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giovedì 24 marzo 2016

FLUIDITA', COSCIENZA DI CLASSE E PARTITO DEL PROLETARIATO DIFFUSO di Lucio Garofalo






FLUIDITA', COSCIENZA DI CLASSE E PARTITO DEL PROLETARIATO DIFFUSO
di Lucio Garofalo




L’immagine dell’elettorato “fluido” e della politica “fluida” che proviene dal movimento grillino, riflette la condizione concreta del moderno proletariato.
Essa segna il superamento della vecchia forma della politica con le sue istituzioni, liturgie, gerarchie, richiamando alla mente un caso storico di enorme rilievo: la jaquerie, ovvero i sanculotti della Rivoluzione francese, nel corso della quale non scaturì un partito organico, ma un movimento di massa in cui non era possibile il cristallizzarsi di ideologie sistematiche, ma un’aperta competizione di idee e proposte che il movimento popolare valutava imponendo la sua volontà alla stessa Convenzione nazionale.

Anche la Rivoluzione d’Ottobre ebbe la sua “fluidità” nel corpo sociale del giovane proletariato russo, una fluidità che trovò espressione politica nei Soviet, dove la competizione delle idee portava a massicci spostamenti di delegati dall’uno all’altro orientamento, e nelle campagne, dove l’iniziativa diretta dei contadini liquidò senza una direzione ufficiale i latifondi feudali.
La dinamica del conflitto di classe è il motore della storia e quando essa si manifesta ed agisce sembra non aver bisogno di “mosche cocchiere”.
Gli esegeti del “partito”, inteso come demiurgo ed attore della storia, spesso occultano tale fatto e si sforzano di presentare le cose all’inverso (“senza partito, niente rivoluzione”), negando il contenuto reale della storia, cioè che per agire le masse non necessitano di alcuna gerarchia di partito.

Il partito/istituzione ragiona come un’istituzione militare: in esso il singolo deve essere reclutato e rimodellato, omologato al militante/medio delineato da chi detiene il potere. Il partito come consociazione di liberi militanti, al contrario, attinge da ognuno la ricchezza e l’originalità del pensiero, integra nel collettivo senza sopprimere originalità e sensibilità di ogni militante.
Il primo modello fa dell’obbedienza acritica e militare un mito, il secondo si fonda sull’autodisciplina, sulla collaborazione e sull’interscambio libero dai vincoli dell’apparato. Fu sulla base di questa concezione che Paul Lafargue fondò il Partito Socialista Francese ed incontrò l’approvazione del suocero, Karl Marx. I detrattori di tale impostazione argomentano a sostegno della prima impostazione il fatto di dover affrontare una classe super organizzata come la borghesia, la difficoltà di mantenere insieme un vasto movimento di massa, il bisogno di "illuminare le masse" con la linea politica dall'alto.

Uno dei colpi più duri che la borghesia ha inferto al proletariato è stato proprio quello di convincere gli esponenti della sinistra a creare partiti che contenessero un retaggio ed un nucleo di ideologia borghese, come l’idea giacobina dell'élite indispensabile a guidare e generare i processi politici.
Viene da chiedersi: possibile che nelle opere degli altri pensatori non esista nulla da recuperare a proposito dell’idea di partito? Di tanti comunisti, ossia presunti tali, che si professavano "leninisti", non ho trovato neppure uno che conoscesse il pensiero di Julius Martov a proposito del partito, benché sia uno dei nomi più citati da Lenin. Di tanti critici inflessibili dell’anarchia non mi è mai capitato di incontrarne uno che conoscesse, almeno a grandi linee, il pensiero di Cafiero o Malatesta. Stranamente, persino la più avanzata teorica del marxismo dopo Karl Marx, cioè Rosa Luxemburg, è per costoro un oggetto misterioso di cui diffidano. Ma è proprio dalla Luxemburg che ha avuto origine una riflessione sul partito/istituzione, una critica chirurgica sui difetti che già allora iniziavano ad emergere nella Repubblica dei Soviet.

Tale critica non è solo un rilievo di alcune contraddizioni che si rivelarono letali per la democrazia sovietica, ma un’idea dinamica del proletariato, del suo mutarsi con lo sviluppo delle altre forze produttive, scienza e tecnica.
Nello stesso momento Aleksandr Aleksandrovič Bogdanov elaborava la sua monumentale "Scienza dell’organizzazione universale" (tuttora studiata nel mondo), mostrando quale sviluppo avrebbe potuto avere il proletariato nel socialismo e la necessità di una forma/partito conseguente all’evoluzione storica del proletariato. 
Il Proletkult, fondato da Bogdanov, fu osteggiato dallo stesso Lenin poiché destrutturava il partito e lo Stato operaio. Stalin si adoperò a destrutturare l’università proletaria lasciando solo un simulacro.

L’ignoranza dei subalterni è sempre un vantaggio formidabile per il potere. L’alto tasso di scolarizzazione del proletariato è un immenso vantaggio in quanto disabilita i detentori di "dogmi" o "verità assolute", sviluppa il senso critico, permette di comprendere questioni che prima erano un appannaggio esclusivo di specialisti. La disperazione non ottunde l’intelligenza, anzi. Più banalmente: il bisogno aguzza l’ingegno. In questo caso, del proletariato.
Come sappiamo, la storia è scritta dai vincitori e il più delle volte dei loro antagonisti ci consegnano solo i nomi ed un vago e confuso accenno alle loro idee contraffatte e distorte, quando non si tratta di mistificazioni. Il metodo è un’eredità ed un riflesso del cattolicesimo, di origine domenicana.
In pochissimi si sono preoccupati, nel corso delle polemiche, di presentare in modo corretto le idee che essi combattevano. Alla mente affiorano solo i seguenti nomi: Marx, Engels, Luxemburg, Bogdanov, Lenin, Trotsky, Gramsci, Cafiero, Malatesta, ma per il resto la falsità sembra essere la consuetudine.

Faccio notare che qui non mi preme parlare di Grillo e della sua "creatura", il M5S, bensì della fisionomia del proletariato odierno e del fallimento storico del partito/istituzione, il partito "demiurgo" concepito in chiave giacobina che rappresenta un retaggio dell'ideologia borghese. Questa forma/partito è oggi un anacronismo storico. Un partito "surrogatore" che ha la pretesa di guidare ed illuminare le masse proletarie implica un’idea che è il risultato di un’infiltrazione dell’ideologia borghese all’interno del movimento operaio.
È esattamente questa la principale vittoria (morale, intellettuale, ideologica) conseguita dalla borghesia sul proletariato. Come affermava giustamente Rosa Luxemburg quando combatteva strenuamente contro l’opportunismo ed il revisionismo che si insinuavano dentro la Seconda Internazionale.

Ovviamente non sono contro il partito tout-court, necessario nei termini di una libera consociazione di militanti comunisti e rivoluzionari, una struttura ibrida che si costruisce nelle dinamiche del conflitto tra le classi sociali.
Occorre soffermarsi sull'analisi delle forme, della composizione e dei tratti del proletariato moderno, che non è più quello dei grandi opifici industriali. Una consociazione di comunisti rivoluzionari è necessaria per trasmettere l’idea di una società possibile di liberi e di eguali che va oltre il capitalismo.
Le vecchie forme/partito sono storicamente improponibili ed inaccettabili. Per il proletariato moderno, un partito candidato a "reparto d’avanguardia" verrebbe sbeffeggiato (giustamente). Al contrario, un partito in grado di immettere idee, ragionamenti, proposte nel corpo vivo del movimento e delle lotte concrete, potrebbe svolgere un ruolo decisivo per il suo sviluppo.

A tale proposito cito Gramsci e la sua concezione del partito e della classe.
L'idea del partito come "intellettuale collettivo" non è affatto un concetto elitario di tipo togliattiano o giacobino. La visione gramsciana rappresenta l'opposto e si salda all'idea del partito come "memoria" della classe, ed è un ragionamento che si può sviluppare a proposito del moderno proletariato.
Tra i teorici marxisti che ragionarono in funzione della dinamica evolutiva del proletariato, sia Rosa Luxemburg che Antonio Gramsci riuscirono a formulare alcune generalizzazioni al di là della fisionomia della classe del loro tempo. Entrambi recuperarono un concetto marxiano fondamentale, quello di proletariato inteso non solo come classe operaia vera e propria, ovvero il proletariato industriale, bensì come condizione sociale diffusa.

In conclusione, tranne qualche accenno di Lenin, gli unici teorici marxisti che compresero che le trasformazioni dei processi produttivi implicavano anche dei mutamenti radicali nella struttura sociale della classe, furono esattamente Rosa Luxemburg ed Antonio Gramsci.





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