negli anni recenti (http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2012/july/tradoc_149720.pdf )
Il primo blocco di diritti ad essere minacciato sono quelli a protezione del lavoro. Potrebbe non essere remota la possibilità che una normativa analoga al “Rights to Works” americano, ribattezzata dai sindacati statunitensi l’Anti-Unions-Act (Greenhouse, S. “States seek laws to curb power of unions”. NYT 3 January, 2011), si affacci con sembianze analoghe anche in Europa. La sostanza liberista di una normativa di questo tipo verrebbe ad alimentare una rinnovata concorrenza al ribasso fra i lavoratori sui loro diritti e le loro retribuzioni. Si tratta esattamente della logica in virtù della quale i recenti governi di emergenza italiani hanno messo mano, flessibilizzandola, alla legislazione in materia di lavoro augurandosi di avere in cambio un salvifico ed ingente afflusso di capitali internazionali.
La conseguenza immediata di un superamento de facto del principio di precauzione sarebbe l’ineffettività di gran parte delle normative europee sulla sostenibilità ambientale. Una delle maggiori fonti di rischio in questo senso è il cosiddetto shale-gas, o “fracking-gas” dalla particolare tecnica estrattiva che contraddistingue questi idrocarburi. Questa tecnica richiede l’uso di una procedura ritenuta letale per le falde acquifere ed il suolo sottostante i giacimenti e le zone ad essi limitrofe. L’approvazione del Ttip potrebbe, anche in questo caso, spalancare le porte dell’Europa (Polonia, Francia e Danimarca sembrano essere le regioni con le più ricche di shale-gas) alle imprese americane del settore le quali potrebbero efficacemente sfruttare i vantaggi competitivi dati da una tecnologia che perfezionano in patria da più di dieci anni.
Non meno importanti sono le limitazioni che la Ue impone all’uso ed all’importazione degli Ogm e delle carni trattate con ormoni o sterilizzate tramite l’uso di cloro. Le barriere che secondo Max Baucus, attuale presidente della Commissione Finanze del Senato Americano, “..non sono in linea con le attuali posizioni della comunità scientifica internazionale..” sono quelle che sino ad oggi hanno parzialmente impedito che prodotti di questo tipo fossero diffusi sui campi o nei supermercati europei. Inoltre, una brusca eliminazione delle tradizionali barriere commerciali esporrebbe le imprese agricole europee alla concorrenza dell’agri-businness statunitense forte di una concentrazione di mercato imparagonabile a quella europea (2 milioni di imprese agricole negli Usa contro 13 milioni nella Ue).
Il Ttip potrebbe concretamente rappresentare il tentativo di reintrodurre ciò che è stato respinto dal Parlamento europeo nel 2012. Si tratta del Anti Counterfeiting Trade Agreement(Acta), un accordo in materia di proprietà intellettuale tentato senza successo tra Ue ed Usa. A spingere i parlamentari europei ad esprimersi contro l’Acta è stata la duplice implicazione che lo stesso avrebbe avuto, ovvero quella di limitare in modo rilevante il libero accesso alla conoscenza sul web e di dare un potere enorme nella gestione dei dati personali alle imprese del settore.
Una particolare attenzione andrebbe poi riposta sui rischi che gravano sul settore sanitario europeo che rischia di trasformarsi in terreno di conquista per le grandi imprese americane. Così come le norme ambientali europee ci hanno sin qui tutelato dagli Ogm e dalle carni trattate, il Reach (Regulation on Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals, entrato in vigore il 1° giugno 2007 con lo scopo di regolamentare il mercato dei prodotti chimici nella Ue) ha consentito ai cittadini di tutelarsi dall’invasione di prodotti farmaceutici che per le autorità europee sono potenzialmente nocivi per la salute umana e animale. Grazie al Ttip, nondimeno, nascerebbe la possibilità per le imprese, qualora volessero contestare una regolamentazione statale o comunitaria troppo stringente, di rivolgersi ad un organismo arbitrale terzo dotandosi così di un potente mezzo per il contrasto di politiche e leggi democraticamente adottate ma divergenti dalle loro strategie aziendali.
I rappresentanti della grande finanza stanno chiedendo agli estensori del Ttip di prevedere esplicitamente una “disciplina” per la regolamentazione della finanza da parte degli Stati (vedi qui). Ciò significherebbe in termini concreti una limitazione alla dimensione ed alla pervasività della regolamentazione finanziaria nei due blocchi. L’ambiguità di questo metodo di redazione del Trattato potrebbe essere foriera di una nuova diffusione di massa degli eredi di quegli strumenti finanziari protagonisti del crack della Lehman Brothers.
La breve sintesi fornita rispetto a quanto hanno in mente gli estensori del Ttip allarmerebbe chiunque non fosse un lobbista o un percettore di dividendi da parte di un impresa multinazionale. Per i cittadini europei la sfida è però duplice. Le urne francesi hanno segnalato il raggiungimento di un livello critico di sopportazione da parte dei cittadini per i metodi antidemocratici che guidano le decisioni delle istituzioni europee. Appare chiaro come un futuro diverso da quello che ha caratterizzato gli ultimi anni non possa che passare per una riforma radicale delle istituzioni e delle prospettive della Ue. Da questo punto di vista il Ttip appare un emblema ed una sintesi di quei “valori” che hanno condotto l’occidente, e l’Europa in particolare, nella situazione di crisi in cui ancora versa. Una discussione profonda, pubblica e democratica rispetto ai contenuti del Ttip non potrà non essere un punto fermo della campagna per le imminenti elezioni europee che si profilano come un crocevia fondamentale per il nostro futuro.
12 Aprile 2014
dal sito Sbilanciamoci
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