ARCHIVIO TEMATICO (in allestimento. Pronto l'indice dei redattori)

sabato 8 agosto 2015

70 ANNI FA: LE BOMBE ATOMICHE SU HIROSHIMA E NAGASAKI di Lucio Garofalo





70 ANNI FA: LE BOMBE ATOMICHE SU HIROSHIMA E NAGASAKI
di Lucio Garofalo


In queste giornate così afose e torride dal punto di vista climatico, rischiano di cadere in silenzio due date importanti del calendario in quanto rievocano un'immane tragedia per l’umanità. 
Mi riferisco al 6 ed al 9 agosto del 1945, quando gli americani sganciarono le due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Soltanto nei mesi immediatamente successivi alla deflagrazione nucleare i morti furono ben oltre 200 mila. In base a stime attendibili, fino ad oggi le vittime accertate sarebbero oltre 350 mila, in seguito soprattutto a terribili affezioni tumorali generate dalle micidiali radiazioni termonucleari. 

Quelle dell’agosto 1945 sono state le uniche volte in cui furono impiegate armi atomiche in un conflitto bellico direttamente contro popolazioni civili ed inermi, sterminando e contaminando intere generazioni ed annichilendo intere città. 

Serve ricordare che la paternità storica di simili, turpi crimini contro l’umanità, rimasti impuniti, va ascritta agli Stati Uniti d’America, che non hanno esitato un attimo ad adottare armi di distruzione di massa per vincere la guerra. In particolare conviene riflettere sulla seconda bomba, sganciata su Nagasaki. Stando alle valutazioni di vari storici, si è trattato di un atto terroristico evitabile, eppure è stato ugualmente commesso per due ragioni fondamentali. 


La prima motivazione (più che altro fu un alibi di natura tecnico-scientifica) consisteva nel fatto che la bomba su Nagasaki, essendo composta di plutonio, e non di uranio arricchito come la prima lanciata su Hiroshima, aveva bisogno di essere ancora sperimentata, ma un simile ragionamento è semplicemente cinico, folle ed assurdo. 

Il secondo motivo, invece, era di ordine strategico-politico, in quanto la seconda bomba era inutile per vincere la guerra con il Giappone, un Paese già ridotto allo stremo, alla mercé dei vincitori, per cui apparve subito palese lo scopo reale della seconda esplosione, ovvero un atto scellerato concepito in funzione antisovietica. 

In tal senso, le bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki, pur essendo le ultime della seconda guerra mondiale, furono in un certo qual modo le prime della cosiddetta “guerra fredda”. In altri termini, si trattava di una scelta ben deliberata e precisa, un segnale intimidatorio rivolto ai sovietici ed al mondo intero per far capire chi fossero i nuovi padroni. Negli anni seguenti al 1945 gli armamenti atomici vennero adottati negli arsenali delle principali potenze: l’URSS ottenne l'atomica nel 1949 grazie alla decisione di alcuni scienziati che avevano concorso alla realizzazione della bomba H per il governo nordamericano, al fine di ristabilire un giusto equilibrio tra le parti avverse; la Gran Bretagna nel 1952, la Francia nel 1960, la Cina nel 1964. 




In questo periodo, contrassegnato da una prima proliferazione degli arsenali atomici, sorse un clima di “guerra fredda” in cui i due blocchi politici e militari contrapposti (la NATO, tuttora esistente, ed il Patto di Varsavia, che ruotava attorno all’Unione Sovietica) erano coscienti di annientarsi vicendevolmente con l'impiego delle armi atomiche. 

Era la teoria della “distruzione mutua assicurata”, all'origine del cosiddetto “equilibrio del terrore”, ovvero la strategia della deterrenza che, in qualche occasione, ha scongiurato il rischio catastrofico di un conflitto termonucleare totale. Tale “equilibrio”, ancorché utile deterrente sul piano strategico, tuttavia non impedì un’enorme proliferazione degli arsenali atomici sia ad Ovest che ad Est. 

Al contrario, gli armamenti nucleari divennero più numerosi, ma soprattutto più sofisticati, quindi più potenti. Al punto che messe a confronto con gli ordigni nucleari odierni, le bombe gettate su Hiroshima e Nagasaki apparivano quasi come “giocattoli”. Gli arsenali atomici a disposizione dei due blocchi (Est ed Ovest: nemici più sulla carta, ma in realtà complici nella spartizione del globo) erano potenzialmente in condizione di disintegrare il pianeta, non una, ma decine di volte. 

Nel corso degli anni ‘80 il dialogo tra Reagan e Gorbaciov condusse alla stipulazione dei trattati START I e START II che sancivano una graduale riduzione degli armamenti atomici delle due superpotenze. Ricordo che nel 1985 uscì un film, “War games” (tradotto in italiano: “Giochi di guerra”) che racconta la storia di un ragazzo di Seattle che, giocando col computer, riesce ad inserirsi nella rete informatica della difesa nucleare statunitense innescando, nella finzione cinematografica, il rischio di un conflitto termonucleare, poi scongiurato. 

Cito il film per evidenziare come in quegli anni la percezione dei pericoli di un conflitto atomico che avrebbe potuto causare l’autodistruzione del genere umano, era maggiore di oggi. Eppure, la situazione odierna è assai più pericolosa di quella descritta rispetto al periodo della “guerra fredda”. 

Attualmente, gli Stati che dichiarano di possedere armi nucleari e fanno ufficialmente parte del cosiddetto “Club dell’atomo” sono per l'esattezza otto: Stati Uniti d’America, Russia, Cina, Regno Unito, Francia, India, Pakistan ed Israele. Ripeto e sottineo: Israele. Inoltre, la possibilità, non solo teorica, che alcune armi atomiche come le cosiddette “bombe sporche” (che non costano come le armi atomiche e non esigono particolari competenze scientifiche, se non quelle che servono a costruire una bomba tradizionale) possano cadere nelle mani di qualche fazione terroristica al soldo dei servizi segreti internazionali (la CIA ed il Mossad sono in cima alla lista per la loro spregiudicatezza) può fornire una seppur vaga idea dell’elevata pericolosità dell’odierna situazione politica internazionale, segnata da tensioni aggravate dalla strategia della “guerra globale preventiva” che fomenta le spinte oltranziste in ogni angolo della Terra. 

L’odierno scenario planetario è assai più insidioso che nel passato, soprattutto dopo il crollo del muro di Berlino nel 1989, la successiva riunificazione tedesca ed il disfacimento dell’Unione Sovietica, ma soprattutto dopo l’11 settembre 2001, quando sono state rilanciate la ricerca e la produzione di nuove generazioni di bombe nucleari, molto più piccole e facili da impiegare. Malgrado ciò, la consapevolezza del rischio costituito dagli arsenali atomici, da parte dell’opinione pubblica mondiale, sembra essere ad un livello più basso rispetto agli anni della “guerra fredda”, periodo in cui l’equilibrio tra le superpotenze esercitava un effetto deterrente. 

Oggi quell’equilibrio non esiste più, ma è rimasto solo il “terrore”. Anzi, il quadro politico internazionale è assai precario, fragile ed instabile e gli USA non sono in grado di gestirlo da soli attraverso quel ruolo di "gendarmeria planetaria" che si sono arrogati ed auto-attribuiti con la consueta tracotanza che li ha condotti ad uno stato di isolamento e di antipatia internazionale. 

Oggi assistiamo ad un pericoloso rilancio della ricerca nucleare e della corsa al riarmo che registra un crescente coinvolgimento anche dell’Italia. Basti pensare solo che all’aeroporto militare di Ghedi (Brescia) e nella base americana di Aviano sono pronte all'uso quasi cento testate nucleari. 

Per capire l’estrema pericolosità derivante dall’odierno scenario internazionale, ricordo alcuni episodi del 2002, quando India e Pakistan (che già nel 1998 avevano condotto alcuni test nucleari) si trovarono sull’orlo di un conflitto bellico per il controllo del Kashmir, un territorio al confine tra i due Stati, famoso per un tessuto morbido e leggero di lana omonima, ricavata da una razza speciale di capre che vive solo in quella regione. Fu una contesa che avrebbe potuto sortire uno scontro militare con il ricorso ad armi nucleari. 

Oggi esistono alcune micro potenze regionali come la stessa Israele, che detengono arsenali atomici micidiali ed assumono atteggiamenti ostili e belligeranti verso gli Stati confinanti. E nessuno osa denunciare la politica aggressiva e terroristica di Israele, ad esempio, verso le popolazioni arabe palestinesi di Gaza. Anzi, chi si azzarda in tal senso, viene tacciato di essere “antisemita”. Per non parlare delle altre tensioni nell'area mediorientale, tra la Turchia ed i combattenti curdi,  dell'aggressione alla Siria, delle ambiguità occidentali rispetto alle milizie terroristiche di matrice jahdista dell'ISIS, e via discorrendo. 

Naturalmente sarebbe ipocrita non riconoscere che la più grave minaccia proviene dalla crisi (economica e non solo) della superpotenza USA che mira a rilanciare la propria supremazia geopolitica, militare ed economica su scala planetaria, agendo in modo espansionistico ed entrando spesso in contrasto con altre potenze. Si pensi solo alla competizione commerciale tra USA, Cina (BRICS in generale) ed Europa, oppure alla guerra monetaria tra euro e dollaro. Certo, dal 1945 ad oggi le guerre finora combattute e quelle in corso non hanno mai registrato il ricorso ad armamenti atomici, bensì soltanto a quelli convenzionali. 

Finora ho fornito una ricostruzione storica in materia di armi nucleari, provando ad evidenziare un confronto tra gli anni della “guerra fredda” e la realtà odierna che è assai più insidiosa, benché la coscienza della gente sia assai meno diffusa e profonda rispetto al passato. A tale riguardo cito un estratto da un articolo di Giorgio Bocca (apparso anni fa nella rubrica “L’antitaliano”), nel quale il saggio giornalista scriveva testualmente: 

“Già nel 1945 avremmo dovuto capire che l’apocalisse era ormai entrata nella normalità. Scoppia la prima atomica a Hiroshima e sui giornali occidentali la notizia venne data a una colonna in basso e non destò particolare emozione. Aveva ucciso in un colpo solo 100 mila persone e ne aveva avvelenate a morte altrettante. Non se ne sapeva molto, ma in breve si capì che era l’arma della distruzione totale, ma l’Occidente civile non fece obiezione: la bomba segnava la fine della guerra, perché condannarla?”

In altri termini, il fine (la conclusione della seconda guerra mondiale) ha giustificato il mezzo, il ricorso alla bomba H, un terrificante strumento di distruzione di massa. Oggi, più che mai, tale logica machiavellica del “fine che giustifica i mezzi” non può, né deve essere tollerata, ma va respinta con fermezza in modo definitivo, pena l’annientamento dell’umanità e di quasi ogni forma di vita sul nostro pianeta. 

Le cause delle guerre, convenzionali o meno, sono le stesse: il possesso ed il controllo della terra, dell’acqua, del petrolio e di altre preziose materie prime, lo sfruttamento del lavoro umano e della natura, l’oppressione di un popolo da parte di un altro popolo, ovvero di una classe sociale da parte di un’altra classe. Queste sono le ragioni primarie e di fondo che possono scatenare un conflitto bellico. Il fatto, poi, che alla guerra condotta con armi convenzionali si sostituisca un conflitto con armi termonucleari, non toglie assolutamente nulla alle cause, al carattere o al significato di classe della guerra stessa. È evidente che la differenza tra le guerre tradizionali e le guerre nucleari consiste nel fatto che le armi atomiche sono strumenti di distruzione totale: “dettaglio” non trascurabile, che oggi, più che nel passato, si corre il rischio di sottovalutare o dimenticare seriamente.





Nessun commento:

Posta un commento