di
Norberto
Fragiacomo
Varsavia,
dicembre inoltrato.
Altro
che “dormitorio”! Il distretto semiperiferico di Wilanów è zona
residenziale di lusso: condomini nuovi di zecca con giardini interni
e caseggiati ancora in costruzione dominano ampi viali, che si
intersecano ad angolo retto. Il traffico è discreto, tutto tace.
Negli appartamenti il livello delle finiture è di prim’ordine: le
maniglie che ti restavano in mano e le porte refrattarie a chiudersi
sono solamente un ricordo, il ricordo di un’epoca aborrita e
rimossa. Inutile puntualizzare che i garage rigurgitano di BMW e suv
orientali. Se poi dagli attici si scende in strada, complice un
ascensore rapidissimo, le sorprese continuano: i negozi sono
innumerevoli, quelli di specialità italiane espongono vini di
nicchia (il Pignolo e lo Schioppettino, due pregevoli friulani che è
raro trovare a Trieste!) e Sassicaia da 240 euro. C’è chi può
permetterselo, evidentemente: non certo un dipendente pubblico
italiano in viaggio, che pure guadagna molto di più del lavoratore
polacco medio (1).
In
questa Nowa Huta del regime capitalista non mancano tuttavia le
ombre: una è quella gigantesca del centro commerciale (l’ennesimo)
che sorgerà di fronte all’antica reggia di Jan Sobieski,
nascondendola alla vista. Sono in molti a storcere giustamente il
naso, ma è un segno dei tempi: ecco a voi la nuova “Europa” –
quella delle lobby e della libera circolazione dei capitali – che
sommerge e divora la vecchia. Gli stucchi del palazzo barocco, le
effigi del grande sovrano circondato dai suoi ministri e la memoria
degli ussari alati non incutono alcun rispetto alla plebaglia
arricchita che misura ogni cosa col metro della produttività e del
profitto.
Cantieri
ovunque insomma, come da noi 40-50 anni fa (e in Spagna a fine secolo
scorso), per il resto sembra di essere a casa: biondi ragazzini si
ingobbiscono sullo smartphone
rischiando di incespicare mentre camminano, donne vestite all’ultima
moda sorseggiano un caffè al bar all’angolo. Contro l’orizzonte
di questa borghesissima Varsavia si staglia la cupola fluorescente di
un’immensa chiesa inaugurata nel 2014: mi par di intendere che si
tratti di una specie di ex voto,
una preghiera un tantino pretenziosa (ma tutt’altro che sgradevole
alla vista) innalzata a un Dio che, da parte sua, ha il gravoso
compito di proteggere la Polonia dalle brame russe. Visto che nei
secoli trascorsi l’Altissimo si è spesso distratto, i polacchi
hanno pensato bene di offrire la corona regale al Figliolo, che per
il momento (a differenza di quanto avvenne nel deserto due millenni
fa) non ha rifiutato né accettato. Singolare però che i più devoti
fra i cattolici abbiano scelto, certo del tutto inconsciamente, di
imitare il Nemico…
Il
boom economico si appoggia sull’edilizia, dunque – quella
privata, perché per realizzare le infrastrutture si aspettano i
soldi di Bruxelles, da cambiare in sonanti zloty. Se non altro, però,
la Polonia non è più un Paese a segmenti: dalla capitale si
irradiano comode autostrade verso i quattro punti cardinali.
Contrariamente alle aspettative, non fa manco freddo: il termometro
danza intorno allo zero, come sul Carso, e i pochi fiocchi di neve si
liquefano in una pioggia insistente e fastidiosa.
Uno
sguardo, per quanto attento, non basta però a cogliere l’essenza
di un Paese che muta velocemente: aiutano molto le conversazioni con
persone amiche e con altre che possono diventarlo. Bisogna scendere
sotto la superficie delle cose, scansare i giudizi stereotipati e le
frasi di rito: una ragazza intelligente, nata in giorni di
instabilità politica e sociale, ammette senza reticenze che il
comunismo ha avuto parecchi meriti, tra cui quello di aprire ai figli
di contadini miserabili le porte delle università. A sera discorro
con un professore di scienze politiche, che traduce il suo nome pieno
di consonanti in un desueto Cristoforo: è stato addetto culturale a
Roma e si esprime in un italiano pressoché perfetto. Parliamo di
Garibaldi e di Craxi, dell’eterna ingerenza delle grandi potenze
nella vita di quelle piccole; alla fine la discussione (s)cade sul
governo Renzi. Gli regalo una copia del mio saggio, magari la
leggerà.
L’incontro
clou, organizzato per tempo, è quello con i dirigenti di RAZEM
(=Insieme), la nuova sinistra che dichiaratamente s’ispira agli
spagnoli di Podemos.
Ho letto un’intervista al suo leader, il quarantenne Zandberg: mi
sono piaciuti alcuni giudizi sferzanti sull’Unione Europea e sui
postcomunisti, che anche qui come in Italia si son dimostrati i più
servili esecutori delle politiche neoliberiste; confido in un
proficuo scambio di idee. La sede del neonato partito è in
un’anonima via del centro di Varsavia, a poche decine di metri da
quel parlamento che in questa stessa settimana sarà lungamente
assediato da una folla di manifestanti ostili al PiS (il partito
nazionalclericale al governo) in nome della difesa della libertà di
stampa. Un format di successo, e perciò esportabile anche qui?
L’impressione, a vedere le immagini in tv, è che i cittadini siano
convinti della giustezza della loro causa; con il PiS del Kaczynski
superstite, Jaroslaw, sta però la Polonia profonda, quella che
sopravvive in cittadine avvilite dall’incuria o trae sostentamento
dai campi e da lavori sottopagati.
Entriamo
in quello che sembra un bivacco alpino, non fosse per i computer
accesi ovunque: regna un disordine “creativo”, c’è persino un
militante che – alle 2 del pomeriggio – si riposa in un sacco a
pelo. Tutti giovani,
però, come in Spagna e in Slovenia: la nuova sinistra europea ha un
volto trentenne. Faccio un triste raffronto con le nostre assemblee,
popolate da ammirevoli vecchi compagni, poi mi dico che anche SeL
iniziò come questi qua, esibendo i ragazzini delle Fabbriche di
Nichi – sappiamo com’è andata a finire, grandi chiacchiere sui
diritti civili e strameritata irrilevanza. RAZEM, comunque, alle
prime elezioni cui ha partecipato ha raggiunto un lusinghiero 3,5%,
sfiorando l’ingresso al Sejm: è un fenomeno che merita attenzione
e rispetto, insomma.
Ci
accoglie Maciej Konieczny, il numero due del partito. Ha radi capelli
brizzolati e occhi vivaci: gli do qualche anno più di me, pur
immaginando che ne abbia di meno. Nel corso
dell’intervista/conversazione (ovviamente in inglese) sarà
raggiunto da un altro compagno, di nome Radosław, dall’eloquio
scoppiettante e più vicino ai venti che ai trenta. Com’è la
situazione in Polonia? - esordisco. Konieczny si premura di sfatare
un mito: la Chiesa, pur potente, non domina affatto la società
polacca, anche se il governo cerca di ingraziarsela accordando
privilegi, proprietà ed esenzioni. Dinanzi alle esortazioni di Papa
Francesco i prelati fanno orecchie di mercante: dei rifugiati non si
parla per nulla (la popolazione in ogni caso non li vuole,
sottolinea), i generici appelli alla giustizia sociale non si
traducono in una critica al neoliberismo “che
non si sente minacciato in Polonia”.
Esiste ancora lo Stato sociale? – mi informo. I due esponenti di
RAZEM, alternandosi, precisano che la sanità pubblica ancora esiste,
ma è in costanti difficoltà finanziarie, per effetto dei tagli a
ripetizione (ne sappiamo qualcosa anche noi). Il problema vero è
l’assenza di sostegni ai disoccupati, cui si aggiunge
l’invecchiamento della popolazione (solita questione delle
pensioni). Chi un lavoro ce l’ha non sta granché meglio. I
“contratti spazzatura” impazzano, condannando all’indigenza
milioni di persone, e i ritmi lavorativi sono davvero insostenibili:
la media è 42-43 ore a settimana, soltanto i greci (ma non erano
fannulloni?) se la passano peggio. I sindacati (2),
poi, sono presenti solo nel pubblico impiego: il lavoratore privato
che vi aderisce rischia l’immediata perdita del lavoro grazie a
riforme modellate sul Jobs act
renziano. E’ vero che il tasso di disoccupazione è contenuto?
Certo, rispondono, ma la componente-salari rispetto al GDP è
percentualmente molto più bassa che nell’Europa occidentale: siamo
a livelli di sfruttamento paragonabili a quelli di Russia o Messico.
Il salario minimo esiste, ma 2.000 zloty (=476 euro ca.) lordi al
mese sono sinonimo di miseria.
Perché
stravince il PiS allora? Perché in queste condizioni i suoi premi a
chi fa figli ecc. rappresentano un “huge
benefit”, ammette Maciej. E gli
altri partiti? Manca una sinistra (a parte loro): gli ex comunisti
del SLD sono nient’altro che una forza neoliberale ed europeista,
Piattaforma Civica (Tusk, oggi Schetyna: nome di cattivo augurio,
direi) si occupa a tempo perso di diritti civili. Hanno provato,
quelli di Platforma Obywatelska, a sostenere i diritti degli
immigrati, ma vista l’ostilità della popolazione hanno subito
fatto marcia indietro. Oggidì le opposizioni, indebolite, provano a
creare un fronte comune: ne è espressione il KOD che, in nome della
lotta contro l’autoritarismo, mobilita la classe media
politicizzata in difesa dello status
quo (sociale) (3).
Udito che il PiS mescola “un grande
cambiamento di prospettiva con visioni autoritarie”,
domando provocatoriamente: chi è peggio, il PiS o PO? Per me
senz’altro PO, i miei interlocutori sono di opposto avviso (lo
sospettavo): Piattaforma è, se non altro, un movimento democratico.
A
questo punto non resta che parlare di Unione Europea: provo a
esplicitare il mio punto di vista, che scoprirò non essere il loro.
Non condividono affatto quello che definiscono l’antieuropeismo
delle sinistre occidentali: per loro l’UE è ancora una “forza
progressiva”, anche se infettata
dal neoliberismo, e in ogni caso è preferibile languire in un’Europa
(mal) dominata dai tedeschi che essere alla mercé, come Polonia, di
una Germania autonoma e di una Russia straripante. In ossequio alla
logica del “male minore”,
esprimono preoccupazione per la Brexit e addirittura per il trionfo
del NO al referendum di dicembre: “non
è stata una vittoria della destra?”,
mi chiedono. Ribatto con un secco no: la vera destra da temere in
Italia, oggi, è l’oligarchia che sta dietro le politiche (non
solo) renziane, non qualche sparuto drappello fascisteggiante.
In
ogni caso l’agenda europea non ci piace, ammettono, ma la UE “si
può cambiare dall’interno”.
“Come?”,
chiedo con una punta di ironia. Lottando per l’affermarsi di
governi di sinistra in tutta Europa… mi viene in mente una battuta
di Abatantuono in Mediterraneo, ma rinuncio a tradurla. Loro in ogni
caso con il SLD rifiutano qualsiasi contatto. Giusto, commento… ma
a motivare la loro chiusura nei confronti del partito ex comunista
non è la sua adesione acritica al neoliberismo, bensì il passato
filo-sovietico. Come a dire: ci importa di quello che eravate, non di
quello che siete… Nessuno stupore, dunque, per il fatto che la
nostra lettura della crisi ucraina sia agli antipodi. Chi è più
deleterio per voi tra Putin e Soros?, provoco. La risposta è secca:
Putin. Secca, ma evidentemente sbagliata.
Tocca
però considerare due aspetti. Il primo è che per i polacchi la
Russia è un vicino storicamente scomodo, una minaccia incombente –
anche se la loro mi pare una vera ossessione:
sembrano essere tutti convinti che il primo pensiero di Vladimir
Putin, al risveglio, sia come e quando invadere la Polonia. Il
secondo è di ordine geografico: come evidenziato da Paolo Rumiz nel
suo Come cavalli che dormono in
piedi, il Paese affacciato sul
Baltico è una sterminata pianura, priva a oriente e a occidente di
catene montuose che fungano da barriere naturali. Ecco allora che
affidarsi alla NATO (più che alla sua marionetta politica, la UE)
può apparire una scelta assennata. Non comprendono l’ovvio, che
cioè la presenza di truppe e missili americani al confine russo
rappresenta non un deterrente, bensì un’intollerabile
provocazione, e nemmeno che gli Stati Uniti perseguono esclusivamente
i propri obiettivi, considerando la Polonia alla stregua di una
pedina (sacrificabile). “Ma è
possibile un accomodamento con la Russia?”
Konieczny sorride senza allegria: sì, se ci si sottomette a loro.
Ferma
restando l’importanza delle divergenze, colgo alcuni elementi
positivi: la collaborazione con altre forze europee dall’ispirazione
simile (ad esempio la promettente Združena Levica slovena di Luka
Mesec) e la presenza capillare degli attivisti nelle piazze, che ha
favorito mobilitazioni come la Black
protest delle donne polacche contro
la legge oscurantista sull’aborto. “A
differenza del KOD noi ci sforziamo di mobilitare gli esclusi”,
assicura l’esponente di RAZEM, in particolare le donne, “molto
meno conservatrici degli uomini, qui in Polonia”.
D’altra parte – soggiunge, e ha l’aria di essere una frecciata
– fare politica consiste nel provare a cambiare il mondo, non nel
limitarsi a interpretarlo (Marx docet).
Ringrazio
i compagni di RAZEM per la disponibilità, e uscendo mi ripeto che la
coscienza degli umani è il prodotto delle loro condizioni materiali,
non viceversa: è normale che il polacco, circondato da potenze
agguerrite, presti spasmodica attenzione alla propria sicurezza
nazionale, così come non mi risulta incomprensibile quest’allergia
all’autoritarismo, figlia di quarant’anni di regime e di un
approdo molto più recente del nostro alla “democrazia”
(formale), che quassù – a differenza che da noi - si è fin da
subito presentata nei panni neoliberisti.
Varsavia
non è più come ottant’anni fa baricentrica rispetto al Paese: il
temuto confine orientale è a meno di 200 km. L’auto (a GPL)
scivola su un’autostrada sgombra alla volta di Mielnik, che fu
città reale al tempo degli Jagelloni e – distrutta durante la seconda
guerra – si presenta oggi coma un invitante paese di campagna,
“colonizzato” da abitanti della capitale che vi trascorrono le
vacanze. Prima di giungere a destinazione, facciamo una sosta in
un’anonima cittadina, stretta intorno a una piazza quadrata:
presumo che la Polonia autentica assomigli molto di più a questo
borgo dalle poche attrattive che non agli sfavillanti quartieri della
capitale.
Mielnik
infine, mentre già annotta (con un’ora di anticipo rispetto alle
mie parti): le rovine di un castello e di una chiesa tardo medievale;
tantissime casette di legno costruite a incastro, vecchie e nuove
(queste ultime molto più spaziose delle prime). In una veniamo
accolti dal nostro ospite. Piotr non ha nulla del “villico”: ha
studiato all’Università di Mosca prima di rendersi conto che la
sua passione per la fotografia poteva diventare una professione di
notevole successo. Ora è in pensione, e divide il suo tempo tra
Varsavia e questa bella regione orientale chiamata Podlaskie.
Familiarizzo subito con lui: parla un buon inglese, che mantiene in esercizio traducendo in polacco libri di argomento bellico – il fatto che sia appassionato di aerei da caccia me lo rende subito simpatico. Inoltre non è affetto da russofobia, anzi: ride di gusto della leggenda complottistica che vuole l’incidente aereo di Smolensk provocato da Putin, che agli occhi della maggioranza dei polacchi è un Belzebù alquanto più cattivo. Se proprio tocca evocare un demone, meglio l’ironico Voland de Il maestro e Margherita – Bulgakov è tra gli scrittori preferiti di Piotr, ma ovunque dagli scaffali spuntano titoli importanti.
L’indomani
ci conduce nella vicina Niemiròw, un incantevole paesello tutto in
legno (a parte la chiesa): cammino lungo strade innevate, ammirando
l’immensità dei campi che risalgono placidi le basse colline,
respirando l’aria fresca dei boschi di conifere. Raggiungiamo la
frontiera bielorussa, dominio del diffamato (ma non da Piotr)
Lukashenko: ai nostri piedi il nastro argenteo del fiume Bug, che se
non sbaglio è il protagonista di un’indimenticabile pagina di
Guerra e pace. C’è ancora tempo per girare attorno a una chiesa
ortodossa lignea, dipinta di azzurro, e per visitare un monastero
egualmente ortodosso: sono attratto dal gran numero di croci, una
delle quali fu portata da una nipote di Bulgakov a salvezza
dell’anima del celebre congiunto. Non ne aveva bisogno, penso, lo
scrittore che seppe descrivere con incomparabile umanità le angosce
di Pilato. Cosa sono queste croci? Ex
voto, come la monumentale basilica
di Kaczynski: ringraziamenti a un Dio che in questo paesaggio
incontaminato, rilassante sospetto debba sentirsi più a suo agio che
fra i grattacieli.
La
sera ceniamo con alcuni artisti polacchi e – sorpresa! - trovo
persone con idee non troppo dissimili dalle mie. Una bionda signora
di mezza età sfoggia volentieri il suo italiano, appreso in quindici
anni trascorsi a Roma come governante: intona una canzone di Gino
Paoli, ma poi riconosce con passione l’irriformabilità dell’Unione
Europea, negazione dell’Europa stessa e meccanismo di sfruttamento
ai danni di chi non appartiene all’élite. Mentre ci versiamo una
vòdka Piotr pronuncia alcune frasi che mi restano impresse: “è
vero, ai tempi del comunismo dovevo riconsegnare il mio passaporto,
ad ogni rientro in patria. Ma ero più libero allora, perché la mia
mente era libera. Adesso non è più così: il sistema condiziona le
nostre menti, ci insegna cosa pensare e desiderare. Vale soprattutto
per i giovani, che vogliono mantenere nell’ignoranza”
– docili, e chini sui loro stupidi smartphone.
Un
simposio, gente di ogni età che discute e si accalora: a mio modesto
avviso, l’Europa è anzitutto questo.
1
Nelle industrie medie e grandi il salario medio si aggira sui 4.200
zloty, pari a circa 1.000 euro (lordi) al mese.
2
Che raggruppano il 12% dei lavoratori.
3
C’è poi il partito della rockstar Kukiz, “populista e contro la
status quo”, cioè – come da noi – fustigatore della
partitocrazia e dei privilegi della “casta” politica…
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