Vedere Boko Haram, e gli sconvolgimenti della Nigeria settentrionale, come un mero frutto di conflitti religiosi ed una conseguenza della guerra più globale in atto, dall'11 Settembre 2001, fra Occidente ed Islam, è eccessivamente schematizzante e distorce la realtà, ed è inoltre una strumentalizzazione utile per tenere in piedi un clima de neo-crociata, servente interessi imperialistici occidentali.
La Nigeria è strutturalmente caratterizzata da un conflitto per la ripartizione delle risorse fra due entità etniche e geopolitiche completamente diverse, il Nord a maggioranza musulmana e poverissimo, ed il Sud a maggioranza cristiana ed animista, ricco di risorse petrolifere e naturali. Dentro questi due macro-blocchi, c'è un dinamica tradizionale di conflitti ed alleanze fra 350 gruppi etnici diversi, con 250 lingue. Dinamiche legate, in popolazioni in parte pastorali ed in parte agricole, a questioni di controllo ed uso delle terre e del bestiame, e, nella Nigeria indipendente, al controllo di postazioni nel sistema politico ed amministrativo, attraversato da indici di corruzione, nepotismo e affiliazione etnica senza precedenti, persino in Africa. Basti pensare che molti Stati nigeriani possono stabilire leggi che disciriminano la popolazione fra "indigni", che hanno diritto di accesso all'istruzione, all'occupazione pubblica, ad una distribuzione privilegiata delle terre, e non indigeni. Molti musulmani sono stati così discriminati, essendogli negato il certificato di "indigeni". Ad esempio, nello Stato di Jos, a larghissima maggioranza musulmana, nel 2011, solo 150.000 musulmani, su un totale di 429.000 elettori, hanno il diritto di votare, perché titolari del certificato di "indigeni".
In particolare, nel Nord, le popolazioni musulmane di etnia Fulani e Hausa, sono spesso costituite da gruppi di pastori nomadi, che per ovvi motivi finiscono per scontrarsi con gli Igbo cristiani, che normalmente sono agricoltori stanziali, per questioni legate ai terreni da pascolo. Questi conflitti, nella moderna Nigeria, sono stati esasperati dal comportamento predatorio della borghesia compradora nazionale, sia essa di religiorne musulmana, cristiana o animista, legata a doppio filo agli interessi petroliferi e minerari esterni al Paese, che ha costruito un apparato dello Stato corrotto, repressivo (la polizia nigeriana è considerata, perfino dopo l'affermazione della democrazia nel Paese, fra le più antidemcoratiche e crudeli del mondo) ed elitario, dedito alla spartizione della ricchezza del Paese, in cui il 70% della popolazione vive con meno di 1,25 dollari al giorno. Percentuale che poi è molto differenziata da regione a regione, per cui nel poverissimo Nord a maggioranza musulmana, dove Boko Haram è nato, essa raggiunge quasi il 90%.
Questo substrato di conflitti etnici e per la distribuzione delle risorse e della ricchezza nazionale ha poi trovato, nel conflitto religioso, una sorta di "sovrastruttura" ideologica, utile per dare una motivazione più "etica" a violenze e predazioni compiute, negli anni, da tutte le parti in causa. Ma la religione è solo la superficie di un conflitto ben più profondo ,e radicato in elementi non religiosi, ma economici e sociali, che dura sin dagli anni Cinquanta e che ha avuto episodi molto sanguinosi, ad esempio nel triennio di guerra civile, fra il 1967 ed il 1970, che oppose i cristiani, separatisti, di etnia Igbo, al Governo nazionale. Così come i numerosi regimi militari che hanno dominato la scena politica del Paese sono stati, spesso, una risposta, in termini di unificazione repressiva, alle tendenze secessioniste dei vari Stati che compongono la Federazione.
Quello che è importante sapere, è che Boko Haram nasce come organizzazione politica non violenta, nel 2002, ovvero come gruppo che si occupa di predicazioni islamiche e di auto-organizzazione di circuiti di welfare e di assistenza alle popolazioni islamiche locali. Solo in un secondo momento, a partire dal 2008-2009, si militarizza. A giudizio di Moses Ochonu, il punto di svolta è costituito dall'istituzione di tribunali religiosi negli Stati del Nord, nel periodo 2000-2002. Benché la giurisdizione di tali tribunali sia limitata ai soli musulmani, ed a questioni legate alle successioni e al diritto di famiglia, la minoranza cristiana inizia a temere che ciò costituisca il primo passo verso l'islamizzazione del Nord. E ciò genera crescenti tensioni, che sfociano, a cadenza quasi mensile, in violenze comunitarie, sanguinosamente represse dall'esercito e dalla polizia governativa, creando un brodo di coltura, fatto di violenza, radicalizzazione religiosa ed etnica, e disprezzo generalizzato verso gli apparati dello Stato. In questo brodo di coltura, gli elementi più radicali di Boko Haram riescono ad emergere, ed a militarizzare il movimento.
L'affermazione di Buba Galadima, secondo cui "quello che in realtà è un gruppo impegnato in una lotta di classe è stato dipinto come un gruppo terroristico da parte del Governo centrale, per ottenere gli aiuti occidentali in materia di contro-terrorismo" è senz'altro esagerata, nella misura in cui Boko Haram ha oramai una base programmatica che con la lotta di classe ha ben poco a che vedere, imperniata com'è su una visione troglodita dell'Islam, respinta persino dalle principali organizzazioni islamiche (si pensi che i bokisti ce l'hanno persino con la tetragona monarchia saudita, considerata troppo filo-occidentale). Però è esatta l'affermazione di Chris Kwaja, secondo cui "la dimensione religiosa del conflitto come base primaria della violenza è stata erroneamente amplificata, quando, in realtà, caduta di fiducia nello Stato e diseguaglianza economica sono le reali cause".
Di conseguenza, ciò che serve non sono gli eserciti impegnati in sanguinose operazioni anti-terrorismo (che finiscono per mietere vittime fra i civili) né gli anatemi da neo-crociati, che, anzi, alimentano e rinfocolano le violenze (uno spunto di riflessione: come mai ci si indigna tanto per le azioni di Boko Haram, gruppo musulmano e nessuno parla delle altrettanto riprovevoli azioni dell'ugandese Lord's Resistance Army, gruppo terroristico violentissimo di matrice cristiana?). Serve un profondo cambiamento istituzionale, che modifichi la Costituzione federale, definendo i diritti ed i doveri dei cittadini in termini di nascita e residenza, non di status di indigeno e nativo, e devolvendo più poteri economici, in termini di risorse, alle comunità locali. Serve poi una politica redistributiva che smantelli privilegi e corruzione, ed accresca il reddito delle fasce più povere della popolazione. Serve la politica, non le armi o i proclami su internet.
11 maggio 2014
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