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martedì 27 maggio 2014

L'AUSTERITY PRIMO PARTITO IN EUROPA di Norberto Fragiacomo





L'AUSTERITY PRIMO PARTITO IN EUROPA
di Norberto Fragiacomo
  


E adesso cosa facciamo?
In tutta onestà, non ne ho idea: lo shock per i risultati elettorali di ieri – non solo quelli italiani, intendo – è duro da assorbire.
Questo 41%, messo insieme ridicolizzando ogni pronostico, vale infinitamente di più del 68% alle primarie piddine: Matteo Renzi ha incassato un plebiscito a suo favore, da stamattina potrà fare semplicemente ciò che vuole (e ciò che sta a cuore a chi lo appoggia, lo finanzia e lo ispira). Gli bastava la legittimazione costituzionale, diceva: adesso ha pure quella popolare, una legittimazione piena, indiscussa. Un trionfo che non ha eguali, nella storia repubblicana degli ultimi decenni – e non ha eguali neppure altrove, in questa tornata: Marie Le Pen, l’UKIP britannico e Alexis Tsipras, vincitori a casa loro, ottengono, al confronto, risultati “normali”, più vicini a quelli del M5S (21%) che alla percentuale stratosferica raggiunta dal nuovo PD.

Per il movimento di Grillo è una debacle, una sconfitta in finale per sette a zero: l’ex comico aveva puntato tutte le sue fiches al tavolo di queste elezioni e, dopo essere rimasto in mutande, termina la corsa doppiato. Annichilito, incredulo, bannato dalla realtà dei fatti. Può darsi che accarezzi l’idea del ritiro: gli anni passano anche per lui, e l’impegno profuso in piazze e talk show si è tradotto in un amarissimo fiasco. Tace il blog, sommerso dagli sfottò, invaso da avversari politici festanti: il duo sembra svanito nell’aria, mentre Di Battista rende pubblica con un tweet la sua determinazione a non mollare. Assisteremo presto ad un passaggio di testimone? Di Maio e lo stesso Di Battista sono cresciuti in fretta, e paiono all’altezza del compito, ma la scomparsa del Grillo parlante farebbe perdere al M5S molto del suo appeal: gli italiani ricordano facilmente barzellette e battute, ma se costretti a ragionare entrano in crisi. La riprova sta nell’exploit di Matteo Salvini, che ha ricostruito il consenso leghista grazie a due “no” orecchiabili: uno all’euro, l’altro all’immigrazione. Sono stati ampiamente sufficienti.

Il successo della Lista Tsipras (4% conquistato al fotofinish) è, dunque, per me insperato: non soltanto L’Altra Europa è stata snobbata dai media durante l’intera campagna – Curzio Maltese lamentava, ironicamente, che Dudù ha ricevuto più attenzioni di Tsipras -, ma il messaggio veicolato era, per gli standard italiani, alquanto complesso. Contro quest’Europa ma per l’Europa, contro i Trattati ma per la moneta unica: roba da far ammattire il votante-consumatore! Malgrado le oggettive difficoltà, è andata benino – e il “benino” salirà a “ottimo” se la nuova formazione politica si mostrerà capace di resistere alle lusinghe che già sentiamo provenire da certi ambienti periferici (ma comunque sostanzialmente renziani, perché pure Civati è renziano) del PD. Non è scontato, ed anzi una dose di pessimismo è d’obbligo, perché la forza gravitazionale della stella gigante renziana si rivelerà irresistibile per chi, in fondo, era disposto fino all’altro ieri a riconoscere la leadership del fiorentino (Gennaro Migliore, il Nichi prontamente “riscoperto” e intervistato dai media) in cambio di un ingentilimento dei toni e di qualche concessione di facciata. Molto dipenderà dalle storie e dall’onestà politica dei tre eletti di cui, al momento, non conosco i nominativi; in ogni caso, la prossima adesione alla GUE o ad altro gruppo parlamentare ci dirà chi merita fiducia e chi ha solamente scroccato un passaggio.

E’ proprio la Sinistra Europea uno degli sconfitti di queste elezioni continentali: il principale perdente, a parer mio. In una situazione che si presentava come favorevolissima (miseria, disoccupazione, crescita della disuguaglianza, taglio dei diritti e “fallimento” delle politiche neoliberiste sono uno spot formidabile per qualsiasi “prodotto” vagamente marxista), la GUE è cresciuta, ma di un’inezia – da 35 a 42 seggi – restando nettamente alle spalle di liberali e verdi (popolari e socialisti li vede col cannocchiale). Effetto Tsipras solo in Grecia e in Italia, insomma. Risultati discreti in Portogallo (PCP al 12,7%) e Spagna (esito lusinghiero per alcune nuove formazioni progressiste, ma Izquierda Unida ferma al 10%), batoste altrove, specie dove percentuali in doppia cifra avrebbero avuto gran peso: la Linke e il FdG francese si attestano intorno al 6%, e - anziché rossa - alzano bandiera bianca.
Il voto “contro” è andato così agli antieuropeisti (c’è pure Alternative für Deutschland, che ha surclassato i “rossi”), che forse ne faranno tesoro, ma non certo nell’interesse generale: sono dell’avviso, comunque, che si tratterà di un fuoco di paglia, con conseguenze squisitamente nazionali, non ultima un aumento dei sospetti nei confronti dei popoli vicini e, in generale, degli stranieri.
Renzi, tra l’altro, è l’unico “progressista” andato alla grande, perché il PSE dell’inutile Schulz ha straperso il confronto col PPE – sono stati i popolari, in effetti, gli autentici trionfatori in questo weekend elettorale, pur avendo lasciato per strada alcune decine di scranni parlamentari. 214 seggi contro i 186 dei “socialisti”: il dato è eclatante, perché certifica l’appoggio dato dagli europei – consapevolmente o meno – alle devastanti politiche di austerità. Chi potrà, a questo punto, ridurre a più miti consigli Frau Merkel e le lobby interessate alla privatizzazione dell’esistente? Nessuno, perché le politiche di devastazione e saccheggio del continente – da Atene a Lisbona, da Roma a L’Aja – hanno ricevuto l’avallo del corpo elettorale, la “legittimazione popolare” di cui cianciava Matteo.
Come sonnambuli o vittime di una sindrome di Stoccolma di massa, i danneggiati di ieri, oggi e domani confermano la fiducia ai propri carnefici, consegnando alle forze di sistema (PPE+PSE+ALDE) una schiacciante maggioranza parlamentare. C’è del metodo in questa follia collettiva: che sia la Merkel a spararci il colpo di grazia, visto che ha sempre dimostrato di avere la mano più ferma dei suoi replicanti progressisti-per-modo-di-dire… forse ci farà soffrire meno. Forse. Procura tristezza, tuttavia, osservare quel bue trascinato docilmente al macello… quel bue di cui ognuno di noi è una perduta, impotente cellula.

C’è spazio per qualche tentativo di riscossa, o tocca rassegnarsi all’inevitabile, giungendo le mani e invocando pietà al vento?
L’unica idea che mi galleggia nella mente svuotata, in questo giorno disastroso, è quella di un improbabile patto di resistenza fra ciò che resta del M5S e una sinistra apparentemente rediviva, ma marginale. I grillini hanno patito una cocente delusione e un ridimensionamento, soprattutto delle aspirazioni: così conciati, saranno forse più ben disposti verso quelle forze che è arduo accusare di intelligenza col nemico – più disponibili ad ascoltare e a confrontarsi, se non altro. A sua volta, la sinistra ha il dovere di opporsi con ogni mezzo, e soprattutto senza snobismi, al nuovo regime nato dalle urne, all’arroganza di un giovanissimo potente che ha tutte le carte in regola (consenso, anagrafe e amicizie) per durare a lungo e riuscire nell’impresa di sinizzare l’Italia. Altro che il vanitoso Monti: è Renzi il Terminator ideale di democrazia, diritti, tutele e “beni comuni”.

La mia è una scommessa azzardata, che – lo riconosco – è la disperazione a dettarmi; per quanto riguarda l’Europa, non riesco ad andare al di là dell’improperio e del mugugno. Gli europei si sono arresi a discrezione: sappiano che raramente il vincitore fa sconti. D’altra parte, chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Amen


26 maggio 2014




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