di
Norberto
Fragiacomo
Amo
rilassarmi in campagna, il fine settimana (le poche volte che sono
libero da impegni, perlomeno…), alternando corsette in bicicletta a
“pastroci” coi pennelli – e di solito, quando sono in soggiorno
a dipingere, accendo la tivù perché mi tenga compagnia.
Questo
weekend, in particolare, mi sono “abbeverato” alle fonti
differentemente inquinate di RaiNews24 e La7, che di storie da
raccontare – magari rivedute e corrette – ne avevano parecchie.
Il canale diretto un tempo da Corradino Mineo è propaganda pura: ha
meritoriamente coperto l’evento della “prima” alla Scala di
Milano, ma parzialità e ipocrisia trasudavano da ogni commento, in
studio e sul campo. Di esempi ne potrei citare a bizzeffe, ma due
bastano e avanzano: per l’inviato - che allibiva di continuo per i
caschi protettivi indossati dai giovani, quasi fossero mannaie o
revolver - le violente cariche dei celerini contro i manifestanti
erano invariabilmente “di alleggerimento” (lo erano già prima di
essere lanciate, s’intende), mentre il collegamento da San Vittore,
illustrante la favola bella di guardie e ladri pronti a gustarsi
insieme il Fidelio in tv, è stato bruscamente interrotto per esibire
ai telespettatori il vestito trasparente di Valeria Marini…
televisione “gossippara”, oltre che educational.
Nei
dibattiti di La7, invece, ospiti d’onore erano De Cataldo e Bonini,
autori di Suburra, affiancati dal renziano (ex?) Adinolfi che, con
presenza e vocione, occupa mezzo studio. In verità, la vicenda di
Roma sembra l’ennesima fiction basata su Romanzo Criminale: non a
caso, il Fatto Quotidiano del giorno dell’Immacolata dedicava varie
pagine alla Banda della Magliana, e riportava persino una critica
“cinematografica” del reuccio Carminati, alias il Nero. Che cosa
c’era nei libri appena menzionati, il secondo dei quali è stato
scritto molti anni fa?
L’oggetto dell’odierna riprovazione
generale, mista a virtuoso sconcerto: boss conclamati a piede libero
e con immense disponibilità finanziarie, locali e negozi in mano
alla malavita, appalti truccati, violenza selvaggia pronta a
scattare, politici e perfino prelati a libro paga, processi
aggiustati, giudici e poliziotti organici a potentati criminali che
operano, sostanzialmente, alla luce del sole.
Certo, i personaggi dei
romanzi sono, come spesso accade, maggiormente affascinanti di quelli
reali (il Samurai ha più glamour di Massimo Carminati, la cui
teorizzazione del “mondo di mezzo” non è però affatto banale…
rilevo che un sodale dell’epoca, intervistato, ha ostentato
sorpresa per il linguaggio plebeo dell’ex terrorista dei NAR, che
lui ricorda poco loquace e buon conoscitore della lingua italiana),
ma la letteratura è copia conforme di una cronaca che, a sua volta,
replica ad oltranza gli stessi temi. Marino sapeva, non sapeva?
Inverosimile che sia stato connivente, se non altro perché viene da
lontano – più probabile che abbia preferito guardare in un’altra
direzione, come d’altronde hanno fatto tutti i maggiorenti del PD,
che oggi fremono e si indignano per le presunte devianze della
Federazione capitolina. Per porsi qualche domanda bastava essersi
letti lo scorrevolissimo libro di un ex magistrato, in fondo.
Allarghiamo
l’inquadratura: lo scandalo déjà vu esplode in concomitanza con
il severo giudizio dato da Transparency International sull’Italia,
prima in Europa – a pari demerito con Bulgaria, Grecia e Romania -
per “corruzione percepita”. Tralasciamo il dato che
l’organizzazione non governativa (=privata)
è stata fondata, nel
1993,
da un ex manager della Banca
Mondiale
di nome Peter Eigen1,
e chiediamoci quali conseguenze questo giudizio divino possa
produrre. Cos’è anzitutto questa benedetta corruzione “percepita”?
Visitando il sito ufficiale (http://www.transparency.org)
scopriamo che la corruzione consisterebbe nell’«abuso del potere
affidato per guadagno privato», e che la misteriosa percezione si
fonda su «visioni informate di analisti, uomini d’affari ed
esperti»… interessante caso di potenziale conflitto di interessi,
visto che l’organizzazione proclama, con evidente compiacimento,
che «il nostro indice di corruzione percepita manda un potente
messaggio e i governi sono stati costretti (have been forced)
a prenderne atto e ad agire».
Non
occorre proseguire nella lettura per rendersi conto che - appunto
perché divino - il giudizio può discrezionalmente prescindere dal
reale: che l’Italia sia più corrotta del Ghana e che (guarda caso)
Iran, Russia e Venezuela siano tra gli Stati più marci al mondo è
un’impressione,
e le impressioni – specie quelle di analisti, businessmen ed
esperti – non hanno bisogno del suffragio di prove.
Ora,
con questo non voglio certo affermare che il nostro sia un Paese
virtuoso: sappiamo per esperienza che lo scambio di favori avviene ad
ogni livello, e che i casi eclatanti da milioni di euro sono solo la
punta dell’iceberg – sovente, anche nell’assegnare una meschina
p.o. si tiene conto di “meriti” che nulla hanno a che fare con
doti e professionalità. Forse in quanto cattolico (o forse no, visto
che nella Roma dei Cesari la compravendita di cariche e favori era
prassi), l’italiano medio ha sempre mostrato una spiccata
propensione ad intrallazzi e accomodamenti: tali caratteristiche
negative non hanno impedito, nel dopoguerra, una crescita vertiginosa
del Paese, anche perché – come nella maggior parte dei popoli –
pregi e difetti si bilanciano. Siamo mediamente corrotti ma creativi,
a differenza – ad esempio – dei tedeschi che vengono… percepiti
come efficienti ed organizzati, ma un po’ prevedibili: così ci ha
forgiato la Storia. In un’epoca di decadenza e ristagno economico è
normale che gli aspetti deteriori emergano più di quelli positivi e
che del merito ci si curi ancor meno di prima, ma mi riesce comunque
difficile credere che l’Italia sia nelle condizioni della Bulgaria:
per essere ancora ospite del G8 un Paese relativamente piccolo,
popolato da sessanta milioni di persone e sprovvisto di materie deve
pur avere, dal punto di vista del Capitale, alcune virtù. Per
provarci il contrario dovrebbero produrre dati, non “percezioni”…
quanto a noi, sarebbe opportuno che riconsiderassimo i nostri modelli
di riferimento: possiamo davvero prendere lezioni da Stati in cui la
vita di un nero non vale neppure l’incriminazione del suo assassino
e le rivolte figlie di discriminazioni e ingiustizia si concludono
regolarmente con un bilancio di decine di morti? Un Paese, un sistema
andrebbero giudicati nel loro complesso, non evidenziando solo questa
o quella colpa in base alle convenienze del momento.
Finora,
però, ho girato intorno al problema, che dev’essere impostato a
partire da una domanda: chi sono il Nero e i suoi sodali? La risposta
è semplice: uomini d’affari senza scrupoli che, per raggiungere i
propri scopi, fanno ricorso alla violenza, all’intimidazione e –
nel mondo di sopra – finanziano un personale politico supino ed
“affidabile”. Secondo quesito: c’è differenza con i grandi
finanzieri internazionali? Solo dal punto di vista delle dimensioni
del business: i figli della Magliana regnano su mezza Roma, l’elite
affaristica sull’orbe terracqueo. I metodi sono gli stessi,
moltiplicati per cento: il Capitale impone presidenti e governi, si
mangia economie intere, scatena contro gli oppositori polizia e
truppe, ammazza e fa sparire chi non si piega. Non è costretto a
cercare scappatoie eludendo le leggi, perché è lui stesso a
scriverle ed abrogarle, servendosi all’uopo di quisling locali,
troike, istituzioni continentali e trattati transatlantici. Tutte le
vittime della Banda della Magliana sono un’inezia rispetto al
numero dei cittadini caduti sotto i colpi della crisi in Argentina e
in Grecia, in Portogallo e nel Sud Est asiatico.
Il
piano della banda transnazionale prevede, per l’Italia, la
privatizzazione totale di ciò che è ancora pubblico, la
cancellazione dei corpi intermedi “popolari” (dai sindacati ai
comuni), il radicale asservimento delle masse, la messa fuorilegge di
ogni forma di resistenza legittima. L’incarico è stato affidato a
Renzi che, però, per i gusti dei suoi mandanti parla molto e agisce
troppo poco (inguaribilmente italiano e dunque unfit?)
– presi dalla frenesia, meditano già di sostituirlo con un altro
esecutore o, più verosimilmente, sono giunti alla conclusione che a
frenare l’auspicata trasformazione/svendita siano i meccanismi poco
“economici, efficienti ed efficaci” della democrazia formale, che
vanno perciò tolti di mezzo.
Declassamenti,
statistiche, classifiche e sconcertanti lesioni della sovranità
(dopo le dichiarazioni di Frau Culona un governo degno di questo nome
avrebbe richiamato per consultazioni il proprio ambasciatore a
Berlino) sono segnali chiari, precisi e concordanti, di cui il
successore di Ferrara sul trono dell’obesità televisiva ha fornito
l’interpretazione autentica: il cancro sono le partecipate (quelle
che erogano i servizi pubblici, si noti), che vanno prontamente messe
sul mercato. Il management è inadeguato, certo, ma ciò che sta a
cuore al nostro è la possibilità di licenziare tutti i dipendenti
senza doversi confrontare col sindacato: per raggiungere questo
risultato – svela – ci vorrebbe un dittatore in grado di decidere
senza badare al consenso. Cita scherzosamente Lenin (fingere di
incarnare una moderna posizione “di sinistra” fa parte dei suoi
compiti), ma pensa a un Pinochet, o semplicemente alla troika, che
già allunga i suoi tentacoli sull’Italia. Se e quando arriverà,
potremo scordarci di Carminati e della sua corte, o addirittura
sorriderne: il sistema Roma, la corruzione dilagante ecc. finiranno
in fondo alla lista dei nostri problemi, che diverranno – per il
90% almeno degli italiani – tragicamente insormontabili.
Per
sparigliare il gioco servirebbe una decisa mossa delle piazze, uno
scacco a Renzi che anticipi quello che, tosto o tardi, gli darà il
Capitale: servirebbero la lucida ostinazione e il coraggio dimostrati
dagli antagonisti milanesi che, dopo un pomeriggio di scontri, sono
riusciti a portare in piazza il loro messaggio contro l’austerità
e le sopraffazioni dell’Unione Europea. Condannati dall’anticaglia
Franceschini – un destro di seconda fila per cui non merita
sprecare parole –, hanno ricevuto attestati di solidarietà (che
devono aver imbarazzato la redazione di RaiNews) da insospettabili
spettatrici del Fidelio.
Penso
abbia ragione Giorgio Cremaschi quando annota che nell’opinione
pubblica sta crescendo la simpatia nei confronti dei movimenti
antagonisti… non crogioliamoci, però, in fantasie troppo
rassicuranti: il tempo fugge inesorabile, e non è ancora emersa –
nel campo social comunista – una strategia da opporre a quella dei
banditi al cubo delle troike.
1
E che risulta finanziata da varie fondazioni private, agenzie
governative (la Commissione UE figura al primo posto nella lista) ed
organizzazioni imprenditoriali come Ernst&Young, una
super-società di revisione che conta 175 mila addetti in 140 Paesi
(il fatturato globale di 25,8 miliardi all’anno – in costante
crescita – consente di essere generosi nei confronti dei
meritevoli…).
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