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giovedì 24 luglio 2014

RENZI AL PUNTO DI FLESSO DELLA SUA PARABOLA di Riccardo Achilli




RENZI AL PUNTO DI FLESSO DELLA SUA 
PARABOLA 
di Riccardo Achilli



L’impressione che Renzi sia sempre più in difficoltà è crescente, ed inizia ad aprire varchi nell’aura di invincibilità di cui finora si era circondato. 
Gran parte delle sue riforme sono impantanate in un Parlamento dove l’effetto-ingorgo è divenuto palese, e comporteranno molto, troppo tempo per quello che è un cronoprogramma, in massima parte dettato da esigenze di marketing politico, dell’uomo che ha promesso di cambiare l’Italia in pochissimi mesi. L’evidente sconfitta su tutta la linea rimediata in Europa, dove non è stato concesso nemmeno l’incarico di bandiera alla Mogherini, costerà, a settembre, una manovra finanziaria che, fra minori spese e maggiori tasse, costerà non meno di 15 miliardi (secondo gli ottimisti) se non più di 20 (secondo i pessimisti). Applicandosi ad un’economia ancora ferma, tale manovra spegnerà ogni segnale di ripresa, più che altro “psicologico”, cioè derivante dalle aspettative degli operatori, rischiando seriamente di prolungare anche per il 2015  questo ciclo di stagnazione. Ciò, evidentemente, in presenza di una riduzione dell’area del welfare e delle politiche sociali, si traduce in una deriva di fatale impoverimento per i ceti medio-bassi, in larga misura i principali tributari del consenso al PD renziano. Già oggi, la prima manifestazione dichiaratamente antirenziana (quella dei lavoratori delle Camere di Commercio, motivata da una proposta di riforma controproducente sia per le casse dello Stato che per le imprese) inizia a lacerare il velo del “Partito della Nazione” troppo frettolosamente apposto dopo il 41% alle europee.

Di fronte a questo scenario, per Renzi le riforme istituzionali sono diventate la condizione sine qua non della sua stessa sopravvivenza politica. Non interessano particolarmente all’Europa, non sono evidentemente la priorità per un Paese alla canna del gas, ma servono a Renzi per “apparare”, per così dire, gli effetti negativi di consenso che arriveranno in autunno, quando ci sarà da scrivere la legge di stabilità sotto il ricatto, assolutamente intatto, dell’incombente fiscal compact, le grandi riforme economico-sociali promesse non saranno entrate in vigore, ed i nodi verranno al pettine.
E così ieri, forse in preda al nervosismo, forse come riflesso pavloviano del suo carattere (quando è in difficoltà, l’uomo diviene arrogante) Renzi ha detto una sciocchezza: “se non si fanno le riforme, si va al voto anticipato”. 

Sciocchezza istituzionale, intanto. Nel nostro ordinamento, non è il Presidente del Consiglio a sciogliere le Camere e decidere di andare al voto. Possibile sciocchezza politica, poi. Siamo veramente sicuri che se Renzi si dimettesse, Napolitano scioglierebbe le Camere? Rendendo in questo modo palese il fallimento dell’intero progetto politico di medio periodo sul quale ha scommesso tutto, ovvero un riformismo su linee liberiste gradite all’Europa ed ai mercati, basato su larghe intese fra forze politiche “istituzionali”, che isoli le forze politiche più dichiaratamente non sistemiche? O piuttosto non preferirebbe resuscitare un nuovo Governo tecnico, facendo leva su un Berlusconi, ancora interdetto, che quindi non avrebbe alcun interesse a tornare a votare (così come, per motivi diversi, non hanno interesse né Alfano, né ciò che resta della galassia centrista, né importanti frange del PD, intimorite da un Renzi che potrebbe vincere le elezioni, prima che inizia il suo ciclo discendente, per poi bastonarle in virtù della riacquisita legittimazione elettorale). In fondo, dentro la testa del Presidente, sicuramente c’è la constatazione del fatto che il “mite” Monti è riuscito a sconvolgere l’assetto economico e sociale del Paese, mentre il “prode” Renzi, in 150 giorni di Governo, non ha fatto altro che spostare grosse masse d’aria, ma senza risultati apprezzabili. E poi, Napolitano accetterebbe l’azzardo di andare ad un voto anticipato con il Consultellum come legge elettorale, ed il conseguente rischio di un nuovo Parlamento molto frammentato e non governabile? Certamente, però, un Governo tecnico non sarebbe semplice da formare, ed apparirebbe come una forzatura, l’ennesima, di un Palazzo che vuole dirigere le danze, senza avere la capacità di farlo. E sarebbe comunque una ammissione di debolezza.

Per ciò stesso, le dichiarazioni di ieri del Presidente, fortemente a sostegno delle riforme istituzionalirenziane, sono da me interpretabili anche come un segnale di preoccupazione: “non bloccate le riforme istituzionali, altrimenti la crisi del Governo Renzi aprirebbe uno scenario da me non facilmente governabile”. E, se lette con attenzione ed oggettività, tradiscono anche qualcosa di non proprio favorevole al tandem toscano Renzi-Boschi. Dice infatti Napolitano che la riforma elettorale renziana è “destinata ad essere ridiscussa con la massima attenzione per criteri ispiratori e verifiche di costituzionalità che possono indurre a concordare significative modifiche”. E che “si imporrà una riconsiderazione delle esigenze di messa a punto e rafforzamento del sistema delle garanzie costituzionali”.Rieccheggiano alla mente anche i tempi molto lunghi con i quali il Quirinale ha dato il via libera ai testi di riforma della Pubblica Amministrazione messi a punto dal Governo Renzi.

Sembra quindi emergere, da Napolitano verso Renzi, una richiesta di maggiore collegialità, in primis all’interno dello stesso partito democratico (lo scambio fra via libera alla riforma del Senato e revisione dell’Italicum è stato più volte proposto da vari personaggi delle componenti non renziane del PD, da Bersani a Cuperlo a Fassina) evitando che il Governo prosegua sulla sua strada in modo unilaterale. Il timore di Napolitano è che Renzi, proseguendo la sua navigazione senza tenere affatto conto delle correnti e dei venti che gli girano intorno, finisca per naufragare su uno scoglio. Per diversi motivi, la fedeltà di FI al patto del Nazareno non è sicura al 100%. Berlusconi, parzialmente “resuscitato” dalla recente assoluzione per il caso-Ruby, vuole qualcosa in cambio, sulla riforma della giustizia e sulla sua situazione personale, anche perché deve sedare la fronda interna di Fitto, dimostrandosi non succube di Renzi. E’ per questo che dichiara “la riforma del Senato non si fa in 15 giorni”. E’ per questo che il suo fedelissimo Brunetta dichiara “non è Renzi a decidere eventuali elezioni anticipate”. Alfano è palesemente in difficoltà: la profferta di unità politica venuta da Berlusconi gli crea problemi fra le sue truppe, e non è escluso che per placarle possa decidere una linea di maggiore autonomia dal PD, facendo venire meno i suoi voti, preziosissimi per far andare avanti le riforme stesse.

Come evolverà lo scenario? E’ presto per fare previsioni. Personalmente, ritengo che l’uomo che viene da Rignano sull’Arno finirà, con molte resistenze ed a malincuore, per cedere qualcosa ai suoi oppositori del PD, magari sulle preferenze e le soglie di sbarramento dell’Italicum, ottenendo il via libera alla riforma del Senato che terrà in vita ancora per un po’ il suo Governo, e sarà quindi costretto ad abbandonare le sue tentazioni plebiscitarie. Inizierà quindi per lui il logoramento politico e di consenso inevitabilmente legato alla conduzione di un governo di medio termine, nelle intemperie di una crisi ancora presente e di politiche di austerità che faranno ben presto dimenticare il ricordo della mancetta da 80 euro. E credo che la gestione del PD si riallargherà a bersaniani e cuperliani, per renderlo più resiliente, e compensare così l’erosione di leadership del rignanese. Chi, come Mineo e Chiti, fa opposizione non per rivendicare maggiore ruolo e visibilità, ma per questioni di principio e merito politico, verrà progressivamente emarginato e isolato.

C’è però una variabile impazzita nel sistema: non certo i grillini, oramai in crisi di identità. Ma proprio Silvio Berlusconi. Che ha ancora quel poco di vitalità politica, nonostante l’evidente declino, per minacciare la base elettorale del Ncd di Alfano, e per esercitare una forza centripeta su parti ancora rilevanti del centro destra italiano. E per porre condizioni in cambio dei suoi voti. Non è probabilmente un caso se la registrazione con le dichiarazioni di Emilio Fede, che si riferisce al 2012, esce fuori proprio oggi, quando un redivivo Berlusconi torna a farsi sentire ed a rivendicare. In qualche modo, stante l’inconsistenza del M5S, la natura in parte rivendicativa di ruolo e visibilità di alcune delle componenti non renziane del PD (Bersani chiude ogni suo intervento con una richiesta di maggiore collegialità gestionale), e l’estrema debolezza della sinistra, paradossalmente, le speranze più forti di un macigno sulla strada delle pessime riforme istituzionali di Renzi proviene ancora dall’uomo di Arcore. E certamente questo non è un bene. E’ una tragedia.







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