ROMA 2014: UN MILIONE CONTRO RENZI E GLI AVVOLTOI
di
Norberto Fragiacomo
“Per quanto mi riguarda, lo sciopero (di disturbo) indetto
dall’USB è riuscito” – ansimo, mentre percorro trafelato galleria Sandrinelli,
satura di gas di scarico. La 10 che doveva condurmi a Valmaura non si è fatta
vedere: mancano ancora quaranta minuti all’appuntamento, ma la strada è lunga
per chi si trascina a piedi. A S. Giacomo ci si mette pure la bora, che fischia
e rallenta il passo: provo a chiamare un amico, ma eccoti – del tutto
inaspettata – una corriera che sbuca dal buio all’altezza di via Orsera. E’ la
linea C: salgo al volo, ringrazio mentalmente il “crumiro” e neppure mi siedo.
Una rapida sosta in un bar (il freddo fa effetto), ed eccomi davanti alla
Risiera – in anticipo. Le volte precedenti al mio arrivo non c’era quasi nessuno,
ma stasera – venerdì 24 ottobre – si è già radunata una folla e i pullman sono
schierati, in attesa. Ne conto sei, più del previsto: qualcuno nota che hanno
targhe italiane, non d’oltreconfine. Organizzazione CGIL, insomma. Riconosco e
saluto alcuni compagni: siamo destinati al bus n. 4, quello della FIOM.
Partiamo alle dieci spaccate: prima che subentri il sonno
vorrei parlare un po’ di “strategie politiche” con Fabio, Bruno e Nevio,
vecchie conoscenze del Comitato No Debito. Non ho fatto i conti con le casse di
birra e le bottiglie al seguito dei passeggeri: sarà un susseguirsi di cori e “autogrill, autogrill!” fino all’aurora. Sembra
proprio che per i triestini ogni viaggio debba seguire lo schema “trasferta
dell’Unione”, con libagioni e schiamazzi… tra gli elementi positivi, la
presenza a bordo di tre interinali della Wärtsilä (fra cui una minuscola,
deliziosa biondina che andrà su e giù, parlottando, per tutta la durata del
tragitto) che la subdola propaganda neoliberista non è riuscita ad opporre agli
operai più anziani. Alcuni si accalorano citando rinnovi contrattuali mensili,
cioè le nuove schiavitù aziendali; impossibilitato a dormire, seguo con lo
sguardo la costellazione di Orione che, nitidissima nel cielo nero, ci scorterà
fino a Roma. Accanto a noi sfrecciano decine, centinaia di pullman: è un popolo
in marcia, cui non è stata promessa alcuna terra – solo servitù, miseria e
ingiustizia sociale. Avanti, compagni! – ma i dialoghi, complice la stanchezza,
si incupiscono.
Ecco il G.R.A., il Grande Raccordo Anulare: la periferia
romana risplende al sole. Fa un freddo cane di prima mattina, ma l’aria è tersa,
luminosa. Smontiamo a Cinecittà, poi – all’imbocco della metro – finiamo per
disperderci: troppo caos intorno. Buona idea la colazione a due passi dal
Colosseo, ma di bivaccare sull’erba di S. Giovanni non mi va: sono spossato ma no go la simia, mi, e soprattutto sono
qui per partecipare al corteo. Il racconto di certi siparietti sbalordirà
un’amica marchigiana: “sul nostro pullman nessuno ha bevuto niente”, mi
assicurerà. Le credo, ma veder più tardi sfilare compagni col bicchiere in mano
al canto di “Viva l’A e po’ bon” aggiungerà
una nota (quasi) struggente, triestinissima alla manifestazione.
Assieme ad un secondo Fabio, che non conoscevo ma che mi
risulta immediatamente simpatico, decidiamo di fare il percorso all’incontrario:
alle 9 e 45 ci imbattiamo nell’avanguardia di uno dei due cortei, il nostro,
quello partito da piazza Esedra. Man mano che procediamo la massa umana si
infittisce: passano gli operai del Sulcis, quelli di Terni in lotta, col
caschetto in testa, l’infinita delegazione lombarda. Un mare di bandiere rosse:
della FIOM, delle federazioni CGIL, ma anche del vecchio PCI, di Rifondazione,
di SEL, del PCL, del PMLI… magliette e striscioni di chi ha finalmente capito
ciò che sta accadendo, in Italia e in Europa. Impieghiamo 20-25 minuti per
raggiungere corso Cavour: alle spalle delle schiere avanzanti, piazza Esedra
nereggia (anzi: rosseggia!) di folla. Un fiume, un oceano di gente. Eccoli, i
compagni triestini: si sono già messi in marcia, vessilli al vento. Un unico
coro, scandito con rabbia: “Renzi, Renzi,
vaffanculo!” Pare che il nemico sia stato individuato, e questo è un bene;
il problema che tutti si pongono è: come combatterlo, come intralciarlo?
Per Piazza S. Giovanni prenderemo una scorciatoia: ci
facciamo faticosamente largo nella calca, mentre sul palco si susseguono
artisti e oratori. Quanta gente c’è? Dicono un milione… sarà vero?, bisbiglia
qualcuno, quasi con vergogna. Mi rispondo che il numero esatto non ha alcuna rilevanza:
nel mondo reale siamo tantissimi, un’enormità, nessuno, anche volendolo, sarebbe
in grado di contarci… in quello virtuale (che pesa più del primo, e fa la
“Storia mediatica”) siamo stimati in un milione, e quel milione riporteranno
gli annali. L’acustica è ottima: anche da centinaia di metri di distanza non si
perde una frase, una parola. Un giovanissimo studente svela l’inganno renziano:
non cadiamo nella trappola del conflitto generazionale, facciamo causa comune
contro gli oppressori, difendiamo diritti strappati a caro prezzo! Preceduta da
un “Nessun dorma” da brividi (a cantarlo sono i musicisti dell’Opera di Roma, a
rischio licenziamento… accorata esecuzione, anche se io avrei optato per
L’Internazionale), Susanna Camusso si accosta al microfono e arringa la folla
con la sua voce dura, maschile. E’ un bel discorso, una critica serrata del
renzismo, con continui rimandi all’indegno show della Leopolda irridente… un’orazione
più “coraggiosa” di quanto mi attendessi, ma in definitiva monca. Ad occhio e
croce, latitano le conclusioni. Perché non dire che Renzi è l’erede politico di
Berlusconi, che con lui governa la destra peggiore, la più infida, che questo
esecutivo rappresenta un’intollerabile minaccia per lavoratori, studenti,
pensionati, welfare? Perché la CGIL – scesa in piazza obtorto collo, per salvaguardare anzitutto la propria esistenza
come organizzazione – avanza, in realtà, pretese insufficienti: che l’articolo
18, già manomesso nel 2012, non venga cancellato, che il governo tratti sul Jobs act (ma il contratto a tutele
evanescenti è stato digerito), che faccia delle concessioni. Anche Monti, in
fondo, si era lasciato persuadere, no? E lui era di destra destra… possibile
che non realizzino di avere di fronte un Attila, spedito in Italia per
saccheggiare il Paese e sradicare ogni diritto, ogni tutela? Forse sì, ma ormai
disabituati alla lotta da vent’anni di concertazione non sanno come reagire… “anche con lo sciopero generale” –
promette finalmente la segretaria, provocando un boato di approvazione – e con
iniziative fantasiose che sono allo studio. Il milione freme, sballottato tra indignazione,
sgomento, speranza e timore… a me sarebbe piaciuta un’analisi puntuale e
spietata come quella che leggo sul mensile Falce e Martello, ma mi accontento
di questa consapevolezza che si fa strada, dei “Renzi è peggio di Berlusconi”
che filtrano dai capannelli, di questi ragazzi che si mischiano ai veterani di
cento dimostrazioni.
Sì, Renzi è peggio di Berlusconi, drammaticamente peggio –
perché è un mantenuto che parla di ciò che non conosce, il Lavoro (lui “il
posto fisso”, inteso come sinecura, ce l’ha dall’adolescenza); perché è il
fiduciario della Finanza, l’apripista dei loschi Serra che vorrebbero
addirittura cancellare il diritto di sciopero (un po’ come Mussolini, ma costoro,
dal punto di vista delle politiche economiche, stanno molto più a destra);
perché inganna gli allocchi arruolando l’opportunista Migliore, “leopoldizzato”
all’istante, distribuendo elemosine e spacciando per “sinistra del cambiamento”
il suo ripugnante neoliberismo classista; perché – imbevuto di autoritarismo
plebeo - se ne frega di scioperi e manifestazioni e, come in un remake
futurista da due euro, blatera di iPhone e gettoni mentre a centinaia di migliaia
di anziani mancano i soldi per una spesuccia in supermarket; perché la sua
modernità è fasulla, visto che intona la stessa canzone dei Cheope, dei Marco
Licinio Crasso e degli schiavisti ottocenteschi, cui dobbiamo opporre l’idea
giovane e fresca dell’uguaglianza e del Socialismo (possibilmente senza riproporre
il lessico di un secolo fa); perché inveisce contro i gufi mentre ci dà in
pasto agli avvoltoi; perché alza la voce in Europa ma per finta, calcolando da
guitto di mestiere l’impatto sul pubblico di ciance che rimarranno tali.
L’imperativo è disarcionarlo prima che ci “asfalti” tutti – dipendenti
pubblici e privati, piccoli professionisti e artigiani, pensionati, studenti,
cittadini e fruitori di servizi pubblici di cui è imminente la privatizzazione
selvaggia – ricorrendo a forme innovative di lotta, che vadano dallo sciopero
generale a oltranza (se i ferrovieri
tedeschi hanno incrociato le braccia per 50 ore, possiamo e dobbiamo farlo
anche noi!) agli efficaci strumenti di contrapposizione adoperati in tempi
recenti dai c.d. Forconi, dal boicottaggio di certi prodotti alla solidarietà
attiva verso chi è messo all’angolo dalle diaboliche leggi del profitto.
Non è vero che a Matteo Renzi non ci sia alternativa, se non
altro perché non v’è nulla di più nocivo e repellente, al momento, dell’accolta
di lobbysti radunata alla stazione Leopolda. Che affidamento possiamo fare sui
Cuperlo, sui Civati (quello che spergiura, garrulo e sorridente: “questa piazza
non è contro il governo!”) e compagnia bella, che in giacca e cravatta
bighellonavano per il corteo? Nessun affidamento: ce lo dicono le cronache
parlamentari. Sulla CGIL e il sindacalismo autonomo? La prima, più che i
secondi, è a rischio estinzione: turiamoci il naso, se necessario, ma
affianchiamola, sproniamola, guidiamola
– una sua Caporetto equivarrebbe, per noi, ad una cattività senza possibile
riscatto.
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