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domenica 23 novembre 2014

Risposta all'articolo Santarelli "Sulla conferenza della sinistra contro l'euro", di Riccardo Achilli

Rispondo all'articolo di Santarelli "Sulla conferenza della sinistra contro l'euro" perché sono stato interpellato nella parte finale. Quindi giudico corretto spiegare meglio la mia posizione rispetto alle obiezioni che mi vengono poste.
Il problema centrale, che è perlopiù politico, è che stare dentro l'euro significa, fino almeno al 2017 (data delle prossime elezioni politiche tedesche), sottostare ad una disciplina di politica fiscale (che Schaeuble vorrebbe rinforzare con uno specifico ministro europeo) che è profondamente distruttiva, che le politiche monetarie espansive (come quelle seguite già dalla Bce di Draghi sin dal 2011) non sono sufficienti a compensare, e sottostare ad una disciplina di politiche sociali e del lavoro improntata al neoliberismo. Il Jobs Act, che noi critichiamo tanto, non è una cosa nata dentro la capoccia di Renzi e di Poletti. Fa parte del set di "raccomandazioni" che la Commissione Europa ha fatto all'Italia, nell'ambito della sua attività di sorveglianza preventiva prevista dal MIP. Ecco le raccomandazioni specifiche che nel 2011 la Commissione ha fatto all'Italia, e che sono state la molla per la riforma Fornero e il successivo Jobsc Act, che ha completato il lavoro della Fornero: vedasi il punto 2, pag. 4: "rivedendo aspetti specifici della legislazione a tutela dell’occupazione, comprese le norme e le procedure che disciplinano i licenziamenti". Ci tengo a precisare che queste raccomandazioni sono adottate ai sensi del Six Pack che include il Fiscal Compact. Se non usciamo da questa trappola dei cosiddetti "trattati" (che in realtà tecnicamente trattati non sono) non adremo da nessuna parte. Questa è la vera posta in gioco.
Se non recuperiamo margini di manovra che la partecipazione all'euro ci preclude, anche correndo dei rischi, non potremo piangere per le conseguenze di una crisi che proseguirà, e che pagheranno i lavoratori. Perché la crisi, signori miei, continuerà, per molti anni ancora, e le sofferenze della classe lavoratrice italiana ed europea, dentro il paradigma dell'euro, sono appena iniziate. L'avvitamento deflazionistico incide negativamente sulle aspettative, rimanda gli investimenti, le assunzioni ed i consumi, generando una crisi da aspettative autorealizzanti. Difendere i lavoratori significa, in primo luogo, evitare di continuare su una strada già percorsa, rispetto alla quale ciascuno può misurare i risultati sulle classi popolari.
In questi termini, è vero che i paracadute in caso di uscita dall'euro che prevedo nell'articolo sono, nello scenario attuale, improponibili politicamente (ma mi limito a sottolineare che, se veramente fossero portati alla discussione, ciò sarebbe in un quadro politico molto diverso da quello attuale, e che i quadri politici diversi si cotruiscono lavorandoci sopra, non lamentandosi che non esistono), però:
a) vorrei capire da Stefano Santarelli quale sia l'alternativa, se secondo lui vi è una alternativa più "politicamente praticabile" della mia. L'idea di Ferrero del ripudio dei Trattati restando dentro l'euro non mi sembra percorribile. Il motivo è stato recentemente spiegato, in modo per me molto chiaro, dal professor Takemori, dell'Università di Tokyo: l'area euro non pone problemi di movimenti di capitale né di rischio di cambio, per cui basta un piccolo differenziale di credibilità e rischio-Paese per produrre spostamenti di investimenti dal debito pubblico dei meno virtuosi a quello dei più virtuosi, con il rischio, per i primi, di un aumento dello spread inarrestabile, se non seguono una strategia del tipo "follow the leader", in grado cioè di produrre gli stessi effetti di credibilità del leader sui mercati. Inoltre, il tasso di inflazione tende ad omogeneizzarsi fra i Paesi aderenti, e, nel caso specifico, a scendere verso la deflazione, se la strategia ocmune è, per l'appunto, deflazionistica. 
 
E se qualcuno ha dei dubbi su quale sia la distribuzione sociale delle conseguenze di un default, può andare a vedere cosa è successo in Argentina o in Uruguay 10-12 anni fa.
D'altra parte, anche eventuali monete alternative come i CCF non risolvono strutturalmente il problema, anche perché siamo in una classica situazione di trappola della liquidità, con interessi reali negativi, operatori bancari che assorbono qualsiasi quantità di denaro venga loro offerta perché in crisi patrimoniale. Come ciascuno sa, in trappola della liquidità gli impulsi monetari espansivi non si trasmettono al settore reale dell'economia. Come gli Ltro già fatti dalla Bce, peraltro, dimostrano;
b) il timore di "mescolarsi" con proposte della destra è a mio avviso un falso problema. Piaccia o meno, il fascismo ha realizzato i primi fondamenti dello Stato sociale in Italia, ed ha costruito l'intervento statale in economia con l'IRI e la nazionalizzazione delle banche di interesse nazionale, oltre a propugnare un (mai realizzato) progetto di cogestione dei lavoratori nelle imprese. Tutto ciò, però, non ha impedito alla sinistra italiana di continuare a propugnare concetti come lo Stato sociale, la nazionalizzazione dell'economia e la cogestione. Si tratta di impadronirsi del tema e dargli una declinazione di sinistra, cioè una declinazione di classe, piuttosto che di destra, ovvero sovranista. Non possiamo avere paura dei temi perché ne parla la destra, quando poi questi temi hanno anche un impatto in termini di consenso politico, perché così facendo si abbandonano le classi lavoratrici alle "cure" della destra, anziché contendergliele da sinistra. 

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