TRIPOLI BEL SUOL D'AMORE, OVVERO LE NOSTALGIE VETERO-INTERVENTISTE DELLA PICCOLA BORGHESIA DI SINISTRA
di Riccardo Achilli
Ci avviamo, senza nemmeno
poter pensare di poter fermare la macchina militare, verso l'ennesimo
scenario di conflitto di questa specie di terza guerra mondiale
spezzettata su scenari regionali che stiamo vivendo da almeno 20
anni. Stavolta abbiamo un “evergreen”, ovvero quella Libia che
gli stessi attori politici italiani che oggi chiamano alle armi,
ovvero il PD e FI, hanno contribuito a far piombare in un più che
prevedibile caos nel 2011. Senza che nell'opinione pubblica
lobotomizzata dal peggior sistema mediatico del mondo occidentale vi
sia un moto di sdegno per l'evidente illegittimità morale e storica
di chi oggi chiama alle armi per “risolvere” i problemi che egli
stesso ha creato.
L'ignoranza
costituzionale del Governo è tutta nelle parole di un Ministro che
annuncia una guerra contro un Paese che non ci ha aggrediti in nessun
modo. Naturalmente l'intervento militare, di terra, oltre che
aeronavale, si farà, con molti Paesi europei che si sottrarranno, e
la guida non sarà, evidentemente, affidata all'Italia. Avremo quindi
un intervento militare, il cui costo dovrà essere recuperato con
ulteriori tagli alla spesa sociale, il cui obiettivo sarà quello di
consolidare il controllo neo-imperialistico che altri Paesi hanno
consolidato sul petrolio libico, estromettendo, sin dal 2011, il
tradizionale posizionamento dell'ENI. E questo è l'improbabile esito
positivo.
Perché il più che
probabile esito negativo sarà invece quello di impantanarsi in un
Vietnam sahariano, in una situazione pressoché ingestibile, perché
caratterizzata da una sovrapposizione fra guerre tribali e guerre
religiose, in cui le decine di fazioni in lotta sparerebbero, tutte
quante solidalmente, contro l'invasore esterno. Una situazione che
ricorda la politica estera che Ottaviano condusse con le tribù
germaniche, cercando di inserirsi in un ragnatela inestricabile di
micro conflitti, e che finì con la disastrosa sconfitta di
Teutoburgo. Si preannuncia un capolavoro di politica estera.
Di fronte a tale
evidenza, è veramente incredibile che ampie fasce di sinistra
flirtino con l'ipotesi renzian/gentiloniana di un intervento militare
in Libia. E non lo dico per vetusti cascami pacifisti, ma per lo
stupore di vedere il deserto della capacità di analisi. Un
intervento militare convenzionale dentro una guerra asimmetrica
produce esattamente ciò che abbiamo visto in Afghanistan ed in Irak:
uno sterile controllo del territorio che non disarma le fazioni in
lotta, non frena il terrorismo (che, come dovrebbe dimostrare il caso
francese, ha le sue cellule già installate in Europa, non stanno
certo in suolo libico) non può produrre alcun effetto sui flussi
migratori che non sia un loro incremento dovuto alla fuga dalla
guerra (la costa libica misura 1.770 chilometri, praticamente tutti
piatti e sabbiosi, quindi idonei a far partire piccole imbarcazioni,
pensiamo veramente di controllarla tutta? Nemmeno l'intero Esercito
USA ci riuscirebbe) e che è immensamente costoso in termini umani
ed economici. Senza avere un obiettivo militare da colpire, perché i
terroristi dell'Isis si nascondono dietro la popolazione civile, un
simile intervento sarebbe del tutto fallimentare.
Senza contare l'enorme
rischio di una escalation regionale del conflitto. L'intervento
occidentale potrebbe produrre una maggiore spinta per
l'indipendentismo tuareg, berbero e dei Tebù, che potrebbe far
esplodere un'area che va fino all'Algeria, e a sud scende fino al
Ciad ed al Mali.
Questa posizione
guerrafondaia la ritrovo in numerose opinioni nella sinistra
italiana, soprattutto di socialisti. Una posizione insostenibile, che
ambisce ad un ruolo di maggior protagonismo del nostro Paese in
politica estera, forse “nostalgica” della politica estera
craxiana di “ago della bilancia” del nostro Paese nel
Mediterraneo (che però era condotta da Craxi con le armi della
diplomazia, non con le bombe) ma che non comprende che il nostro Paese
non avrà nessun ruolo di protagonismo, per il semplice fatto che i
nostri interessi e le nostre relazioni politiche in Libia sono andati
definitivamente perduti nel 2011, quando, in modo del tutto suicida e
in una posizione di assoluta subordinazione, il Governo Berlusconi,
in perfetto accordo con il PD allora guidato dalla volpe del deserto
chiamata Bersani, partecipò alla caduta del regime di Gheddafi. Da
quel momento, gli interessi economici in Libia sono finiti in mano di
altri Paesi, che evidentemente non hanno alcun motivo di assegnare
all'Italia un ruolo di leadership in una eventuale missione militare,
se non quello, ovvio, di coordinamento meramente operativo delle
operazioni logistiche legate alla messa a disposizione di basi aeree
e navali vicine alla costa libica. Ma di leadership politica non se
ne parla proprio. In politica estera, nessuno ti regala niente.
Tale posizione di molti
socialisti è probabilmente il frutto di una degenerazione della
capacità di analisi politica, che è tipica di una fase di declino
politico/culturale, e non si rende nemmeno conto delle implicazioni
di politica interna legate ad un sostegno, sia pur passante per un
Parlamento che nei fatti però è stato ampiamente spodestato, della
posizione energumena del Governo Renzi.
la Libia è un labirinto
inestricabile di tribù e fazioni in lotta, con enormi interessi
economici esterni, non tutti di matrice NATO. Occorre fare quello che
ha proposto ieri Romano Prodi (ben più lucido, almeno in questo
caso, di tanti politicanti di sinistra), ovvero riunire attorno ad un
tavolo gli attori rilevanti, cioè gli attori esterni che armano le
varie fazioni, o che hanno interessi economici nel Paese (il Qatar,
l'Arabia Saudita che finanziano il NGC ma anche l'Isis, l'Egitto, la
Turchia, la Cina e gli USA) in una trattativa sotto egida europea, e
trovare un punto di equilibrio, o una spartizione concordata del
Paese. Solo in questi termini, è possibile pensare, dopo l'accordo
politico/diplomatico, ad una missione di peace keeping e di State
building sotto egida ONU (che potrà anche avere ad oggetto le
diverse entità statuali in cui eventualmente si decidesse di
dividere la Libia).
Quand'anche tale sforzo
diplomatico si rivelasse vano, perlomeno avrebbe il risultato di
prendere tempo e “raffreddare” la situazione, facendo perdere
agli sciocchi sostenitori di una nuova guerra l'abbrivio mediatico di
cui godono adesso. A quel punto, sarebbe possibile pensare ad
interventi mirati per armare meglio le fazioni “laiche”, come
quella comandata dall'ex generale di Gheddafi Haftar, affiancati da
interventi mirati di intelligence (“lavori bagnati” molto mirati,
anche con l'utilizzo limitato di reparti speciali) e di sostegno
economico alle tribù che si schierano contro le forze dell'Isis e
dei salafiti.
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