FLUIDITA', COSCIENZA DI CLASSE E PARTITO DEL PROLETARIATO DIFFUSO
di Lucio Garofalo
L’immagine dell’elettorato “fluido” e della politica
“fluida” che proviene dal movimento grillino, riflette la condizione
concreta del moderno proletariato.
Essa segna il superamento della vecchia forma della
politica con le sue istituzioni, liturgie, gerarchie, richiamando alla
mente un caso storico di enorme rilievo: la jaquerie, ovvero i
sanculotti della Rivoluzione francese, nel corso della quale non scaturì
un partito organico, ma un movimento di massa in cui non era possibile
il cristallizzarsi di ideologie sistematiche, ma un’aperta competizione
di idee e proposte che il movimento popolare valutava imponendo la sua
volontà alla stessa Convenzione nazionale.
Anche la Rivoluzione d’Ottobre ebbe la sua “fluidità” nel
corpo sociale del giovane proletariato russo, una fluidità che trovò
espressione politica nei Soviet, dove la competizione delle idee portava
a massicci spostamenti di delegati dall’uno all’altro orientamento, e
nelle campagne, dove l’iniziativa diretta dei contadini liquidò senza
una direzione ufficiale i latifondi feudali.
La dinamica del conflitto di classe è il motore della
storia e quando essa si manifesta ed agisce sembra non aver bisogno di
“mosche cocchiere”.
Gli esegeti del “partito”, inteso come demiurgo ed attore
della storia, spesso occultano tale fatto e si sforzano di presentare le
cose all’inverso (“senza partito, niente rivoluzione”), negando il
contenuto reale della storia, cioè che per agire le masse non
necessitano di alcuna gerarchia di partito.
Il partito/istituzione ragiona come un’istituzione
militare: in esso il singolo deve essere reclutato e rimodellato,
omologato al militante/medio delineato da chi detiene il potere. Il
partito come consociazione di liberi militanti, al contrario, attinge da
ognuno la ricchezza e l’originalità del pensiero, integra nel
collettivo senza sopprimere originalità e sensibilità di ogni militante.
Il primo modello fa dell’obbedienza acritica e militare un
mito, il secondo si fonda sull’autodisciplina, sulla collaborazione e
sull’interscambio libero dai vincoli dell’apparato. Fu sulla base di
questa concezione che Paul Lafargue fondò il Partito Socialista Francese
ed incontrò l’approvazione del suocero, Karl Marx. I detrattori di tale
impostazione argomentano a sostegno della prima impostazione il fatto
di dover affrontare una classe super organizzata come la borghesia, la
difficoltà di mantenere insieme un vasto movimento di massa, il bisogno
di "illuminare le masse" con la linea politica dall'alto.
Uno dei colpi più duri che la borghesia ha inferto al
proletariato è stato proprio quello di convincere gli esponenti della
sinistra a creare partiti che contenessero un retaggio ed un nucleo di
ideologia borghese, come l’idea giacobina dell'élite indispensabile a
guidare e generare i processi politici.
Viene da chiedersi: possibile che nelle opere degli altri
pensatori non esista nulla da recuperare a proposito dell’idea di
partito? Di tanti comunisti, ossia presunti tali, che si professavano
"leninisti", non ho trovato neppure uno che conoscesse il pensiero di
Julius Martov a proposito del partito, benché sia uno dei nomi più
citati da Lenin. Di tanti critici inflessibili dell’anarchia non mi è
mai capitato di incontrarne uno che conoscesse, almeno a grandi linee,
il pensiero di Cafiero o Malatesta. Stranamente, persino la più avanzata
teorica del marxismo dopo Karl Marx, cioè Rosa Luxemburg, è per costoro
un oggetto misterioso di cui diffidano. Ma è proprio dalla Luxemburg
che ha avuto origine una riflessione sul partito/istituzione, una
critica chirurgica sui difetti che già allora iniziavano ad emergere
nella Repubblica dei Soviet.
Tale critica non è solo un rilievo di alcune contraddizioni
che si rivelarono letali per la democrazia sovietica, ma un’idea
dinamica del proletariato, del suo mutarsi con lo sviluppo delle altre
forze produttive, scienza e tecnica.
Nello stesso momento Aleksandr Aleksandrovič Bogdanov
elaborava la sua monumentale "Scienza dell’organizzazione universale"
(tuttora studiata nel mondo), mostrando quale sviluppo avrebbe potuto
avere il proletariato nel socialismo e la necessità di una forma/partito
conseguente all’evoluzione storica del proletariato.
Il Proletkult,
fondato da Bogdanov, fu osteggiato dallo stesso Lenin poiché
destrutturava il partito e lo Stato operaio. Stalin si adoperò a
destrutturare l’università proletaria lasciando solo un simulacro.
L’ignoranza dei subalterni è sempre un vantaggio
formidabile per il potere. L’alto tasso di scolarizzazione del
proletariato è un immenso vantaggio in quanto disabilita i detentori di
"dogmi" o "verità assolute", sviluppa il senso critico, permette di
comprendere questioni che prima erano un appannaggio esclusivo di
specialisti. La disperazione non ottunde l’intelligenza, anzi. Più
banalmente: il bisogno aguzza l’ingegno. In questo caso, del
proletariato.
Come sappiamo, la storia è scritta dai vincitori e il più
delle volte dei loro antagonisti ci consegnano solo i nomi ed un vago e
confuso accenno alle loro idee contraffatte e distorte, quando non si
tratta di mistificazioni. Il metodo è un’eredità ed un riflesso del
cattolicesimo, di origine domenicana.
In pochissimi si sono preoccupati, nel corso delle
polemiche, di presentare in modo corretto le idee che essi combattevano.
Alla mente affiorano solo i seguenti nomi: Marx, Engels, Luxemburg,
Bogdanov, Lenin, Trotsky, Gramsci, Cafiero, Malatesta, ma per il resto
la falsità sembra essere la consuetudine.
Faccio notare che qui non mi preme parlare di Grillo e
della sua "creatura", il M5S, bensì della fisionomia del proletariato
odierno e del fallimento storico del partito/istituzione, il partito
"demiurgo" concepito in chiave giacobina che rappresenta un retaggio
dell'ideologia borghese. Questa forma/partito è oggi un anacronismo
storico. Un partito "surrogatore" che ha la pretesa di guidare ed
illuminare le masse proletarie implica un’idea che è il risultato di
un’infiltrazione dell’ideologia borghese all’interno del movimento
operaio.
È esattamente questa la principale vittoria (morale,
intellettuale, ideologica) conseguita dalla borghesia sul proletariato.
Come affermava giustamente Rosa Luxemburg quando combatteva strenuamente
contro l’opportunismo ed il revisionismo che si insinuavano dentro la
Seconda Internazionale.
Ovviamente non sono contro il partito tout-court,
necessario nei termini di una libera consociazione di militanti
comunisti e rivoluzionari, una struttura ibrida che si costruisce nelle
dinamiche del conflitto tra le classi sociali.
Occorre soffermarsi sull'analisi delle forme, della
composizione e dei tratti del proletariato moderno, che non è più quello
dei grandi opifici industriali. Una consociazione di comunisti
rivoluzionari è necessaria per trasmettere l’idea di una società
possibile di liberi e di eguali che va oltre il capitalismo.
Le vecchie forme/partito sono storicamente improponibili ed
inaccettabili. Per il proletariato moderno, un partito candidato a
"reparto d’avanguardia" verrebbe sbeffeggiato (giustamente). Al
contrario, un partito in grado di immettere idee, ragionamenti, proposte
nel corpo vivo del movimento e delle lotte concrete, potrebbe svolgere
un ruolo decisivo per il suo sviluppo.
A tale proposito cito Gramsci e la sua concezione del partito e della classe.
L'idea del partito come "intellettuale collettivo" non è
affatto un concetto elitario di tipo togliattiano o giacobino. La
visione gramsciana rappresenta l'opposto e si salda all'idea del partito
come "memoria" della classe, ed è un ragionamento che si può sviluppare
a proposito del moderno proletariato.
Tra i teorici marxisti che ragionarono in funzione della
dinamica evolutiva del proletariato, sia Rosa Luxemburg che Antonio
Gramsci riuscirono a formulare alcune generalizzazioni al di là della
fisionomia della classe del loro tempo. Entrambi recuperarono un
concetto marxiano fondamentale, quello di proletariato inteso non solo
come classe operaia vera e propria, ovvero il proletariato industriale,
bensì come condizione sociale diffusa.
In conclusione, tranne qualche accenno di Lenin, gli unici
teorici marxisti che compresero che le trasformazioni dei processi
produttivi implicavano anche dei mutamenti radicali nella struttura
sociale della classe, furono esattamente Rosa Luxemburg ed Antonio
Gramsci.
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