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martedì 28 ottobre 2014

ROMA 2014: UN MILIONE CONTRO RENZI E GLI AVVOLTOI di Norberto Fragiacomo





ROMA 2014: UN MILIONE CONTRO RENZI E GLI AVVOLTOI
di
Norberto Fragiacomo


“Per quanto mi riguarda, lo sciopero (di disturbo) indetto dall’USB è riuscito” – ansimo, mentre percorro trafelato galleria Sandrinelli, satura di gas di scarico. La 10 che doveva condurmi a Valmaura non si è fatta vedere: mancano ancora quaranta minuti all’appuntamento, ma la strada è lunga per chi si trascina a piedi. A S. Giacomo ci si mette pure la bora, che fischia e rallenta il passo: provo a chiamare un amico, ma eccoti – del tutto inaspettata – una corriera che sbuca dal buio all’altezza di via Orsera. E’ la linea C: salgo al volo, ringrazio mentalmente il “crumiro” e neppure mi siedo. Una rapida sosta in un bar (il freddo fa effetto), ed eccomi davanti alla Risiera – in anticipo. Le volte precedenti al mio arrivo non c’era quasi nessuno, ma stasera – venerdì 24 ottobre – si è già radunata una folla e i pullman sono schierati, in attesa. Ne conto sei, più del previsto: qualcuno nota che hanno targhe italiane, non d’oltreconfine. Organizzazione CGIL, insomma. Riconosco e saluto alcuni compagni: siamo destinati al bus n. 4, quello della FIOM.

Partiamo alle dieci spaccate: prima che subentri il sonno vorrei parlare un po’ di “strategie politiche” con Fabio, Bruno e Nevio, vecchie conoscenze del Comitato No Debito. Non ho fatto i conti con le casse di birra e le bottiglie al seguito dei passeggeri: sarà un susseguirsi di cori e “autogrill, autogrill!” fino all’aurora. Sembra proprio che per i triestini ogni viaggio debba seguire lo schema “trasferta dell’Unione”, con libagioni e schiamazzi… tra gli elementi positivi, la presenza a bordo di tre interinali della Wärtsilä (fra cui una minuscola, deliziosa biondina che andrà su e giù, parlottando, per tutta la durata del tragitto) che la subdola propaganda neoliberista non è riuscita ad opporre agli operai più anziani. Alcuni si accalorano citando rinnovi contrattuali mensili, cioè le nuove schiavitù aziendali; impossibilitato a dormire, seguo con lo sguardo la costellazione di Orione che, nitidissima nel cielo nero, ci scorterà fino a Roma. Accanto a noi sfrecciano decine, centinaia di pullman: è un popolo in marcia, cui non è stata promessa alcuna terra – solo servitù, miseria e ingiustizia sociale. Avanti, compagni! – ma i dialoghi, complice la stanchezza, si incupiscono.

Ecco il G.R.A., il Grande Raccordo Anulare: la periferia romana risplende al sole. Fa un freddo cane di prima mattina, ma l’aria è tersa, luminosa. Smontiamo a Cinecittà, poi – all’imbocco della metro – finiamo per disperderci: troppo caos intorno. Buona idea la colazione a due passi dal Colosseo, ma di bivaccare sull’erba di S. Giovanni non mi va: sono spossato ma no go la simia, mi, e soprattutto sono qui per partecipare al corteo. Il racconto di certi siparietti sbalordirà un’amica marchigiana: “sul nostro pullman nessuno ha bevuto niente”, mi assicurerà. Le credo, ma veder più tardi sfilare compagni col bicchiere in mano al canto di “Viva l’A e po’ bon” aggiungerà una nota (quasi) struggente, triestinissima alla manifestazione.

Assieme ad un secondo Fabio, che non conoscevo ma che mi risulta immediatamente simpatico, decidiamo di fare il percorso all’incontrario: alle 9 e 45 ci imbattiamo nell’avanguardia di uno dei due cortei, il nostro, quello partito da piazza Esedra. Man mano che procediamo la massa umana si infittisce: passano gli operai del Sulcis, quelli di Terni in lotta, col caschetto in testa, l’infinita delegazione lombarda. Un mare di bandiere rosse: della FIOM, delle federazioni CGIL, ma anche del vecchio PCI, di Rifondazione, di SEL, del PCL, del PMLI… magliette e striscioni di chi ha finalmente capito ciò che sta accadendo, in Italia e in Europa. Impieghiamo 20-25 minuti per raggiungere corso Cavour: alle spalle delle schiere avanzanti, piazza Esedra nereggia (anzi: rosseggia!) di folla. Un fiume, un oceano di gente. Eccoli, i compagni triestini: si sono già messi in marcia, vessilli al vento. Un unico coro, scandito con rabbia: “Renzi, Renzi, vaffanculo!” Pare che il nemico sia stato individuato, e questo è un bene; il problema che tutti si pongono è: come combatterlo, come intralciarlo?

Per Piazza S. Giovanni prenderemo una scorciatoia: ci facciamo faticosamente largo nella calca, mentre sul palco si susseguono artisti e oratori. Quanta gente c’è? Dicono un milione… sarà vero?, bisbiglia qualcuno, quasi con vergogna. Mi rispondo che il numero esatto non ha alcuna rilevanza: nel mondo reale siamo tantissimi, un’enormità, nessuno, anche volendolo, sarebbe in grado di contarci… in quello virtuale (che pesa più del primo, e fa la “Storia mediatica”) siamo stimati in un milione, e quel milione riporteranno gli annali. L’acustica è ottima: anche da centinaia di metri di distanza non si perde una frase, una parola. Un giovanissimo studente svela l’inganno renziano: non cadiamo nella trappola del conflitto generazionale, facciamo causa comune contro gli oppressori, difendiamo diritti strappati a caro prezzo! Preceduta da un “Nessun dorma” da brividi (a cantarlo sono i musicisti dell’Opera di Roma, a rischio licenziamento… accorata esecuzione, anche se io avrei optato per L’Internazionale), Susanna Camusso si accosta al microfono e arringa la folla con la sua voce dura, maschile. E’ un bel discorso, una critica serrata del renzismo, con continui rimandi all’indegno show della Leopolda irridente… un’orazione più “coraggiosa” di quanto mi attendessi, ma in definitiva monca. Ad occhio e croce, latitano le conclusioni. Perché non dire che Renzi è l’erede politico di Berlusconi, che con lui governa la destra peggiore, la più infida, che questo esecutivo rappresenta un’intollerabile minaccia per lavoratori, studenti, pensionati, welfare? Perché la CGIL – scesa in piazza obtorto collo, per salvaguardare anzitutto la propria esistenza come organizzazione – avanza, in realtà, pretese insufficienti: che l’articolo 18, già manomesso nel 2012, non venga cancellato, che il governo tratti sul Jobs act (ma il contratto a tutele evanescenti è stato digerito), che faccia delle concessioni. Anche Monti, in fondo, si era lasciato persuadere, no? E lui era di destra destra… possibile che non realizzino di avere di fronte un Attila, spedito in Italia per saccheggiare il Paese e sradicare ogni diritto, ogni tutela? Forse sì, ma ormai disabituati alla lotta da vent’anni di concertazione non sanno come reagire… “anche con lo sciopero generale” – promette finalmente la segretaria, provocando un boato di approvazione – e con iniziative fantasiose che sono allo studio. Il milione freme, sballottato tra indignazione, sgomento, speranza e timore… a me sarebbe piaciuta un’analisi puntuale e spietata come quella che leggo sul mensile Falce e Martello, ma mi accontento di questa consapevolezza che si fa strada, dei “Renzi è peggio di Berlusconi” che filtrano dai capannelli, di questi ragazzi che si mischiano ai veterani di cento dimostrazioni.

Sì, Renzi è peggio di Berlusconi, drammaticamente peggio – perché è un mantenuto che parla di ciò che non conosce, il Lavoro (lui “il posto fisso”, inteso come sinecura, ce l’ha dall’adolescenza); perché è il fiduciario della Finanza, l’apripista dei loschi Serra che vorrebbero addirittura cancellare il diritto di sciopero (un po’ come Mussolini, ma costoro, dal punto di vista delle politiche economiche, stanno molto più a destra); perché inganna gli allocchi arruolando l’opportunista Migliore, “leopoldizzato” all’istante, distribuendo elemosine e spacciando per “sinistra del cambiamento” il suo ripugnante neoliberismo classista; perché – imbevuto di autoritarismo plebeo - se ne frega di scioperi e manifestazioni e, come in un remake futurista da due euro, blatera di iPhone e gettoni mentre a centinaia di migliaia di anziani mancano i soldi per una spesuccia in supermarket; perché la sua modernità è fasulla, visto che intona la stessa canzone dei Cheope, dei Marco Licinio Crasso e degli schiavisti ottocenteschi, cui dobbiamo opporre l’idea giovane e fresca dell’uguaglianza e del Socialismo (possibilmente senza riproporre il lessico di un secolo fa); perché inveisce contro i gufi mentre ci dà in pasto agli avvoltoi; perché alza la voce in Europa ma per finta, calcolando da guitto di mestiere l’impatto sul pubblico di ciance che rimarranno tali.

L’imperativo è disarcionarlo prima che ci “asfalti” tutti – dipendenti pubblici e privati, piccoli professionisti e artigiani, pensionati, studenti, cittadini e fruitori di servizi pubblici di cui è imminente la privatizzazione selvaggia – ricorrendo a forme innovative di lotta, che vadano dallo sciopero generale a oltranza (se i ferrovieri tedeschi hanno incrociato le braccia per 50 ore, possiamo e dobbiamo farlo anche noi!) agli efficaci strumenti di contrapposizione adoperati in tempi recenti dai c.d. Forconi, dal boicottaggio di certi prodotti alla solidarietà attiva verso chi è messo all’angolo dalle diaboliche leggi del profitto.


Non è vero che a Matteo Renzi non ci sia alternativa, se non altro perché non v’è nulla di più nocivo e repellente, al momento, dell’accolta di lobbysti radunata alla stazione Leopolda. Che affidamento possiamo fare sui Cuperlo, sui Civati (quello che spergiura, garrulo e sorridente: “questa piazza non è contro il governo!”) e compagnia bella, che in giacca e cravatta bighellonavano per il corteo? Nessun affidamento: ce lo dicono le cronache parlamentari. Sulla CGIL e il sindacalismo autonomo? La prima, più che i secondi, è a rischio estinzione: turiamoci il naso, se necessario, ma affianchiamola, sproniamola, guidiamola – una sua Caporetto equivarrebbe, per noi, ad una cattività senza possibile riscatto.




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