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mercoledì 8 luglio 2015

UN NO SU CUI RIFONDARE L’EUROPA di Norberto Fragiacomo






UN NO SU CUI RIFONDARE L’EUROPA
di
Norberto Fragiacomo


61,3% di NO: alzi la mano chi l’aveva previsto. Io la mia la tengo a mezz’aria sulla tastiera: troppo comodo spacciare – a posteriori – auspici e speranze per vaticini.

Tsipras ce l’ha fatta, in barba ad anatemi, minacce e calunnie: raschiando il fondo del barile, L’Espresso era andato addirittura a pescare, in Grecia, un professorucolo sedicente di sinistra ansiosissimo di certificare (de relato) che l’attuale premier era all’università uno studente pigro e svogliato. Non so quanto valga Alexis come ingegnere, ma sulle sue doti politiche penso non si possano nutrire più dubbi. Un’immagine, anzi una vignetta (pubblicata da Il Fatto di domenica) fotografa la vicenda e il suo protagonista, raffigurando un ometto che si rivolge ad un gigante alla sua sinistra. Il titano, di cui sono visibili solo i pantaloni, si dice dispiaciuto di non aver potuto indossare la cravatta, dono dell’altro: gli stava stretta. Renzi e Tsipras: da un lato la politichetta furba, ammiccante, plebea, amorale e parolaia, che pesa col bilancino rischi calcolati e micragnosi guadagni e disdegna di guardare oltre la prossima tornata elettorale; dall’altro il coraggio al limite della temerarietà, l’anelito a far ripartire la Storia. Colpisce lo stupore, quasi lo sgomento di certi commentatori nel riferire dei toni usati dal primo ministro greco nei comizi conclusivi: trovavano inconcepibile e quasi blasfemo, nella loro mentalità da contabili, che un leader si riferisse alle tradizioni anziché alle poste di bilancio, facesse appello a una resistenza orgogliosa in luogo di promettere strizzando l’occhio 80 euro, presentasse i molto rispettabili creditori per quel che in effetti sono – taglieggiatori e bugiardi. Assurdo che un politico si giochi tutto (carriera, popolarità, futuro) per… non comprendevano neppure per cosa, pur lambiccandosi il cervello sulla pagina bianca: per opinionisti abituati al quotidiano do ut des della politica fintamente post-ideologica i grandi progetti, le aspirazioni al cambiamento sono versi scritti in una lingua morta.

Non solo Tsipras, però: in quest’elettrica settimana di fine giugno anche il ministro delle finanze Varoufakis si è ritagliato un ruolo di primattore. Le sue sfide al Gotha internazionale avevano qualcosa che rimandava ai poemi omerici; il presentarsi alla conferenza stampa in maglietta, a referendum stravinto, e le successive dimissioni da ministro hanno regalato un brivido all’immaginario collettivo. Aveva promesso di andarsene – con Alexis Tsipras – se il risultato fosse stato sfavorevole; se n’è andato comunque, ma da solo, come in certi western crepuscolari che tanto devono alla tragedia greca. Qualcuno sostiene che alla base dell’addio vi siano frizioni col premier, magari la volontà di non esasperare le tensioni con la “destra” di Syriza bramosa di un accordo purchessia. Improbabile, dopo un trionfo di simili proporzioni. No, credo si tratti di una mossa ad effetto concordata fra i due – forse influenzata, ma non determinata dall’esigenza di trovare un compromesso accettabile in tempi brevi (o di fare un tentativo in quella direzione che non sembri di facciata). Mi viene in mente un nome: quello di Clistene, il fondatore della democrazia ateniese. Dopo aver riscritto, alla fine del VI° secolo a.C., la costituzione della sua città in senso popolare, il politico scompare dalla scena e diventa – semplicemente – leggenda. E non si dica che Varoufakis ha abbandonato anzitempo: anche il suo predecessore si limitò al primo passo. Quello più importante, quello decisivo. Quello che mutò il quadro.

Il referendum, voglio dire, non è stato semplicemente una consultazione popolare, o peggio ancora un espediente politico. Il referendum, questo referendum di domenica 5 luglio, assurge a mito fondativo di una nuova società e di una nuova era. Tsipras, il suo governo ed oltre il 60% dei cittadini ellenici hanno testimoniato che il terrorismo finanziario può essere sconfitto, o perlomeno affrontato, e che nella lotta contro l’economia di rapina la democrazia, i popoli possono ancora dire la loro. Una bella fregatura per analisti e tecnocrati, convinti che gli elleni si sarebbero adeguati, mugugnando, alle loro logiche da partita doppia (truccata). Si tratta, in ogni caso, di una straordinaria iniezione di fiducia per le genti europee, oggi imprigionate più che rappresentate da una classe politica di zelanti servitori del Capitale. Movimenti come Podemos, il Sinn Fein irlandese, la Združena levica slovena, la stessa Linke (presente con una sua delegazione in piazza Syntagma anche per rammentarci che la “sinistra” tedesca non è formata solo da Schulz e Gabriel, degni nipotini del traditore Noske) potranno trarre enorme profitto, in termini elettorali e di credibilità, dal fiero OXI gridato dal popolo greco, che trova nella sua cultura e nella Storia un baluardo contro l’assalto dei barbari. Stanno già provando - i pennivendoli al servizio degli usurai – ad infangare questa attestazione di dignità e coraggio chiamandola “nazionalismo”, evocando un passato da cui, secondo loro, l’Unione Europea ci avrebbe salvato. Argomento subdolo e ingannevole (è stata la divisione in blocchi egemonizzati da potenze esterne a garantire 45 anni di pace armata europea, non certo il miope ed insidioso progetto unionista), ma timore fondato, il loro: se i popoli del continente sapranno riappropriarsi del proprio passato – un passato comune, caratterizzato da lunghi periodi di unità europea e continui scambi – l’opzione delle lobby multinazionali sull’Europa si rivelerà carta straccia.

In certi momenti – quando viene scritta davvero – la Storia ha maggior bisogno di figure mitologiche che di ministri: uscendo di scena in anticipo, Varoufakis ha inteso offrire l’ennesimo servigio all’Ellade, e indirettamente a tutti noi.





La vignetta è del Maestro Mauro Biani








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