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domenica 3 agosto 2014

IL DISPOTISMO DELLA MENZOGNA


                                    



                                                       di Carlo Felici

Si fa pubblicità ad un prodotto quando lo si vuole lanciare sul mercato e si crede, altrimenti, che non potrebbe avere consumatori né spazio per potersi affermare. In genere, infatti, è difficile vedere la pubblicità di prodotti largamente venduti e consumati, la si osserva, in genere, solo quando qualcuno di essi viene aggiornato con uno nuovo e nemmeno per tanto tempo, se il trend prosegue come quello del modello precedente.
Il fatto, dunque, che la televisione di Stato, in Italia, ci propina a raffica, da un po' di tempo, pubblicità di ogni genere sulle magnifiche sorti e progressive dell'Unione Europea, quando non lo ha mai fatto in precedenza, nemmeno in tempi in cui la UE era in formazione o quando certi trattati capestro erano pronti per essere varati, è un sintomo preciso delle difficoltà che l'Italia ha a restare in un contesto ormai gradito sempre meno dai suoi cittadini. In poche parole, nella mentalità dell'italiano medio, almeno negli ultimi tre, quattro anni, da quando cioè la crisi economica si è fatta più dura, lo stare in questa comunità appare sempre di più come restare nella gabbia di uno zoo, in cui, per altro, i gestori hanno deciso di risparmiare sullo spazio concesso agli animali e sul loro cibo. Questo è in effetti il risultato di un rigorismo fine a se stesso, o meglio, che non ha altra finalità che dirottare gli investimenti dai settori produttivi a quelli speculativi.
In Italia, anche se molti non se ne accorgono o sono facili prede dei pifferai del “tutto bene madama la marchesa”, si rischia ormai l'unità nazionale, per vari fattori concomitanti.



Il primo è che il divario tra Nord e Sud, con la crisi economica, si è acuito ed aggravato a causa sia della disoccupazione endemica giovanile, sia dell'avanzare di mafie sempre più invadenti ed arroganti sia, infine, per fenomeni migratori che stanno assumendo proporzioni bibliche a causa dei conflitti sempre più aspri nella sponda sud-est del Mediterraneo.
Il secondo è dato dallo scollamento progressivo tra il tessuto produttivo e lo Stato che non riesce ad onorare con sufficiente solerzia i suoi debiti con le aziende e che negli ultimi anni ha tagliato le sue stesse gambe, colpendo settori nevralgici come la scuola e la sicurezza, che sono il collante essenziale di tutto il tessuto sociale complessivo.
Il terzo è la spirale perversa di un debito che cresce, in mancanza di crescita produttiva e di consumi, a causa di un costo del lavoro reso sempre più gravoso da lavoratori che sono costretti a lavorare fino a tarda età, magari demotivati, e che sbarrano così l'accesso ai giovani, per un costo elevatissimo delle materie prime che dobbiamo importare a prezzi superiori ad altri paesi europei, per una macchina burocratica e amministrativa elefantiaca e inefficiente che non viene snellita per un motivo ben preciso.
Se gli investimenti fossero infatti favoriti da condizioni amministrative più idonee ed efficienti, si spezzerebbe improvvisamente quel circolo vizioso tra politica e mafie che ha alimentato ed alimenta tuttora un giro di affari tra i più lucrosi al mondo e che fa dell'Italia uno dei paesi più corrotti che esistano. Se ciò accadesse, si libererebbero forze sane e, di converso, diminuirebbe quella gran quantità di lavoro nero e sommerso che è alla base del reclutamento di manodopera sempre più sfruttata e precaria e, ovviamente, calerebbero in picchiata i profitti di chi la gestisce per i propri fini lucrosi: amministratori locali collusi con organizzazioni criminali che, tra l'altro, ormai finanziano, magari con appositi istituti finanziari di riciclaggio e copertura, certe attività che pur entrano nel ciclo produttivo, anche se sono in nero, più delle banche che non si fidano delle imprese perché esse rischiano sempre di più, per mancanza di mezzi e di competitività, il fallimento.
L'Italia, in questo modo, si sta, come è sempre più evidente, “balcanizzando”, e cioè sta diventando un paese che, da grande potenza industriale, è ridotto sempre di più a crocevia di scambi e di attività lucrose soprattutto per grandi criminali, politici e mafiosi, destinati così a gestire le nostre risorse ed il nostro territorio solamente in base ai loro sporchi fini (droga, rifiuti tossici, prostituzione, vendita di armi, commercio di clandestini e persino di minori e di organi umani..), con la conseguenza che, chi non rientra in questo sistema di vassallaggio e di sfruttamento che porta pochi ad arricchirsi sempre di più e molti ad impoverirsi in maniera vertiginosa, è costretto ad andarsene o a chiudere bottega.
La picconatura del sistema Italia ormai ha raggiunto le fondamenta, perché si è fatta strutturale, in quanto questi apparati hanno ormai capito che il colpo definitivo può essere assestato proprio traendo immediato vantaggio dal contingente.
Essa così investe oggi sia l'architettura istituzionale sia la storia dell'Italia.

Distruggere la Costituzione e annientare la storia del Risorgimento e della Lotta di Liberazione sono gli ultimi elementi che consentono di far perdere sia il senso sia l'identità per cui un popolo può esistere ed in cui esso si deve riconoscere.
Relegare l'amor di Patria nella retorica e magari lasciar marcire qualche suo servitore in lontane galere d'oltremare, svilendo così ogni dignità nazionale, considerare la sovranità nazionale come una sorta di impaccio di cui liberarsi in nome dei presunti vantaggi dei cosiddetti Stati Uniti di un'Europa senza Costituzione, senza governo, senza unità fiscale e senza un suo esercito, criticare le basi stesse su cui tale unità è sorta, avendo nel mirino continuamente il suo protagonista principale: Garibaldi, tacciato di essere poco più che un ladrone di cavalli, un avventuriero, un opportunista e un fucilatore criminale, considerare l'antifascismo (indissolubile rispetto all'anticapitalismo) come superato, e infine distruggere la stessa architettura della Costituzione, nata dalla lotta al dispotismo serve proprio a fare dell'Italia una “nuova espressione geografica”. Uno sgorbio politico, sociale ed economico che serve solo come discarica e base militare per un continente ridotto a Vallo Atlantico: a muro di contenimento della pressione Nord - Sud che sta seriamente minacciando l'egemonia di chi si è cullato per decenni nel sogno di poter restare l'unica superpotenza al mondo.
Noi italiani non abbiamo mai avuto una piena sovranità nazionale, da quando abbiamo perso la seconda guerra mondiale, per decenni siamo stati la sentinella avanzata di un Occidente vincolato al fattore K. Dalla caduta del muro condominiale tra Est e Ovest, avremmo dovuto conquistarcene un pochina di più, invece è andata in maniera diametralmente opposta. Perché siamo diventati la componente strutturale del muro portante (e quindi molto più solido e rischioso) tra Nord e Sud.
La prima iniziativa è stata quindi quella di liquidare anche quel poco di autonomia e di capacità di gestire gli equilibri geostrategici nel Mediterraneo che aveva visto come protagonisti alcuni leaders della cosiddetta Prima Repubblica: Mattei, Andreotti, Moro, Nenni, Craxi e via dicendo, che avevano saputo legare gli interessi dell'Italia con quelli di vari paesi della sponda sud-est del Mediterraneo, garantendo così pace e reciproco sviluppo economico e sociale in gran parte di questo bacino storicamente nevralgico per tutta l'Europa e per tutto il mondo, spesso pagando un prezzo altissimo quando l'autonomia rischiava di diventare concreta indipendenza politica ed economica: la loro stessa vita.

La seconda, connessa con la prima, ha determinato la nascita di partiti contenitori di interessi trasversali e svincolati completamente da serie progettualità politiche e sociali, si è rivelata strategica per la diminuzione della nostra capacità di svolgere un ruolo autonomo in campo internazionale. L'avvento dei guitti della politica, provenienti per lo più dal mondo dello spettacolo, ha completato un quadro che oggi ci vede completamente privi di iniziativa e di indipendenza, schiacciati tra l'incudine di una egemonia militare statunitense che ha incrementato la presenza di truppe, mezzi militari americani e persino programmi televisivi (film, telefilm e brutte copie di show televisivi) nel nostro paese, e il martello di una egemonia economica tedesca che, con il ricatto dello spread e del debito, ci impedisce sul nascere ogni possibile margine di investimenti, di crescita e di iniziativa autonoma.
In questo contesto, si capisce bene perché si vuole un Senato di nominati prima ancora di varare una seria politica industriale, o una sul lavoro, sull'occupazione, sui servizi e sull'amministrazione dello Stato. Perché è del tutto evidente che a gestire le nuove leggi non debbono esserci i rappresentanti del popolo e quindi dell'unità e della sovranità dello Stato, ma solo i fiduciari di quelle lobbies amministrative locali colluse con gli apparati corrotti e con quella criminalità che da più di settantanni non è altro che il braccio armato dei nuovi colonizzatori dell'Italia. Prima usata per sbarcare, poi per combattere il pericolo rosso, ora per garantire la supremazia di una porterei inaffondabile nel Mediterraneo.
Un popolo, però, si badi, è ridotto in servitù, non solo a causa dell'arroganza dei suoi dominatori, ma ancor di più, per la sua inedia ed inerzia, per la sua incapacità cioè di essere consapevole e di lottare per liberarsi da un giogo. Essere quindi regrediti a “volgo disperso che nome non ha” a causa delle meschinerie autoreferenziali, delle corruttele, dell'egoismo, dei municipalismi, della mancanza di cultura e di quella coscienza collettiva che è civile prima ancora che “di classe” è inevitabile per coloro che si adagiano ad un divenire storico, considerandolo senza alternative, più o meno come il maiale ritiene che il suo orizzonte si fermi al pappone che gli viene fornito quotidianamente, e che, per di più, è contento di colui che glielo fornisce anche quando quello entrerà nel suo cortiletto per scannarlo. E  con tutte le stragi impunite, gli omicidi eccellenti e le varie missioni di polizia bellica internazionale, gli scannamenti sono stati già parecchi ed è difficile ipotizzare che si possano arrestare.   Perché sono stati sempre allineati e coperti dal continuo dispotismo di una perdurante menzogna.

Oltre a ciò, ormai gli italiani che fino a circa trenta anni fa erano considerati un popolo con un modello di famiglia tra i più solidi al mondo, si scannano pure da soli, senza alcun intervento esterno. Qui, negli ultimi tempi, infatti, si muore molto di più in famiglia “ordinaria” piuttosto che in una “mafiosa” anche perché una mafiosa ammazza solo quando non può fare altrimenti, quando cioè vede le basi del suo malaffare messe in serio pericolo. Quando tutto le va a gonfie vele non ne ha alcun bisogno. E qui ormai il vento spira in una direzione ben precisa.
Nonostante questo quadro, che ormai più che essere allarmante è concretamente tragico, l'Italia, almeno per chi ancora ci crede, resta un Paese straordinario, non più riformabile però, ma solo “rivoluzionabile”, in senso patriottico, internazionalista e legalitario.
In senso patriottico perché va ricostruita tutta una serie di orientamenti culturali e sociali che rimettano al primo posto la nostra storia, la nostra cultura e le nostre tradizioni, con il preciso obiettivo di valorizzarle e renderle seriamente competitive.
In senso internazionalista perché gli orizzonti necessari per ampliare le nostre esportazioni e rifornirci di energia con costi inferiori agli attuali, devono essere allargati ai paesi emergenti con un deciso ripensamento degli orizzonti geostrategici a cui veniamo vincolati tuttora, con persone coraggiose che non temono nulla, nemmeno di mettere in gioco la loro stessa vita.
In senso legalitario perché senza rilanciare i principi basilari della nostra Costituzione (che non a caso si vuole demolire definitivamente), senza rendere più efficace e snella la sua applicazione, non si spezzerà mai il collare messo all'Italia e la catena che la tiene tuttora “serva e di dolore ostello, non donna di provincia ma bordello”, e cioè quello che è fondato sulla trinità demoniaca: politica corrotta-criminalità organizzata-lavoro nero.
Il Papa che viene da paesi da sempre in lotta per emanciparsi anche a costo di essere mandati nell'inferno del default, se ne è reso conto più di altri, ricorrendo al suo strumento più forte e persuasivo, anche se temiamo, per i tempi che corrono, per mancanza di fede, piuttosto “spuntato”: la scomunica. Ci auguriamo comunque che abbia successo, e soprattutto che Egli abbia lunga vita e che i suoi “ministri” siano sempre più solleciti alle sue indicazioni e che, di conseguenza, anche le Madonne in processione non piangano più e non abbiano alcun cedimento né genuflessione, ma stiano ben salde e dritte a testimoniare quella sola verità ed onestà che rende liberi.

Però noi dobbiamo contare anche su qualcos'altro che sia più concreto.
Dobbiamo basarci su una nuova coscienza politica e civile, dobbiamo avere il coraggio di testimoniarla nei luoghi di lavoro, della sofferenza ormai endemica, nelle piazze, nelle scuole, e, si badi, solo in ultima istanza nel web (perché il mondo virtuale non ha mai cambiato quello reale), sottraendo ai pifferai il monopolio della protesta.
Per far questo è necessario avere una coscienza unitaria che porti a identificare come bene primario comune per cui lottare, in primo luogo, la libertà e la dignità di essere italiani.
Non si tratta però di abbattere L'Europa in nome di una nuova Italia nazione e non si tratta nemmeno di abbattere una Repubblica in nome di un'altra.
Cosa possiamo e dobbiamo volere lo scrisse a chiare lettere Garibaldi:
“Noi non vogliamo abbattere la monarchia per fondare le repubbliche, vogliamo distruggere il dispotismo in tutte le sue forme per fondare sulle sue rovine la libertà e il diritto. Il dispotismo è la menzogna: e la menzogna deve essere odiosa a tutti, anche a coloro che non colpisce direttamente nella loro esistenza e nei loro interessi. Il solo rimedio contro il dispotismo è la fratellanza dei popoli.”

Ecco la rivoluzione di cui abbiamo bisogno e per cui dobbiamo lottare con nuove forme di organizzazione politica combattendo la concezione del "partito contenitore" di interessi, superando l'illusione di fare politica solo con il web, oltrepassando forme sterili di associazionismo in ordine sparso autoreferenziale, con nuovi strumenti di mobilitazione, anche e non solo sindacale, concreta, con il coraggio che non arretra nemmeno di fronte al rischio di perdere la vita: quello che ci liberi, insieme ad altri, in Italia, in Europa e nel mondo, dal dispotismo della menzogna che riduce esseri umani e natura a sola merce per scopo di profitto.
 Che li ingrassa come maiali che sguazzano nella melma della loro miseria morale e sociale, sospesi tra pappone e scannatura.

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