UNA RIFLESSIONE SULL'ESITO DEL REFERENDUM
di Lucio Garofalo
Nessuno si illudeva, credo, di cambiare radicalmente lo stato delle cose presenti con un Sì espresso in cabina elettorale.
Era un quesito referendario sul rinnovo delle concessioni
petrolifere entro le 12 miglia marine. Le multinazionali degli
idrocarburi avrebbero continuato a spadroneggiare ugualmente, forse con
un po' di certezze ed arroganza in meno.
Il capitalismo è un sistema economico di stampo
ottocentesco dipendente dai combustibili fossili e solo una drastica
rivoluzione potrebbe invertirne la rotta.
Il discorso è assai complesso e non si esaurisce con un
articolo che leggono in pochi. Piuttosto, servirebbe ragionare sul
perché il referendum di ieri sia fallito.
Ieri sera ho ascoltato in TV Renzi auto-celebrarsi per
l'esito del referendum, senza ammettere che l'astensionismo non era un
merito ascrivibile alla sua persona, anzi. In Italia, nelle ultime
tornate elettorali, incluse le consultazioni amministrative, laddove la
gente viene addirittura deportata ai seggi, si registra un tasso di
astensione cronica che si aggira attorno al 40%. Per cui si deduce che
lo scarto di un 25% (al massimo) si potrebbe accreditare al fronte del
No.
Insomma, è una minoranza esigua. Eppure, il premier abusivo
ha cantato vittoria per lo scampato pericolo. E così hanno esultato i
suoi amici petrolieri.
Non c'è dubbio che pure la formula referendaria era assai
limitata. Il tema era distante dalla gente (almeno così è apparso). È
stata giocata la carta (temo vincente) dei posti di lavoro a rischio.
E via discorrendo. In sostanza, era un referendum amputato, cioè reso sterile.
Da oggi bisognerebbe incalzare sul serio il governo Renzi
sulle questioni del lavoro e della precarietà, visti gli sproloqui a
difesa dei posti di lavoro.
Invece, lo si asseconda sul suo terreno.
La vignetta è del Maestro Mauro Biani
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